" COSIMO CANNATA DA ISPICA, L´ERETICO GIUSTIZIATO... DOPO MORTO! " DEL PROF. FRANCESCO EREDDIA.
Con decreto regio del 27 luglio 1500 venne istituito ufficialmente e solennemente in Sicilia il «Tribunale Provinciale permanente del Santo Ufficio della Inquisizione».
Per l´isola – da sempre protesa, peraltro, verso una relativa autonomia rispetto al potere centrale del sovrano - era un fatto non solo nuovo, ma difficile da accettare sul piano politico. Infatti, l´antica Inquisizione romana (ufficialmente operativa in Sicilia dai tempi di Federico II di Svevia) era stata un organismo prettamente ecclesiastico dipendente dal pontefice che agiva attraverso i frati predicatori con la collaborazione (se e quando veniva prestata) dei magistrati siciliani. Adesso invece il Sant´Uffizio siciliano era un organo giudiziario dipendente direttamente dal sovrano e dall´Inquisitore Generale di Spagna, posto al di fuori e al di sopra delle istituzioni civili e religiose siciliane, viceré e arcivescovo di Palermo compresi.
Le sentenze emesse da questo Tribunale contro eretici e apostati dovevano essere eseguite dalle istituzioni laiche, senza poter entrare nel merito di esse e valutarne la validità e la congruità.
Appena ricevuta una denunzia (il più delle volte anonima), gli inquisitori prendevano segretamente informazioni sui fatti e le persone implicate; quindi venivano chiamati a deporre i testimoni, i cui nomi rimanevano segreti; il sospettato veniva arrestato e sottoposto a interrogatorio (largo uso si faceva in questa fase della tortura). L´inquisito doveva dichiarare anche i nomi dei genitori e dei congiunti e manifestare se fossero fedeli, eretici o già condannati o sottoposti a processo dall´Inquisizione. Quindi i teologi e i confessori lo ammonivano e istruivano, affinché riconoscesse e abiurasse i propri errori.
Chi confessava ed era pronto ad abiurare («de levi» o «de vehementi», a seconda della gravità delle imputazioni) e sottomettersi alla penitenza e alle pene che gli sarebbero state inflitte, veniva dichiarato "riconciliato" alla Santa Madre Chiesa e incluso fra i "penitenziati". Nel corso di una cerimonia pubblica (autodafé), vestito del «sambenito» (l´abito del penitente, un sacco giallo e corto con due strisce che formavano una croce di Sant´Andrea), faceva l´abiura dei propri errori e veniva ricondotto nelle prigioni del Sant´Uffizio, per espiare la pena del carcere o come rematore nelle galere.
Chi fosse ricaduto nell´eresia, veniva considerato «relapso» ("recidivo") e processato come «impenitente»: condannato quale eretico «ostinato», veniva «rilasciato al braccio secolare», cioè consegnato alla giustizia laica per l´estrema punizione. Per delitto di eresia era anche permesso procedere contro i defunti, condannarne la memoria, disseppellire i cadaveri di eretici e scomunicati e bruciarne le ossa o la statua.
E a proposito di statua, se qualcuno fuggiva prima dell´arresto, veniva ugualmente processato in contumacia e sul rogo veniva posto un manichino al posto della persona: si definiva «rilasciato in statua al braccio secolare».
***
"Giovedì a 13 dic. 1607 fu fatta la processione delli inquisiti, quali uscero di Castello a mari a uri 16 circa, con la compagnia dell´Assunzioni innanti, e appresso tutti li conventi et alcuni clerici seculari. Da poi venivano li inquisiti, quali foro di numero 45, e all´ultimo venia una statua di cartuni, quali statua era di un medico domandato Zosimo Cannata della terra Spaccafurnu, quali era eretico marcio et era morto da tre anni in circa. [...] Si lessi processo di detto Zosimo; e letto che fu, detta statua la dettiro in mano a la giustizia temporali, che fussi abruciata, et ancora li soi ossi fossiro abruciati, e li soi eredi non potissiro incurriri in nixiuno benefizio né ecclesiastico né seculari usque ad quartum gradum, né pozzano andari a cavallo, né vestirsi di sita".
Impressionante e per molti versi emblematica la vicenda di un medico di Spaccaforno (Ispica), Cosimo Cannata, «rilasciato in statua» e condannato al rogo dopo ben tre anni che era passato – e mai eufemismo poté essere più veritiero di questo – a miglior vita.
