CHIARAMONTE: IL "BARONE DEI CONTADINI" E LE "PARTI DI CARNEVALE" DEL PROF. FRANCESCO EREDDIA

Nato nel 1819 a Chiaramonte Gulfi, dove trascorse in gran parte la sua vita e dove nel 1899 morì, Serafino Amabile Guastella, appartenente a una famiglia baronale, insegnò al Ginnasio comunale di Modica. Il padre, don Gaetano Guastella y Schϋoller, barone del Grillo, era un ricco possidente che alternava l´amministrazione delle sue terre con gli studi di letteratura, economia e filosofia. Nella biblioteca paterna, ricchissima di centinaia di volumi, l´adolescente Serafino respirò quell´atmosfera culturale che doveva dare un´impronta incisiva alla sua vita. Imbevuto di cultura classica (fu cultore di Dante, di Ariosto e dei novellieri del Cinquecento), lesse con interesse Manzoni, Leopardi e i romantici tedeschi, inglesi e francesi ( la sua predilezione andava per Victor Hugo).
Ma ben presto, sulla spinta di studiosi romantici quali Herder e Jacob Grimm, si diffonde anche in Italia la passione per la poesia popolare, che nei siciliani Pitrè, Vigo, Salomone Marino e Avolio ebbe i suoi grandi cultori e ricercatori. Comincia così per il Guastella, pur in quell´angolo remoto della Sicilia, un iter scientifico-letterario che lo porta a esplorare, con il rigore del ricercatore e con la passione del poeta, la cultura contadina della sua terra, la Contea di Modica. Pubblica quindi i «Canti popolari della Contea di Modica» (1876), «Le ninne-nanne del circondario di Modica» (1877) e «L´antico carnevale della Contea di Modica» (1877).
Nel 1881 dà alle stampe un poemetto in versi, «Vestru», dove cantava e rielaborava in maniera originalissima quella stessa mitologia contadina tanto amorevolmente indagata nelle sue ricerche folcloriche. Infine, l´opera in cui lo studioso e il letterato si fondono in una mirabile unità, «Le parità e le storie morali dei nostri villani» (1884). Pubblicata quando il verismo di Capuana e Verga in Sicilia era già una conquista, quest´opera segna il punto più alto raggiunto non solo dal nostro Guastella ma anche da tutta la ricerca folclorica e letteraria del tempo.
***
Dalle sue opere, e soprattutto dalle «Parità», emergono con realistica crudezza le terribili condizioni di vita dei "villani" del circondario di Modica all´indomani dell´Unità, a conclusione cioè di un Risorgimento che aveva lasciato insoluti i gravi problemi secolari delle plebi meridionali. L´inferno popolare che il Guastella ci descrive, infatti, suona come un´implicita e profetica condanna del fallimento o, se si preferisce, del tradimento delle istanze risorgimentali.
"Parità" nel dialetto del circondario di Modica significa "parabola", e la parola richiama immediatamente il Vangelo. Solo che tutte le "parità" raccolte da Serafino Amabile Guastella costituiscono, in effetti, un vero e proprio "antivangelo". «Crediamo sia difficile - scriveva a questo proposito Leonardo Sciascia, a cui si deve la riscoperta del Guastella e che nel 1986 organizzò a Chiaramonte un Convegno nazionale sulla figura e l´opera dello scrittore con la partecipazione dei più illustri studiosi italiani - trovare nell´animo e nella cultura di altri popoli una visione della vita così rigidamente e coerentemente in opposizione al messaggio evangelico».
C´è nelle "parità" raccolte dal Guastella una morale evangelica alla rovescia: quelle ´storie´ prescrivono comportamenti asociali e antisociali, attribuiscono a Dio e ai santi atteggiamenti tipici di un mondo contadino impegnato nella terribile lotta quotidiana per la sopravvivenza. Un "paganesimo" di fondo, dunque, serpeggiava fra le masse contadine.
Due erano i momenti dell´anno in cui nella contea di Modica - come peraltro in altre parti della Sicilia, dell´Italia e dell´Europa - il mondo contadino era percorso da periodiche ribellioni e da momenti di sfogo collettivo che le autorità da tempo immemorabile tolleravano e tutto sommato tenevano sotto controllo.
Uno era nel periodo atroce della mietitura, quando il lavoro massacrante dei contadini avveniva sotto un sole cocente e infernale, "di suli in suli", dall´alba al tramonto. E nell´Introduzione ai suoi «Canti popolari del circondario di Modica» il nostro "barone dei contadini" aveva inserito un lungo canto dei mietitori per il quale Sciascia giustamente parlò di «scatenata anarchia contadina», di odio cioè verso ogni altra classe e categoria sociale e di devastazione di ogni valore sociale.
L´altro momento dell´anno di infrazione e rovesciamento di ogni convenzione sociale era durante il Carnevale. Era il momento della gioia sfrenata, della follia collettiva, della libertà assoluta di critica e polemica contro usi, costumi, istituzioni, credenze e autorità. Esplodeva spontanea una satira feroce contro tutti e contro tutto. In quei momenti i principi cristiani venivano cancellati d´un colpo: il mondo dei contadini e degli artigiani sembrava ripiombare nel paganesimo.
