"A PROPOSITO DI CULTURA: NANI E GIGANTI IN SICILIA E DINTORNI " DEL PROF. FRANCESCO EREDDIA
Dopo aver toccato dalle pagine di questa rubrica decine di argomenti storici e culturali relativi alla Sicilia e, più in particolare, alla provincia di Ragusa (ex contea di Modica), ci sembra più che doveroso soffermarci adesso sul significato stesso di cultura e sulle sue implicazioni nel settore pubblico e in quello privato.
Per cercare di comprendere meglio i processi degenerativi verificatisi in questo importante settore (e non soltanto in Sicilia), cominciamo col ricordare che circa una ventina di anni fa la Regione Sicilia emanava attraverso l´Assessorato dei Beni Culturali e della Pubblica Istruzione una circolare che così fra l´altro recitava:
«Malgrado l´interesse nei confronti dei beni culturali sia crescente e si manifesti con varie iniziative, alcune delle quali di lodevole impegno , le stesse corrono il rischio di limitarsi ad essere pregevoli episodi o fatti circoscritti a singole realtà se non sono supportate da un indispensabile progetto formativo».
A parte quel non meglio precisato «indispensabile progetto formativo», tuttavia allora (era il 1996) si sottolineava che «l´interesse nei confronti dei beni culturali» nella nostra isola era «crescente» e le iniziative culturali venivano giudicate «di lodevole impegno». Insomma, era la prima volta a partire dall´instaurazione dell´autonomia siciliana (1946) che si affermava ufficialmente da parte del governo regionale l´importanza della conservazione, conoscenza e fruizione del patrimonio culturale e ambientale.
Cosa è avvenuto a distanza, diciamo, di un quindicennio circa in Sicilia e nel resto d´Italia?
« La cultura non si mangia». Così alcuni anni fa (era il 2010) si esprimeva un ministro della Repubblica italiana per giustificare i soliti tagli nel bilancio dello Stato a quella voce. Quella dichiarazione, chissà come e perché, diventò nel dibattito polemico che ne seguì « ´Con´ la cultura non si mangia ».
Un paio di riflessioni – lo diciamo ovviamente tra il serio e il faceto – sorgono spontanee. Stando alla prima versione, possiamo concordare sul fatto che effettivamente la cultura non può essere annoverata fra gli alimenti, almeno quelli materiali, della specie umana (che poi si tratti di un ´nutrimento dello spirito´ è espressione addirittura incomprensibile e ultraumana per tanti politici nostrani). E circa la seconda versione, siamo costretti ad accettare il fatto che, ancor più effettivamente, ´con´ la cultura non è, per i politici di cui sopra, la stessa cosa che ´con´ i lavori pubblici. È verissimo, infatti, che con tutto ciò che riguarda la cultura in generale è oltremodo difficile ´mangiare´, nel senso metaforico ben conosciuto dagli italiani da più di vent´anni a questa parte.
Comunque stiano le cose, fatto è che da un bel po´ la cultura è uscita dall´interesse e dalle competenze (ammesso che ne abbiano avuto in passato) dei governanti e degli amministratori locali.
E allora? Allora, forse è ben più serio e costruttivo cercare insieme di capire cosa pensiamo che debba intendersi per cultura.
«Noi siamo come nani sulle spalle dei giganti, così che possiamo vedere un maggior numero di cose e più lontano di loro, tuttavia non per l´acutezza della vista o la possenza del corpo, ma perché sediamo più in alto e ci eleviamo proprio grazie alla grandezza dei giganti».
Così si esprimeva in età medievale il filosofo inglese Giovanni di Salisbury (1110-1180) citando una frase del collega francese Bernardo di Chartres, il quale a sua volta riprendeva un´espressione del grammatico romano Prisciano vissuto all´incirca sei secoli prima. Con questo metaforico e suggestivo aforisma letterario così ricorrente fino all´età moderna si sosteneva, in sostanza, che quelli che ci innalzano e ci permettono di guardare lontano sono gli antichi (i «giganti»), quelli che hanno preceduto noi moderni (i «nani») e che con le loro conoscenze hanno arricchito il nostro sapere.