Professava le sue idee luterane in maniera pericolosamente caustica: derideva il viatico, chiamandolo «l´ostiella»; affermava che giudei e saraceni potevano aspirare alla salvezza eterna tanto quanto i cristiani, che anzi gli ´infedeli´ «la salvezza ce l´avevano nel prepuzio attraverso la circoncisione»; negava la verginità di Maria, ritenendo impossibile che «fosse rimasta vergine durante e dopo il parto»; sosteneva «che il divieto di mangiare il pomo fatto da Dio ad Adamo non riguardava realmente il pomo, bensì l´atto sessuale contro natura, e che la disubbidienza di Adamo nel mangiare il frutto consistette nel conoscere carnalmente Eva contro natura».
Processato una prima volta e poi riconciliato, era stato catturato dai Turchi e in terra islamica era vissuto da maomettano per ben diciassette anni. Ritornato in Sicilia, fu inquisito e ancora riconciliato; ma dopo non molto fu denunciato e se ne ordinò l´arresto. Nel frattempo, però, se ne era andato da questa vita, togliendo ogni disturbo al Sant´Uffizio. Il quale, nondimeno, questo disturbo volle prenderselo ugualmente e avviò un processo alla memoria.
Nel dibattimento a lungo si disquisì, da parte di giudici e dottori, se dovesse essere esumato il suo cadavere per dannarlo alla pena estrema. Alla fine si decise che sì, doveva essere riesumato: c´era, infatti, il conforto di illustri precedenti, da quello di papa Bonifacio VIII, che nel Trecento aveva fatto riesumare un eretico di Ferrara ritenuto in vita addirittura un santo, a quello dell´eretico Joan Wycliffe, messo al rogo "post mortem". Wycliffe (1330-1384), un professore dell´università di Oxford, aveva elaborato una dottrina che predicava la povertà evangelica e respingeva il potere temporale della Chiesa, la gerarchia ecclesiastica e l´autorità del pontefice, ed inoltre negava i sacramenti e il culto dei santi. Nel Concilio di Costanza del 1415 (trent´anni dopo che era morto!) venne giudicato eretico e condannato al rogo.
Anche le proposizioni ereticali di Cosimo Cannata da Spaccaforno erano state giudicate della massima gravità. I suoi discendenti fino al quarto grado vennero condannati ad essere esclusi da ogni ufficio ecclesiastico e laico, la sua «statua di cartuni» venne data alle fiamme e le sue osse dissepolte furono bruciate assieme al manichino, presso una colonna della chiesa di Sant´Agata.
Era il 13 dicembre, giorno dedicato a S. Lucia, nel quale nella contea di Modica si accendevano in onore della santa siracusana "li vampanigghi". E forse la data di quell´ennesimo autodafé non era stata scelta a caso.
FRANCESCO EREDDIA
Per l´isola – da sempre protesa, peraltro, verso una relativa autonomia rispetto al potere centrale del sovrano - era un fatto non solo nuovo, ma difficile da accettare sul piano politico. Infatti, l´antica Inquisizione romana (ufficialmente operativa in Sicilia dai tempi di Federico II di Svevia) era stata un organismo prettamente ecclesiastico dipendente dal pontefice che agiva attraverso i frati predicatori con la collaborazione (se e quando veniva prestata) dei magistrati siciliani. Adesso invece il Sant´Uffizio siciliano era un organo giudiziario dipendente direttamente dal sovrano e dall´Inquisitore Generale di Spagna, posto al di fuori e al di sopra delle istituzioni civili e religiose siciliane, viceré e arcivescovo di Palermo compresi.
Le sentenze emesse da questo Tribunale contro eretici e apostati dovevano essere eseguite dalle istituzioni laiche, senza poter entrare nel merito di esse e valutarne la validità e la congruità.
Appena ricevuta una denunzia (il più delle volte anonima), gli inquisitori prendevano segretamente informazioni sui fatti e le persone implicate; quindi venivano chiamati a deporre i testimoni, i cui nomi rimanevano segreti; il sospettato veniva arrestato e sottoposto a interrogatorio (largo uso si faceva in questa fase della tortura). L´inquisito doveva dichiarare anche i nomi dei genitori e dei congiunti e manifestare se fossero fedeli, eretici o già condannati o sottoposti a processo dall´Inquisizione. Quindi i teologi e i confessori lo ammonivano e istruivano, affinché riconoscesse e abiurasse i propri errori.
Chi confessava ed era pronto ad abiurare («de levi» o «de vehementi», a seconda della gravità delle imputazioni) e sottomettersi alla penitenza e alle pene che gli sarebbero state inflitte, veniva dichiarato "riconciliato" alla Santa Madre Chiesa e incluso fra i "penitenziati". Nel corso di una cerimonia pubblica (autodafé), vestito del «sambenito» (l´abito del penitente, un sacco giallo e corto con due strisce che formavano una croce di Sant´Andrea), faceva l´abiura dei propri errori e veniva ricondotto nelle prigioni del Sant´Uffizio, per espiare la pena del carcere o come rematore nelle galere.
