" APRILE 1607: DA CAMARINA ALLA "NUOVA TERRA DELLA VITTORIA" DEL PROF. FRANCESCO EREDDIA
"A Vs. Ex.a Scipion Celestre humillemente suplica, criado de 48 años haviendo servido Su ex.ma Casa con tanto amor y fidelidad, como consta al Almirante mi Señor, y a Su Ex.a serviò de hiyo y avuxò en braços quando fue à besar las manos a Su Mayestad a recevir el titulo de Almirante en Valladolid [....]
"Por ello S. Ex.a le mandò dar el Castillo de Modica, los officios de Conservador, Maestre Jurado y Maestre Portulano. [...]
"El dicho Scipion fue el hautor de la Vittoria, que oy es de los meyores lugares que son en el Condado".
Nell´autunno del 1641 il barone modicano Scipione Celestre, ormai avanti negli anni e pieno di acciacchi ("por su vejez y indispositiones") chiedeva con un´istanza in terza persona (come imposto dalla burocrazia) e scritta in castigliano (la lingua dei rapporti ufficiali in tutti i regni spagnoli) che gli fosse consentito ritirarsi a vita privata e che gli subentrasse nella gestione del patrimonio comitale il figlio, "el Doctor Don Jusepe". La "Vs. Ex.a" cui era rivolta l´istanza era la contessa Luisa Sandoval, moglie di Giovanni Alfonso Enriquez Cabrera (la "Su Ex.a" del documento), figlio di donna Vittoria Colonna e di Ludovico III che, divenuto in quell´anno 1641 viceré di Sicilia, affidava per i suoi alti impegni la responsabilità della contea di Modica alla consorte, perpetuando così l´antica tradizione di un´amministrazione "al femminile" di essa.
Nell´esporre le sue benemerenze, acquistate in 48 anni di fedele servizio presso la famiglia Enriquez Cabrera ("criado de 48 años haviendo servido Su ex.ma Casa con tanto amor y fidelidad"), il Celestre ricordava in primo luogo che alla morte del padre Ludovico III ( e dunque nell´anno 1600) lo aveva servito come un figlio e tenuto in braccio ("a Su Ex.a servio de hijo y avuxò en braços") quando era andato ancora infante a rendere omaggio al re Filippo III ("quando fue à besar las manos a Su Majestad") e a ricevere il titolo di Almirante ("y a recevir el titulo de Almirante") a Valladolid.
Inoltre, dice il Celestre "que por ello Su Ex.a le mandò dar el Castillo de Modica, los officios de Conservador, Maestre Jurado y Maestre Portulano". Comandante del Castello di Modica, Conservatore del Patrimonio comitale, Dirigente amministrativo della contea e Direttore responsabile del traffico commerciale del porto di Pozzallo. Queste cariche importanti Vittoria Colonna, in nome e per conto di "Su Ex.a" Giovanni Alfonso ancora in minore età (aveva appena quattro anni), gliele aveva assegnate sul finire dell´anno 1600, subito dopo la morte del consorte Ludovico III. Proprio per la dedizione e fedeltà di Scipione, infatti, il conte Ludovico – e la vedova ne aveva rispettato la volontà – gli aveva promesso quegli alti incarichi nella contea di Modica.
Infine, rivolgendo la sua rispettosa e ossequiosa istanza alla consorte del conte di Modica Giovanni Alfonso Enriquez Cabrera, dice di essere stato l´artefice della fondazione di Vittoria ("el dicho Sipion fue el hautor de la Vittoria"), che già a quel tempo era uno dei centri migliori della contea ("que oy es de los mejores lugares que son en el Condado").
Ove si osservi che il termine usato dal Celestre è appunto quello di "hautor" ("ideatore, creatore, promotore") e non di "fundador" ("fondatore"), ché scrivendo al conte di Modica non poteva arrogarsi un titolo che spettava giuridicamente all´intestatario della "licentia populandi": cioè a Vittoria Colonna, in nome e per conto del figlio minore Juan Alfonso.
Ma, nella sostanza, della fondazione «de la Vittoria» ispiratore e anima era stato indubbiamente Scipione Celestre.