Era come se il diavolo si impadronisse di tutti. E tutti si lasciavano tentare e possedere dal maligno.
***
Nel suo «Antico carnevale della Contea di Modica» il Guastella ci descrive dettagliatamente i giorni del carnevale a Chiaramonte Gulfi e ci informa su tre tipi di «mascherate».
C´era la «mascherata dei gentiluomini», che costava alle famiglie che vi partecipavano mesi e mesi di lavoro e di spese per allestire costumi ricchi e sontuosi, per prepararsi nei balli che, sotto la guida di esperti maestri, riproducevano perfettamente l´epoca e i costumi riprodotti nei cortei. In questo genere di costosissime mascherate - ci informa il Guastella - nessun paese poteva eguagliare Ragusa.
Poi c´era il corteo mascherato degli artigiani, che ritraeva l´antica vita popolare siciliana: era tutta una processione di enormi fiaschi, di spropositati grappoli d´uva, di cocomeri giganti che si aprivano lasciando uscire un´allegra compagnia di saltimbanchi. Seguivano, quindi, salti, contorcimenti, capitomboli pittoreschi, e poi balli sfrenati con musica e poesia buffonesca e satirica.
Terza e ultima mascherata era quella dei "villani", dei contadini. Le mascherate dei contadini di Chiaramonte, chiamate «Parti di carnevale», erano dirette contro i mastri e i massari, contro i gentiluomini, gli amministratori del municipio, i medici, gli speziali, gli avvocati e i notai. «Or nella domenica grassa - ci narra il Guastella col suo consueto stile colorito - una turba di villani, travestiti meschinamente, privi di maschera, ma con baffi posticci, con occhiali nudi di vetro, con parrucche di stoppa, tatuati orribilmente nel volto a strisce nere e vermiglie, recitavano un lungo componimento poetico, composto da qualcuno dei poeti del paesello fra un colpo e l´altro di zappa, fra l´uno e l´altro solco di aratro. Ciascuno dei mascherati recitava un´ottava, ma la prima e l´ultima doveano essere declamate dallo stesso poeta. Fra i paesi della Contea, per quanto abbia indagato, Chiaramonte era il solo ove recitavansi tali satire».
Le ragioni sociali di questa ribellione mascherata e periodica ce le fornisce, con una straordinaria modernità, lo stesso Serafino Amabile Guastella: «Chi prende meraviglia del desiderio intensissimo col quale la plebe nostra aspettava la sera del martedì grasso, è uopo che richiami alla mente la condizione loro miserrima. La mercede degli agricoltori era magra, e per la maggior parte in derrate; e si aggiunga che i lavori agrari nella Contea erano interrotti da larghi spazi di tempo. Talché senza la sobrietà meravigliosa del nostro popolo sarebbe riuscito impossibile tirar via con la famiglia».
FRANCESCO EREDDIA
Ma ben presto, sulla spinta di studiosi romantici quali Herder e Jacob Grimm, si diffonde anche in Italia la passione per la poesia popolare, che nei siciliani Pitrè, Vigo, Salomone Marino e Avolio ebbe i suoi grandi cultori e ricercatori. Comincia così per il Guastella, pur in quell´angolo remoto della Sicilia, un iter scientifico-letterario che lo porta a esplorare, con il rigore del ricercatore e con la passione del poeta, la cultura contadina della sua terra, la Contea di Modica. Pubblica quindi i «Canti popolari della Contea di Modica» (1876), «Le ninne-nanne del circondario di Modica» (1877) e «L´antico carnevale della Contea di Modica» (1877).
Nel 1881 dà alle stampe un poemetto in versi, «Vestru», dove cantava e rielaborava in maniera originalissima quella stessa mitologia contadina tanto amorevolmente indagata nelle sue ricerche folcloriche. Infine, l´opera in cui lo studioso e il letterato si fondono in una mirabile unità, «Le parità e le storie morali dei nostri villani» (1884). Pubblicata quando il verismo di Capuana e Verga in Sicilia era già una conquista, quest´opera segna il punto più alto raggiunto non solo dal nostro Guastella ma anche da tutta la ricerca folclorica e letteraria del tempo.
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Dalle sue opere, e soprattutto dalle «Parità», emergono con realistica crudezza le terribili condizioni di vita dei "villani" del circondario di Modica all´indomani dell´Unità, a conclusione cioè di un Risorgimento che aveva lasciato insoluti i gravi problemi secolari delle plebi meridionali. L´inferno popolare che il Guastella ci descrive, infatti, suona come un´implicita e profetica condanna del fallimento o, se si preferisce, del tradimento delle istanze risorgimentali.