Chi fosse ricaduto nell´eresia, veniva considerato «relapso» ("recidivo") e processato come «impenitente»: condannato quale eretico «ostinato», veniva «rilasciato al braccio secolare», cioè consegnato alla giustizia laica per l´estrema punizione. Per delitto di eresia era anche permesso procedere contro i defunti, condannarne la memoria, disseppellire i cadaveri di eretici e scomunicati e bruciarne le ossa o la statua.
E a proposito di statua, se qualcuno fuggiva prima dell´arresto, veniva ugualmente processato in contumacia e sul rogo veniva posto un manichino al posto della persona: si definiva «rilasciato in statua al braccio secolare».
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"Giovedì a 13 dic. 1607 fu fatta la processione delli inquisiti, quali uscero di Castello a mari a uri 16 circa, con la compagnia dell´Assunzioni innanti, e appresso tutti li conventi et alcuni clerici seculari. Da poi venivano li inquisiti, quali foro di numero 45, e all´ultimo venia una statua di cartuni, quali statua era di un medico domandato Zosimo Cannata della terra Spaccafurnu, quali era eretico marcio et era morto da tre anni in circa. [...] Si lessi processo di detto Zosimo; e letto che fu, detta statua la dettiro in mano a la giustizia temporali, che fussi abruciata, et ancora li soi ossi fossiro abruciati, e li soi eredi non potissiro incurriri in nixiuno benefizio né ecclesiastico né seculari usque ad quartum gradum, né pozzano andari a cavallo, né vestirsi di sita".
Impressionante e per molti versi emblematica la vicenda di un medico di Spaccaforno (Ispica), Cosimo Cannata, «rilasciato in statua» e condannato al rogo dopo ben tre anni che era passato – e mai eufemismo poté essere più veritiero di questo – a miglior vita.
Professava le sue idee luterane in maniera pericolosamente caustica: derideva il viatico, chiamandolo «l´ostiella»; affermava che giudei e saraceni potevano aspirare alla salvezza eterna tanto quanto i cristiani, che anzi gli ´infedeli´ «la salvezza ce l´avevano nel prepuzio attraverso la circoncisione»; negava la verginità di Maria, ritenendo impossibile che «fosse rimasta vergine durante e dopo il parto»; sosteneva «che il divieto di mangiare il pomo fatto da Dio ad Adamo non riguardava realmente il pomo, bensì l´atto sessuale contro natura, e che la disubbidienza di Adamo nel mangiare il frutto consistette nel conoscere carnalmente Eva contro natura».
Processato una prima volta e poi riconciliato, era stato catturato dai Turchi e in terra islamica era vissuto da maomettano per ben diciassette anni. Ritornato in Sicilia, fu inquisito e ancora riconciliato; ma dopo non molto fu denunciato e se ne ordinò l´arresto. Nel frattempo, però, se ne era andato da questa vita, togliendo ogni disturbo al Sant´Uffizio. Il quale, nondimeno, questo disturbo volle prenderselo ugualmente e avviò un processo alla memoria.
Nel dibattimento a lungo si disquisì, da parte di giudici e dottori, se dovesse essere esumato il suo cadavere per dannarlo alla pena estrema. Alla fine si decise che sì, doveva essere riesumato: c´era, infatti, il conforto di illustri precedenti, da quello di papa Bonifacio VIII, che nel Trecento aveva fatto riesumare un eretico di Ferrara ritenuto in vita addirittura un santo, a quello dell´eretico Joan Wycliffe, messo al rogo "post mortem". Wycliffe (1330-1384), un professore dell´università di Oxford, aveva elaborato una dottrina che predicava la povertà evangelica e respingeva il potere temporale della Chiesa, la gerarchia ecclesiastica e l´autorità del pontefice, ed inoltre negava i sacramenti e il culto dei santi. Nel Concilio di Costanza del 1415 (trent´anni dopo che era morto!) venne giudicato eretico e condannato al rogo.
Anche le proposizioni ereticali di Cosimo Cannata da Spaccaforno erano state giudicate della massima gravità. I suoi discendenti fino al quarto grado vennero condannati ad essere esclusi da ogni ufficio ecclesiastico e laico, la sua «statua di cartuni» venne data alle fiamme e le sue osse dissepolte furono bruciate assieme al manichino, presso una colonna della chiesa di Sant´Agata.
Era il 13 dicembre, giorno dedicato a S. Lucia, nel quale nella contea di Modica si accendevano in onore della santa siracusana "li vampanigghi". E forse la data di quell´ennesimo autodafé non era stata scelta a caso.
FRANCESCO EREDDIA