«Volendo S. Ill.ma D. Vittoria Colonna allor Contessa di Modica rifabricar in Boscopiano l´antica distrutta Camarina col nome però di Vittoria, ne avanzò le istanze a Filippo III Re delle Spagne per ottenerne il permesso. Il quale, dietro di essere a lei accordato nell´anno 1606 per via del Tribunale del Real Patrimonio, le fu finalmente nell´anno 1607 dal Re controfirmato con un Real Privilegio».
Intorno alla metà del Settecento gli avvocati Trimarchi e Matranga difesero la città di Vittoria contro quella di Chiaramonte che rivendicava per sé una parte del territorio vittoriese. La tesi degli avvocati, che identificavano Vittoria come rifondazione dell´antica Camarina (e dunque legittimamente proprietaria del territorio dell´antica colonia greca), fu accolta dal Tribunale del Real Patrimonio di Palermo.
Come si era arrivati a quella rifondazione e, soprattutto, quali ragioni economiche e quali suggestioni culturali avevano ispirato il promotore di quella iniziativa?
Nel 1596 il marchese don G. Battista Celestre, Presidente del Tribunale del Real Patrimonio aveva fondato o meglio rifondato l´antico casale di S. Croce da tempo abbandonato per una forte contrazione delle attività produttive. Questa fondazione, peraltro, rientrava in una precisa volontà di sviluppo e di progresso da parte dei baroni siciliani dei loro possedimenti feudali, caduti in una grave crisi produttiva con la conseguente crisi alimentare cominciata nel biennio 1591-92.
Tali nuove fondazioni, inoltre, erano sollecitate e sostenute anche dalle autorità dello Stato e dalla monarchia, che vedevano in quelle massicce colonizzazioni una sorta di valvola di sfogo per i centri urbani siciliani, sovraffollati da turbe di poveri e diseredati e resi per questo difficilmente governabili. Nella contea di Modica città come Modica, Ragusa e Scicli scoppiavano di disoccupati e vagabondi, che costituivano un pericolo per l´ordine pubblico, mentre le campagne non avevano mano d´opera sufficiente.
Il Conservatore del Patrimonio Comitale, Scipione Celestre, stretto congiunto di don G. Battista e impegnato nel risanamento economico del patrimonio della contea, si era reso conto che era necessario avviare un processo di razionalizzazione dell´agricoltura e di incentivazione della rendita agraria.
Nel 1603 il Celestre inviava a donna Vittoria Colonna una relazione dettagliata sulla situazione finanziaria del patrimonio comitale e su un importante progetto che gli stava a cuore da qualche tempo. Sua intenzione era di "haçer casillas en Bosquellano", di costruire una nuova "terra" (un centro abitato) o meglio un casale a Boscopiano, al fine di estendere lì i seminativi per incrementare la produzione granaria e ottenere così maggiori tratte, cioè più salme di cereali da esportare con esenzione dalla tassa governativa ("por el provecio que podìa resultar de sembrarse a quella tierra para tener tratas").
La scelta di Boscopiano per questa operazione di rilancio economico appariva perfino ovvia. La vasta pianura ´mesopotamica´ compresa fra l´Ippari e il Dirillo aveva potenzialità di sviluppo eccezionali per l´abbondanza d´acqua e le favorevoli condizioni climatiche, ed era almeno da un secolo e mezzo oggetto di concessioni enfiteutiche che solo in piccola parte avevano sfruttato quelle potenzialità. Nell´ultimo decennio del Cinquecento, poi, la borghesia specialmente ragusana vi aveva acquistato centinaia e centinaia di salme, che si trovavano concentrate nelle mani di pochi concessionari - in testa Paolo La Restia -, ciascuno dei quali metteva a coltura solo una piccola parte di ogni piccolo feudo acquisito.
Per farne crescere la rendita agraria occorreva un´inversione di tendenza: non più centinaia di salme a un solo concessionario, ma al contrario addirittura una sola salma di terra ciascuno a centinaia di coltivatori.
In un momento in cui (con la diffusione dell´Umanesimo nell´isola e la conseguente riscoperta della grecità) i centri della contea erano protesi alla ricerca della loro identità culturale e la trovavano nella splendida civiltà lasciata dagli antichi Greci, Scipione Celestre progettava di rifondare l´antica Camarina. Il fascino di quelle superbe rovine e la lussureggiante bellezza dei luoghi non potevano lasciare indifferente chi del vasto territorio della contea aveva la responsabilità di seguire con cura e dedizione ogni angolo e contrada, seppure sotto il profilo più squisitamente economico. Senza dire che su di lui agiva la suggestione del suo congiunto don G. Battista Celestre, che aveva riedificato l´antico casale sito nei pressi dell´ancoraggio bizantino di Caucana.
