" CRISI AGRARIA, IMMIGRAZIONE E BANDITISMO NELLA CONTEA DI MODICA " DI FRANCESCO EREDDIA
L´anno di svolta per l´economia della Sicilia e della nostra contea era stato il 1575. In quell´anno, regnando Filippo II, il quadro politico siciliano è dominato dalla bancarotta della Tesoreria castigliana, con effetti che coinvolgono la politica economica e fiscale di tutti i Regni e Stati spagnoli. Di conseguenza il governo aveva inasprito la sua politica fiscale per tentare disperatamente di colmare, o almeno ridurre, l´astronomico disavanzo di circa 18 milioni di ducati attraverso maggiori entrate da donativi, gabelle e tratte.
Nello stesso anno, per di più, la Sicilia fu colpita dalla peste, che continuò a serpeggiare soprattutto nelle campagne per circa dieci anni, seguita da una carestia terribile a cui si salderà un´epidemia di tifo a partire dal ´91. Il grande sviluppo economico del periodo 1500-1574 aveva prodotto una crescita della produzione e della rendita agraria e un notevole incremento demografico, per cui la popolazione del tavolato ibleo nel versante ragusano raddoppia: in particolare Modica era passata da 7.000 a 18.000 abitanti, Scicli aveva raggiunto i 13.000, Ragusa i 10.000, ed erano cresciuti in maniera proporzionale anche i piccoli e medi centri. Adesso, invece, a causa del doppio flagello della peste e della carestia, appare bloccato il livello demografico soprattutto della Sicilia sud-orientale: proprio quest´area va soggetta negli anni 1570-1583 a un patologico decremento, per cui la contea di Modica perde l´8% della popolazione, con punte massime nella città di Ragusa (-27%) e Modica (-18%).
La crisi del ´75, peraltro, giungeva dopo le penurie del 1554 e 1557 e le crisi cerealicole del 1565 e 1569, aggravate - come sempre accadeva drammaticamente a causa dell´infernale binomio carestia/epidemia - dall´epidemia di meningite del 1557 e da quelle influenzali del 1563-65. La denutrizione e la scarsa alimentazione rendevano gli individui più esposti al male, la popolazione diminuiva, la manodopera scarseggiava e le attività agricole subivano una forte flessione provocando diminuzione dei raccolti e penurie granarie. Cresceva inevitabilmente, in questa diffusa situazione di crisi, il numero di coloro che si indebitavano un anno dopo l´altro, sperando vanamente, anno dopo anno, in un raccolto miracoloso che consentisse loro di poter pagare i debiti accumulati e avere da investire in sementi e attrezzi per il raccolto successivo.
***
«Per il vostro memoriale ni havete informato che molti personi di questo contato, sentendosi banditi, si salvano nelle terre et territorij convicinj, li quali voy non potete prendere per non habere in quelli jurisdicione, et havendonj per ciò supplicato ni degnassimo donar licentia, [...]
"vi diamo et concedemo licentia et potestà che, di qua innante, voy oy vero il vostro capitano di questa terra di Modica liberamente possiate discorrere, in la prosecuzione et busca di delinquenti et discorritori di campagna, per spazio di migla trenta cinco circa ultra il territorio di detta città, et questo discorrendo con quanti compagni vi parerà necessario, cossì a pedi come a cavallo, cum scopetti ad opra cum artificio di foco, tanto consunti come divisi. Et prendendo alcuni delinquenti et discorritori di campagna, contra quelli procedereti conforme a la potestà che teneti».
Alla metà di ottobre del 1585 il viceré Diego Enriquez de Guzman conte di Albadalista, che era succeduto a Marcantonio Colonna, inviava a don Juan Enriquez, governatore della contea di Modica, un´ordinanza con cui prendeva atto della richiesta da quest´ultimo avanzata di poter inseguire e catturare anche fuori della contea quanti, condannati dalla Corte Criminale di Modica e colpiti da bando di arresto («banditi»), si sottraevano alla giustizia rifugiandosi nelle città e campagne limitrofe («si salvano nelle terre et territorij circonvicini»). Con questa ordinanza il viceré dava facoltà («potestà et licentia») alla polizia della contea («capitano di questa terra di Modica... et compagni») di sconfinare per trentacinque miglia («discorrere... per spazio di migla trenta cinco circa ultra il territorio di detta città») con le armi pronte ad aprire il fuoco («cum scopetti ad opra cum artificio di foco»), al fine di garantire la cattura («busca»: è uno spagnolismo) di questi criminali.