Il sapere cioè la cultura, dunque, è soprattutto "tradizione", e consiste in quanto è stato tramandato dai nostri antenati; è ´trasmissione, lascito ereditario´ da una generazione all´altra di tutto il patrimonio materiale (ambientale e artistico) accumulato attraverso secoli e secoli di storia e di quello immateriale (lingua e dialetto, storia degli eventi, tradizioni laiche, religiose, enogastronomiche, ecc. ecc.).
Se la cultura è tradizione e la tradizione è l´eredità del passato, per la proprietà transitiva ne consegue che la cultura è prevalentemente se non esclusivamente recupero, rivisitazione e rivitalizzazione del passato.
***
Con queste premesse, ci chiediamo: come stiamo a cultura, per esempio, a Vittoria? ci sono dei ´nani´ capaci di salire sulle spalle del ´gigante´ costituito dalle "tradizioni" di questa città? Ci soffermiamo in particolare su Vittoria per due ordini di motivi: prima di tutto perché è la realtà urbana in cui ci troviamo a vivere e a operare, in secondo luogo perché essa è indiscutibilmente e malinconicamente attardato fanalino di coda nell´ambito della provincia iblea (non solo, quindi, per la raccolta differenziata dei rifiuti). E questo avviene da una ventina d´anni a questa parte, salvo una breve ed effimera parentesi nei primi anni Duemila seguita però subito dopo da una decennale ´glaciazione´ culturale.
Vittoria non ha un museo degno di questo nome.
O meglio, c´è l´allora istituito Museo "Virgilio Lavore", che però non ha mai funzionato come museo ma è diventato ben altra cosa (stendiamo un velo pietoso, soprattutto per rispetto verso l´illustre compianto studioso cui è stato avventatamente dedicato). C´è poi il Museo cosiddetto italo-ungherese, il quale ha fatto la triste fine del precedente. Avrebbe dovuto sorgere un museo a Serra San Bartolo, ma questo è morto sul nascere (e quindi, lo diciamo con amara ironia, non ha avuto il tempo di soffrire) e i locali restaurati con grande impegno e investimenti pubblici sono stati saccheggiati e danneggiati e adesso noi personalmente confessiamo di non sapere che fine abbiano fatto.
E dire che le lunghe ricerche sul campo, effettuate ad opera dell´Associazione Culturale «Il Politecnico», hanno prodotto la scoperta proprio a Serra S. Bartolo di una strada lastricata di epoca ellenistico-romana (ancora oggi giacente intatta sotto il manto d´asfalto), di una piccola necropoli e di monete risalenti al periodo classico di Camarina.
Per non parlare della possibilità di un itinerario turistico che, partendo proprio da Serra San Bartolo, attraverso il quartiere Celle - dove nell´antichità c´era un complesso monastico, ormai interrato, e la chiesa di S. Maria di Betlemme - giungano al centro storico di Vittoria, dove potranno essere visitate le chiese, il convento, la piazza principale col suo monumento ai caduti e le gallerie sottostanti, il Castello e i magazzini del conte con il Museo "Virgilio Lavore", l´ex Centrale elettrica con il suo Archivio Storico, la villa comunale col suo belvedere sulla Valle dell´Ippari e la Fontana del Garì, fino alla Piazza Calvario, con le sue grotte ipogeiche e l´ interessante tempietto ottocentesco ricco di suggestioni risorgimentali, e alla zona Emaia col Museo italo-ungherese.
Non è inutile precisare che tutto questo presuppone il restauro e la riapertura del Museo Lavore, di quello di Serra S. Bartolo e dell´Italo-ungherese, nonché la rivitalizzazione dei monumenti sopra indicati.
E inoltre, perché non proporre alle scuole cittadine corsi dedicati al patrimonio linguistico, storico, letterario e culturale della Sicilia? Si tenga presente che l´UNESCO ha proclamato il dialetto siciliano, assieme ad altra parlate del mondo, Patrimonio dell´umanità. E che la Legge Regionale del 18-5-2011 ha inteso introdurre lo studio del patrimonio linguistico e storico della Sicilia nei programmi scolastici.