FRANCESCO EREDDIA
"Por ello S. Ex.a le mandò dar el Castillo de Modica, los officios de Conservador, Maestre Jurado y Maestre Portulano. [...]
"El dicho Scipion fue el hautor de la Vittoria, que oy es de los meyores lugares que son en el Condado".
Nell´autunno del 1641 il barone modicano Scipione Celestre, ormai avanti negli anni e pieno di acciacchi ("por su vejez y indispositiones") chiedeva con un´istanza in terza persona (come imposto dalla burocrazia) e scritta in castigliano (la lingua dei rapporti ufficiali in tutti i regni spagnoli) che gli fosse consentito ritirarsi a vita privata e che gli subentrasse nella gestione del patrimonio comitale il figlio, "el Doctor Don Jusepe". La "Vs. Ex.a" cui era rivolta l´istanza era la contessa Luisa Sandoval, moglie di Giovanni Alfonso Enriquez Cabrera (la "Su Ex.a" del documento), figlio di donna Vittoria Colonna e di Ludovico III che, divenuto in quell´anno 1641 viceré di Sicilia, affidava per i suoi alti impegni la responsabilità della contea di Modica alla consorte, perpetuando così l´antica tradizione di un´amministrazione "al femminile" di essa.
Nell´esporre le sue benemerenze, acquistate in 48 anni di fedele servizio presso la famiglia Enriquez Cabrera ("criado de 48 años haviendo servido Su ex.ma Casa con tanto amor y fidelidad"), il Celestre ricordava in primo luogo che alla morte del padre Ludovico III ( e dunque nell´anno 1600) lo aveva servito come un figlio e tenuto in braccio ("a Su Ex.a servio de hijo y avuxò en braços") quando era andato ancora infante a rendere omaggio al re Filippo III ("quando fue à besar las manos a Su Majestad") e a ricevere il titolo di Almirante ("y a recevir el titulo de Almirante") a Valladolid.
Inoltre, dice il Celestre "que por ello Su Ex.a le mandò dar el Castillo de Modica, los officios de Conservador, Maestre Jurado y Maestre Portulano". Comandante del Castello di Modica, Conservatore del Patrimonio comitale, Dirigente amministrativo della contea e Direttore responsabile del traffico commerciale del porto di Pozzallo. Queste cariche importanti Vittoria Colonna, in nome e per conto di "Su Ex.a" Giovanni Alfonso ancora in minore età (aveva appena quattro anni), gliele aveva assegnate sul finire dell´anno 1600, subito dopo la morte del consorte Ludovico III. Proprio per la dedizione e fedeltà di Scipione, infatti, il conte Ludovico – e la vedova ne aveva rispettato la volontà – gli aveva promesso quegli alti incarichi nella contea di Modica.
Infine, rivolgendo la sua rispettosa e ossequiosa istanza alla consorte del conte di Modica Giovanni Alfonso Enriquez Cabrera, dice di essere stato l´artefice della fondazione di Vittoria ("el dicho Sipion fue el hautor de la Vittoria"), che già a quel tempo era uno dei centri migliori della contea ("que oy es de los mejores lugares que son en el Condado").
Ove si osservi che il termine usato dal Celestre è appunto quello di "hautor" ("ideatore, creatore, promotore") e non di "fundador" ("fondatore"), ché scrivendo al conte di Modica non poteva arrogarsi un titolo che spettava giuridicamente all´intestatario della "licentia populandi": cioè a Vittoria Colonna, in nome e per conto del figlio minore Juan Alfonso.
Ma, nella sostanza, della fondazione «de la Vittoria» ispiratore e anima era stato indubbiamente Scipione Celestre.
«Volendo S. Ill.ma D. Vittoria Colonna allor Contessa di Modica rifabricar in Boscopiano l´antica distrutta Camarina col nome però di Vittoria, ne avanzò le istanze a Filippo III Re delle Spagne per ottenerne il permesso. Il quale, dietro di essere a lei accordato nell´anno 1606 per via del Tribunale del Real Patrimonio, le fu finalmente nell´anno 1607 dal Re controfirmato con un Real Privilegio».