Il documento sollecita non poche riflessioni. Anzitutto, si ha la sensazione generale di una recrudescenza della criminalità organizzata, in quanto nei registri della cancelleria comitale solo da un certo periodo in poi cominciano a fare la loro comparsa atti pubblici simili a questo citato. Ci riferiamo soprattutto ai «discorritori di campagna», cioè ai briganti riuniti in bande, laddove i «delinquenti» più volte chiamati in causa nell´ordinanza viceregia erano singoli soggetti che a vario titolo avevano infranto le leggi vigenti: ma anche il numero di questi cosiddetti reati comuni (furti, tentati omicidi, assassinii, etc.) doveva essere cresciuto in modo preoccupante, se venivano chiesti e concessi poteri speciali anche contro quella che oggi usa chiamare "microcriminalità".
In effetti, si può affermare che in Sicilia, come peraltro in tutti i Paesi europei, la grande espansione economica iniziata ai primi del Cinquecento aveva prodotto inquietanti fenomeni di instabilità sociale all´interno delle città. I centri urbani più sviluppati cominciarono naturalmente ad attirare tanti individui, che lasciavano la campagna per trovare in città migliori condizioni di vita. La maggior parte di questi immigrati, però, non riuscivano a inserirsi con un lavoro stabile nel settore dell´edilizia o dell´artigianato o al servizio delle famiglie nobili e altoborghesi, e così restavano disoccupati e andavano a ingrossare le file degli emarginati, di quanti cioè vivevano di ripieghi dandosi al gioco d´azzardo, alla ricettazione, ai furti e alle rapine.
Il viceré Colonna aveva adottato intorno agli anni Ottanta misure severe contro i vagabondi: dovevano in tempi brevi trovarsi un´occupazione fissa o finire in galera, cioè sottoporsi al lavoro disumano e straziante di rematori nelle galere o galee. Queste leggi erano risultate molto efficaci per combattere la criminalità cittadina e, in più, attraverso il rastrellamento periodico dei vagabondi garantivano gli effettivi dei rematori nelle galere senza particolari spese per le autorità governative.
Diversa cosa era la criminalità nelle campagne, praticata da quei «discorritori di campagna» contro cui il vicerè, come abbiamo visto, concedeva poteri speciali alla polizia della contea di Modica. Contro i briganti, dediti prevalentemente alle rapine, agli abigeati e ai sequestri di persona, non potevano valere ovviamente le leggi contro il vagabondaggio. Frequenti erano le collusioni fra i briganti e il potere feudale, per cui il viceré Colonna, fin dall´inizio del suo mandato proteso a limitare il potere dei baroni e a rafforzare quello dello stato, nel 1578 - lo stesso anno in cui assicurò alla giustizia e mandò immediatamente alla forca due famigerati banditi, Girolamo Colloca e Rocco di Saponara, che godevano della protezione di alcuni personaggi altolocati – promulgò una prammatica con cui si semplificava la procedura per l´acquisizione delle prove di connivenza di alti personaggi della nobiltà con i banditi. Bastavano le dichiarazioni rese da due soli briganti, anche sotto tortura, e per i nobili denunciati da quelle dichiarazioni scattava l´arresto immediato e il processo.
Anche nella contea di Modica la tortura era prassi comune, ed essa era praticata nei «dammuselli», cioè nelle stanze sotterranee del castello di Modica, sede della Gran Corte Criminale. In un documento, infatti, si attesta «il loco della tortura avere tutti li tavoli e travi guaste fraciti et xippati». E un altro documento autorizza che a un uomo sorpreso a rubare «si ci pozzia procedere a darli il tormento della corda».