"Parità" nel dialetto del circondario di Modica significa "parabola", e la parola richiama immediatamente il Vangelo. Solo che tutte le "parità" raccolte da Serafino Amabile Guastella costituiscono, in effetti, un vero e proprio "antivangelo". «Crediamo sia difficile - scriveva a questo proposito Leonardo Sciascia, a cui si deve la riscoperta del Guastella e che nel 1986 organizzò a Chiaramonte un Convegno nazionale sulla figura e l´opera dello scrittore con la partecipazione dei più illustri studiosi italiani - trovare nell´animo e nella cultura di altri popoli una visione della vita così rigidamente e coerentemente in opposizione al messaggio evangelico».
C´è nelle "parità" raccolte dal Guastella una morale evangelica alla rovescia: quelle ´storie´ prescrivono comportamenti asociali e antisociali, attribuiscono a Dio e ai santi atteggiamenti tipici di un mondo contadino impegnato nella terribile lotta quotidiana per la sopravvivenza. Un "paganesimo" di fondo, dunque, serpeggiava fra le masse contadine.
Due erano i momenti dell´anno in cui nella contea di Modica - come peraltro in altre parti della Sicilia, dell´Italia e dell´Europa - il mondo contadino era percorso da periodiche ribellioni e da momenti di sfogo collettivo che le autorità da tempo immemorabile tolleravano e tutto sommato tenevano sotto controllo.
Uno era nel periodo atroce della mietitura, quando il lavoro massacrante dei contadini avveniva sotto un sole cocente e infernale, "di suli in suli", dall´alba al tramonto. E nell´Introduzione ai suoi «Canti popolari del circondario di Modica» il nostro "barone dei contadini" aveva inserito un lungo canto dei mietitori per il quale Sciascia giustamente parlò di «scatenata anarchia contadina», di odio cioè verso ogni altra classe e categoria sociale e di devastazione di ogni valore sociale.
L´altro momento dell´anno di infrazione e rovesciamento di ogni convenzione sociale era durante il Carnevale. Era il momento della gioia sfrenata, della follia collettiva, della libertà assoluta di critica e polemica contro usi, costumi, istituzioni, credenze e autorità. Esplodeva spontanea una satira feroce contro tutti e contro tutto. In quei momenti i principi cristiani venivano cancellati d´un colpo: il mondo dei contadini e degli artigiani sembrava ripiombare nel paganesimo.
Era come se il diavolo si impadronisse di tutti. E tutti si lasciavano tentare e possedere dal maligno.
***
Nel suo «Antico carnevale della Contea di Modica» il Guastella ci descrive dettagliatamente i giorni del carnevale a Chiaramonte Gulfi e ci informa su tre tipi di «mascherate».
C´era la «mascherata dei gentiluomini», che costava alle famiglie che vi partecipavano mesi e mesi di lavoro e di spese per allestire costumi ricchi e sontuosi, per prepararsi nei balli che, sotto la guida di esperti maestri, riproducevano perfettamente l´epoca e i costumi riprodotti nei cortei. In questo genere di costosissime mascherate - ci informa il Guastella - nessun paese poteva eguagliare Ragusa.
Poi c´era il corteo mascherato degli artigiani, che ritraeva l´antica vita popolare siciliana: era tutta una processione di enormi fiaschi, di spropositati grappoli d´uva, di cocomeri giganti che si aprivano lasciando uscire un´allegra compagnia di saltimbanchi. Seguivano, quindi, salti, contorcimenti, capitomboli pittoreschi, e poi balli sfrenati con musica e poesia buffonesca e satirica.
Terza e ultima mascherata era quella dei "villani", dei contadini. Le mascherate dei contadini di Chiaramonte, chiamate «Parti di carnevale», erano dirette contro i mastri e i massari, contro i gentiluomini, gli amministratori del municipio, i medici, gli speziali, gli avvocati e i notai. «Or nella domenica grassa - ci narra il Guastella col suo consueto stile colorito - una turba di villani, travestiti meschinamente, privi di maschera, ma con baffi posticci, con occhiali nudi di vetro, con parrucche di stoppa, tatuati orribilmente nel volto a strisce nere e vermiglie, recitavano un lungo componimento poetico, composto da qualcuno dei poeti del paesello fra un colpo e l´altro di zappa, fra l´uno e l´altro solco di aratro. Ciascuno dei mascherati recitava un´ottava, ma la prima e l´ultima doveano essere declamate dallo stesso poeta. Fra i paesi della Contea, per quanto abbia indagato, Chiaramonte era il solo ove recitavansi tali satire».
Le ragioni sociali di questa ribellione mascherata e periodica ce le fornisce, con una straordinaria modernità, lo stesso Serafino Amabile Guastella: «Chi prende meraviglia del desiderio intensissimo col quale la plebe nostra aspettava la sera del martedì grasso, è uopo che richiami alla mente la condizione loro miserrima. La mercede degli agricoltori era magra, e per la maggior parte in derrate; e si aggiunga che i lavori agrari nella Contea erano interrotti da larghi spazi di tempo. Talché senza la sobrietà meravigliosa del nostro popolo sarebbe riuscito impossibile tirar via con la famiglia».
FRANCESCO EREDDIA