Tante altre puntualizzazioni e riflessioni si potrebbero ancora fare, ma qui per il momento ci fermiamo.
FRANCESCO EREDDIA
Per cercare di comprendere meglio i processi degenerativi verificatisi in questo importante settore (e non soltanto in Sicilia), cominciamo col ricordare che circa una ventina di anni fa la Regione Sicilia emanava attraverso l´Assessorato dei Beni Culturali e della Pubblica Istruzione una circolare che così fra l´altro recitava:
«Malgrado l´interesse nei confronti dei beni culturali sia crescente e si manifesti con varie iniziative, alcune delle quali di lodevole impegno , le stesse corrono il rischio di limitarsi ad essere pregevoli episodi o fatti circoscritti a singole realtà se non sono supportate da un indispensabile progetto formativo».
A parte quel non meglio precisato «indispensabile progetto formativo», tuttavia allora (era il 1996) si sottolineava che «l´interesse nei confronti dei beni culturali» nella nostra isola era «crescente» e le iniziative culturali venivano giudicate «di lodevole impegno». Insomma, era la prima volta a partire dall´instaurazione dell´autonomia siciliana (1946) che si affermava ufficialmente da parte del governo regionale l´importanza della conservazione, conoscenza e fruizione del patrimonio culturale e ambientale.
Cosa è avvenuto a distanza, diciamo, di un quindicennio circa in Sicilia e nel resto d´Italia?
« La cultura non si mangia». Così alcuni anni fa (era il 2010) si esprimeva un ministro della Repubblica italiana per giustificare i soliti tagli nel bilancio dello Stato a quella voce. Quella dichiarazione, chissà come e perché, diventò nel dibattito polemico che ne seguì « ´Con´ la cultura non si mangia ».
Un paio di riflessioni – lo diciamo ovviamente tra il serio e il faceto – sorgono spontanee. Stando alla prima versione, possiamo concordare sul fatto che effettivamente la cultura non può essere annoverata fra gli alimenti, almeno quelli materiali, della specie umana (che poi si tratti di un ´nutrimento dello spirito´ è espressione addirittura incomprensibile e ultraumana per tanti politici nostrani). E circa la seconda versione, siamo costretti ad accettare il fatto che, ancor più effettivamente, ´con´ la cultura non è, per i politici di cui sopra, la stessa cosa che ´con´ i lavori pubblici. È verissimo, infatti, che con tutto ciò che riguarda la cultura in generale è oltremodo difficile ´mangiare´, nel senso metaforico ben conosciuto dagli italiani da più di vent´anni a questa parte.
Comunque stiano le cose, fatto è che da un bel po´ la cultura è uscita dall´interesse e dalle competenze (ammesso che ne abbiano avuto in passato) dei governanti e degli amministratori locali.
E allora? Allora, forse è ben più serio e costruttivo cercare insieme di capire cosa pensiamo che debba intendersi per cultura.
«Noi siamo come nani sulle spalle dei giganti, così che possiamo vedere un maggior numero di cose e più lontano di loro, tuttavia non per l´acutezza della vista o la possenza del corpo, ma perché sediamo più in alto e ci eleviamo proprio grazie alla grandezza dei giganti».
Così si esprimeva in età medievale il filosofo inglese Giovanni di Salisbury (1110-1180) citando una frase del collega francese Bernardo di Chartres, il quale a sua volta riprendeva un´espressione del grammatico romano Prisciano vissuto all´incirca sei secoli prima. Con questo metaforico e suggestivo aforisma letterario così ricorrente fino all´età moderna si sosteneva, in sostanza, che quelli che ci innalzano e ci permettono di guardare lontano sono gli antichi (i «giganti»), quelli che hanno preceduto noi moderni (i «nani») e che con le loro conoscenze hanno arricchito il nostro sapere.