Ma i briganti con le loro imprese eccitavano la fantasia delle classi più povere, che li appoggiavano e aiutavano, anche perché alla base delle azioni delittuose delle bande armate c´erano indubbiamente forti motivazioni sociali. Si può ben affermare che il banditismo è una forma piuttosto primitiva di protesta sociale organizzata, forse la più primitiva che si conosca. I poveri proteggono i banditi, li considerano loro difensori e li idealizzano: quasi mai la popolazione collabora con le autorità di polizia nella cattura di un bandito, anzi lo protegge e lo nasconde.
Nell´ultimo decennio del Cinquecento si ha l´impressione di un aggravarsi del fenomeno criminale nella cuspide meridionale dell´isola, dato l´intensificarsi di ordinanze viceregie per la lotta alla criminalità.
Negli anni finali di quel secolo, infatti, il viceré Marchese di Geraci con un´ordinanza invitava il governatore della contea di Modica (l´uomo d´affari ragusano Paolo La Restia) e le autorità di Siracusa a collaborare strettamente al fine di comminare l´estradizione ai tanti criminali che, avendo commesso dei delitti nel territorio comitale, si erano rifugiati nel territorio della città di Siracusa e, viceversa, di simili ´banditi´ che da Siracusa avevano cercato riparo nella contea. Ma adesso le ragioni di questa recrudescenza criminale non andavano tanto cercate in un´epidemia e nella conseguente crisi agraria, quanto nelle conseguenze di veri e propri fenomeni di "immigrazione". Ci spieghiamo meglio.
Se la popolazione della contea aveva rivelato nel censimento dell´83 un decremento consistente, dopo la grande carestia del 1591-92 le cose andarono diversamente. Nel Rivelo del ´95, infatti, si registra nella contea di Modica un incremento notevole (+6%) rispetto ad altre aree dell´isola in cui invece si verifica un vistoso decremento demografico (Catania -12%, Enna -28%, Siracusa -6%, Messina -12%).
Dobbiamo dedurre che, se la peste del 1575 e la conseguente carestia avevano prodotto dei vuoti nella popolazione della contea di Modica, essi erano stati abbondantemente colmati da un flusso migratorio interno, che portava in quest´area ricca e produttiva dell´isola non solo gruppi umani alla ricerca di un lavoro e di migliori condizioni di vita, ma anche individui singoli o organizzati in bande che in quelle terre progettavano di conseguire facili guadagni.
Tutto questo produceva inevitabilmente conflitti fra i residenti e gli immigrati, instabilità sociale e aumento dei fenomeni criminosi.
FRANCESCO EREDDIA
Nello stesso anno, per di più, la Sicilia fu colpita dalla peste, che continuò a serpeggiare soprattutto nelle campagne per circa dieci anni, seguita da una carestia terribile a cui si salderà un´epidemia di tifo a partire dal ´91. Il grande sviluppo economico del periodo 1500-1574 aveva prodotto una crescita della produzione e della rendita agraria e un notevole incremento demografico, per cui la popolazione del tavolato ibleo nel versante ragusano raddoppia: in particolare Modica era passata da 7.000 a 18.000 abitanti, Scicli aveva raggiunto i 13.000, Ragusa i 10.000, ed erano cresciuti in maniera proporzionale anche i piccoli e medi centri. Adesso, invece, a causa del doppio flagello della peste e della carestia, appare bloccato il livello demografico soprattutto della Sicilia sud-orientale: proprio quest´area va soggetta negli anni 1570-1583 a un patologico decremento, per cui la contea di Modica perde l´8% della popolazione, con punte massime nella città di Ragusa (-27%) e Modica (-18%).
La crisi del ´75, peraltro, giungeva dopo le penurie del 1554 e 1557 e le crisi cerealicole del 1565 e 1569, aggravate - come sempre accadeva drammaticamente a causa dell´infernale binomio carestia/epidemia - dall´epidemia di meningite del 1557 e da quelle influenzali del 1563-65. La denutrizione e la scarsa alimentazione rendevano gli individui più esposti al male, la popolazione diminuiva, la manodopera scarseggiava e le attività agricole subivano una forte flessione provocando diminuzione dei raccolti e penurie granarie. Cresceva inevitabilmente, in questa diffusa situazione di crisi, il numero di coloro che si indebitavano un anno dopo l´altro, sperando vanamente, anno dopo anno, in un raccolto miracoloso che consentisse loro di poter pagare i debiti accumulati e avere da investire in sementi e attrezzi per il raccolto successivo.