Intorno alla metà del Settecento gli avvocati Trimarchi e Matranga difesero la città di Vittoria contro quella di Chiaramonte che rivendicava per sé una parte del territorio vittoriese. La tesi degli avvocati, che identificavano Vittoria come rifondazione dell´antica Camarina (e dunque legittimamente proprietaria del territorio dell´antica colonia greca), fu accolta dal Tribunale del Real Patrimonio di Palermo.
Come si era arrivati a quella rifondazione e, soprattutto, quali ragioni economiche e quali suggestioni culturali avevano ispirato il promotore di quella iniziativa?
Nel 1596 il marchese don G. Battista Celestre, Presidente del Tribunale del Real Patrimonio aveva fondato o meglio rifondato l´antico casale di S. Croce da tempo abbandonato per una forte contrazione delle attività produttive. Questa fondazione, peraltro, rientrava in una precisa volontà di sviluppo e di progresso da parte dei baroni siciliani dei loro possedimenti feudali, caduti in una grave crisi produttiva con la conseguente crisi alimentare cominciata nel biennio 1591-92.
Tali nuove fondazioni, inoltre, erano sollecitate e sostenute anche dalle autorità dello Stato e dalla monarchia, che vedevano in quelle massicce colonizzazioni una sorta di valvola di sfogo per i centri urbani siciliani, sovraffollati da turbe di poveri e diseredati e resi per questo difficilmente governabili. Nella contea di Modica città come Modica, Ragusa e Scicli scoppiavano di disoccupati e vagabondi, che costituivano un pericolo per l´ordine pubblico, mentre le campagne non avevano mano d´opera sufficiente.
Il Conservatore del Patrimonio Comitale, Scipione Celestre, stretto congiunto di don G. Battista e impegnato nel risanamento economico del patrimonio della contea, si era reso conto che era necessario avviare un processo di razionalizzazione dell´agricoltura e di incentivazione della rendita agraria.
Nel 1603 il Celestre inviava a donna Vittoria Colonna una relazione dettagliata sulla situazione finanziaria del patrimonio comitale e su un importante progetto che gli stava a cuore da qualche tempo. Sua intenzione era di "haçer casillas en Bosquellano", di costruire una nuova "terra" (un centro abitato) o meglio un casale a Boscopiano, al fine di estendere lì i seminativi per incrementare la produzione granaria e ottenere così maggiori tratte, cioè più salme di cereali da esportare con esenzione dalla tassa governativa ("por el provecio que podìa resultar de sembrarse a quella tierra para tener tratas").
La scelta di Boscopiano per questa operazione di rilancio economico appariva perfino ovvia. La vasta pianura ´mesopotamica´ compresa fra l´Ippari e il Dirillo aveva potenzialità di sviluppo eccezionali per l´abbondanza d´acqua e le favorevoli condizioni climatiche, ed era almeno da un secolo e mezzo oggetto di concessioni enfiteutiche che solo in piccola parte avevano sfruttato quelle potenzialità. Nell´ultimo decennio del Cinquecento, poi, la borghesia specialmente ragusana vi aveva acquistato centinaia e centinaia di salme, che si trovavano concentrate nelle mani di pochi concessionari - in testa Paolo La Restia -, ciascuno dei quali metteva a coltura solo una piccola parte di ogni piccolo feudo acquisito.
Per farne crescere la rendita agraria occorreva un´inversione di tendenza: non più centinaia di salme a un solo concessionario, ma al contrario addirittura una sola salma di terra ciascuno a centinaia di coltivatori.
In un momento in cui (con la diffusione dell´Umanesimo nell´isola e la conseguente riscoperta della grecità) i centri della contea erano protesi alla ricerca della loro identità culturale e la trovavano nella splendida civiltà lasciata dagli antichi Greci, Scipione Celestre progettava di rifondare l´antica Camarina. Il fascino di quelle superbe rovine e la lussureggiante bellezza dei luoghi non potevano lasciare indifferente chi del vasto territorio della contea aveva la responsabilità di seguire con cura e dedizione ogni angolo e contrada, seppure sotto il profilo più squisitamente economico. Senza dire che su di lui agiva la suggestione del suo congiunto don G. Battista Celestre, che aveva riedificato l´antico casale sito nei pressi dell´ancoraggio bizantino di Caucana.
FRANCESCO EREDDIA