Il sapere cioè la cultura, dunque, è soprattutto "tradizione", e consiste in quanto è stato tramandato dai nostri antenati; è ´trasmissione, lascito ereditario´ da una generazione all´altra di tutto il patrimonio materiale (ambientale e artistico) accumulato attraverso secoli e secoli di storia e di quello immateriale (lingua e dialetto, storia degli eventi, tradizioni laiche, religiose, enogastronomiche, ecc. ecc.).
Se la cultura è tradizione e la tradizione è l´eredità del passato, per la proprietà transitiva ne consegue che la cultura è prevalentemente se non esclusivamente recupero, rivisitazione e rivitalizzazione del passato.
***
Con queste premesse, ci chiediamo: come stiamo a cultura, per esempio, a Vittoria? ci sono dei ´nani´ capaci di salire sulle spalle del ´gigante´ costituito dalle "tradizioni" di questa città? Ci soffermiamo in particolare su Vittoria per due ordini di motivi: prima di tutto perché è la realtà urbana in cui ci troviamo a vivere e a operare, in secondo luogo perché essa è indiscutibilmente e malinconicamente attardato fanalino di coda nell´ambito della provincia iblea (non solo, quindi, per la raccolta differenziata dei rifiuti). E questo avviene da una ventina d´anni a questa parte, salvo una breve ed effimera parentesi nei primi anni Duemila seguita però subito dopo da una decennale ´glaciazione´ culturale.
Vittoria non ha un museo degno di questo nome.
O meglio, c´è l´allora istituito Museo "Virgilio Lavore", che però non ha mai funzionato come museo ma è diventato ben altra cosa (stendiamo un velo pietoso, soprattutto per rispetto verso l´illustre compianto studioso cui è stato avventatamente dedicato). C´è poi il Museo cosiddetto italo-ungherese, il quale ha fatto la triste fine del precedente. Avrebbe dovuto sorgere un museo a Serra San Bartolo, ma questo è morto sul nascere (e quindi, lo diciamo con amara ironia, non ha avuto il tempo di soffrire) e i locali restaurati con grande impegno e investimenti pubblici sono stati saccheggiati e danneggiati e adesso noi personalmente confessiamo di non sapere che fine abbiano fatto.
E dire che le lunghe ricerche sul campo, effettuate ad opera dell´Associazione Culturale «Il Politecnico», hanno prodotto la scoperta proprio a Serra S. Bartolo di una strada lastricata di epoca ellenistico-romana (ancora oggi giacente intatta sotto il manto d´asfalto), di una piccola necropoli e di monete risalenti al periodo classico di Camarina.
Per non parlare della possibilità di un itinerario turistico che, partendo proprio da Serra San Bartolo, attraverso il quartiere Celle - dove nell´antichità c´era un complesso monastico, ormai interrato, e la chiesa di S. Maria di Betlemme - giungano al centro storico di Vittoria, dove potranno essere visitate le chiese, il convento, la piazza principale col suo monumento ai caduti e le gallerie sottostanti, il Castello e i magazzini del conte con il Museo "Virgilio Lavore", l´ex Centrale elettrica con il suo Archivio Storico, la villa comunale col suo belvedere sulla Valle dell´Ippari e la Fontana del Garì, fino alla Piazza Calvario, con le sue grotte ipogeiche e l´ interessante tempietto ottocentesco ricco di suggestioni risorgimentali, e alla zona Emaia col Museo italo-ungherese.
Non è inutile precisare che tutto questo presuppone il restauro e la riapertura del Museo Lavore, di quello di Serra S. Bartolo e dell´Italo-ungherese, nonché la rivitalizzazione dei monumenti sopra indicati.
E inoltre, perché non proporre alle scuole cittadine corsi dedicati al patrimonio linguistico, storico, letterario e culturale della Sicilia? Si tenga presente che l´UNESCO ha proclamato il dialetto siciliano, assieme ad altra parlate del mondo, Patrimonio dell´umanità. E che la Legge Regionale del 18-5-2011 ha inteso introdurre lo studio del patrimonio linguistico e storico della Sicilia nei programmi scolastici.
Tante altre puntualizzazioni e riflessioni si potrebbero ancora fare, ma qui per il momento ci fermiamo.
FRANCESCO EREDDIA