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«Per il vostro memoriale ni havete informato che molti personi di questo contato, sentendosi banditi, si salvano nelle terre et territorij convicinj, li quali voy non potete prendere per non habere in quelli jurisdicione, et havendonj per ciò supplicato ni degnassimo donar licentia, [...]
"vi diamo et concedemo licentia et potestà che, di qua innante, voy oy vero il vostro capitano di questa terra di Modica liberamente possiate discorrere, in la prosecuzione et busca di delinquenti et discorritori di campagna, per spazio di migla trenta cinco circa ultra il territorio di detta città, et questo discorrendo con quanti compagni vi parerà necessario, cossì a pedi come a cavallo, cum scopetti ad opra cum artificio di foco, tanto consunti come divisi. Et prendendo alcuni delinquenti et discorritori di campagna, contra quelli procedereti conforme a la potestà che teneti».
Alla metà di ottobre del 1585 il viceré Diego Enriquez de Guzman conte di Albadalista, che era succeduto a Marcantonio Colonna, inviava a don Juan Enriquez, governatore della contea di Modica, un´ordinanza con cui prendeva atto della richiesta da quest´ultimo avanzata di poter inseguire e catturare anche fuori della contea quanti, condannati dalla Corte Criminale di Modica e colpiti da bando di arresto («banditi»), si sottraevano alla giustizia rifugiandosi nelle città e campagne limitrofe («si salvano nelle terre et territorij circonvicini»). Con questa ordinanza il viceré dava facoltà («potestà et licentia») alla polizia della contea («capitano di questa terra di Modica... et compagni») di sconfinare per trentacinque miglia («discorrere... per spazio di migla trenta cinco circa ultra il territorio di detta città») con le armi pronte ad aprire il fuoco («cum scopetti ad opra cum artificio di foco»), al fine di garantire la cattura («busca»: è uno spagnolismo) di questi criminali.
Il documento sollecita non poche riflessioni. Anzitutto, si ha la sensazione generale di una recrudescenza della criminalità organizzata, in quanto nei registri della cancelleria comitale solo da un certo periodo in poi cominciano a fare la loro comparsa atti pubblici simili a questo citato. Ci riferiamo soprattutto ai «discorritori di campagna», cioè ai briganti riuniti in bande, laddove i «delinquenti» più volte chiamati in causa nell´ordinanza viceregia erano singoli soggetti che a vario titolo avevano infranto le leggi vigenti: ma anche il numero di questi cosiddetti reati comuni (furti, tentati omicidi, assassinii, etc.) doveva essere cresciuto in modo preoccupante, se venivano chiesti e concessi poteri speciali anche contro quella che oggi usa chiamare "microcriminalità".
In effetti, si può affermare che in Sicilia, come peraltro in tutti i Paesi europei, la grande espansione economica iniziata ai primi del Cinquecento aveva prodotto inquietanti fenomeni di instabilità sociale all´interno delle città. I centri urbani più sviluppati cominciarono naturalmente ad attirare tanti individui, che lasciavano la campagna per trovare in città migliori condizioni di vita. La maggior parte di questi immigrati, però, non riuscivano a inserirsi con un lavoro stabile nel settore dell´edilizia o dell´artigianato o al servizio delle famiglie nobili e altoborghesi, e così restavano disoccupati e andavano a ingrossare le file degli emarginati, di quanti cioè vivevano di ripieghi dandosi al gioco d´azzardo, alla ricettazione, ai furti e alle rapine.
Il viceré Colonna aveva adottato intorno agli anni Ottanta misure severe contro i vagabondi: dovevano in tempi brevi trovarsi un´occupazione fissa o finire in galera, cioè sottoporsi al lavoro disumano e straziante di rematori nelle galere o galee. Queste leggi erano risultate molto efficaci per combattere la criminalità cittadina e, in più, attraverso il rastrellamento periodico dei vagabondi garantivano gli effettivi dei rematori nelle galere senza particolari spese per le autorità governative.
Diversa cosa era la criminalità nelle campagne, praticata da quei «discorritori di campagna» contro cui il vicerè, come abbiamo visto, concedeva poteri speciali alla polizia della contea di Modica. Contro i briganti, dediti prevalentemente alle rapine, agli abigeati e ai sequestri di persona, non potevano valere ovviamente le leggi contro il vagabondaggio. Frequenti erano le collusioni fra i briganti e il potere feudale, per cui il viceré Colonna, fin dall´inizio del suo mandato proteso a limitare il potere dei baroni e a rafforzare quello dello stato, nel 1578 - lo stesso anno in cui assicurò alla giustizia e mandò immediatamente alla forca due famigerati banditi, Girolamo Colloca e Rocco di Saponara, che godevano della protezione di alcuni personaggi altolocati – promulgò una prammatica con cui si semplificava la procedura per l´acquisizione delle prove di connivenza di alti personaggi della nobiltà con i banditi. Bastavano le dichiarazioni rese da due soli briganti, anche sotto tortura, e per i nobili denunciati da quelle dichiarazioni scattava l´arresto immediato e il processo.
Anche nella contea di Modica la tortura era prassi comune, ed essa era praticata nei «dammuselli», cioè nelle stanze sotterranee del castello di Modica, sede della Gran Corte Criminale. In un documento, infatti, si attesta «il loco della tortura avere tutti li tavoli e travi guaste fraciti et xippati». E un altro documento autorizza che a un uomo sorpreso a rubare «si ci pozzia procedere a darli il tormento della corda».
Ma i briganti con le loro imprese eccitavano la fantasia delle classi più povere, che li appoggiavano e aiutavano, anche perché alla base delle azioni delittuose delle bande armate c´erano indubbiamente forti motivazioni sociali. Si può ben affermare che il banditismo è una forma piuttosto primitiva di protesta sociale organizzata, forse la più primitiva che si conosca. I poveri proteggono i banditi, li considerano loro difensori e li idealizzano: quasi mai la popolazione collabora con le autorità di polizia nella cattura di un bandito, anzi lo protegge e lo nasconde.
Nell´ultimo decennio del Cinquecento si ha l´impressione di un aggravarsi del fenomeno criminale nella cuspide meridionale dell´isola, dato l´intensificarsi di ordinanze viceregie per la lotta alla criminalità.
Negli anni finali di quel secolo, infatti, il viceré Marchese di Geraci con un´ordinanza invitava il governatore della contea di Modica (l´uomo d´affari ragusano Paolo La Restia) e le autorità di Siracusa a collaborare strettamente al fine di comminare l´estradizione ai tanti criminali che, avendo commesso dei delitti nel territorio comitale, si erano rifugiati nel territorio della città di Siracusa e, viceversa, di simili ´banditi´ che da Siracusa avevano cercato riparo nella contea. Ma adesso le ragioni di questa recrudescenza criminale non andavano tanto cercate in un´epidemia e nella conseguente crisi agraria, quanto nelle conseguenze di veri e propri fenomeni di "immigrazione". Ci spieghiamo meglio.
Se la popolazione della contea aveva rivelato nel censimento dell´83 un decremento consistente, dopo la grande carestia del 1591-92 le cose andarono diversamente. Nel Rivelo del ´95, infatti, si registra nella contea di Modica un incremento notevole (+6%) rispetto ad altre aree dell´isola in cui invece si verifica un vistoso decremento demografico (Catania -12%, Enna -28%, Siracusa -6%, Messina -12%).
Dobbiamo dedurre che, se la peste del 1575 e la conseguente carestia avevano prodotto dei vuoti nella popolazione della contea di Modica, essi erano stati abbondantemente colmati da un flusso migratorio interno, che portava in quest´area ricca e produttiva dell´isola non solo gruppi umani alla ricerca di un lavoro e di migliori condizioni di vita, ma anche individui singoli o organizzati in bande che in quelle terre progettavano di conseguire facili guadagni.
Tutto questo produceva inevitabilmente conflitti fra i residenti e gli immigrati, instabilità sociale e aumento dei fenomeni criminosi.
FRANCESCO EREDDIA