"IL TESTAMENTO DI SCIPIONE CELESTRE, "HAUTOR DE LA VITTORIA " DEL PROF. FRANCESCO EREDDIA

Dalle pagine di questa rubrica ci siamo recentemente soffermati sul vero promotore e artefice della fondazione di Vittoria o meglio rifondazione dell´antica colonia greca di Camarina: il barone modicano Scipione Celestre. Abbiamo in quella circostanza avuto modo di dire che il Celestre era stato uomo di fiducia del conte di Modica Ludovico III come poi lo fu della vedova Vittoria Colonna. Per questa ragione era stato nominato Conservatore del Patrimonio e Dirigente amministrativo della contea, Capitano del castello di Modica e Direttore responsabile del traffico commerciale del porto di Pozzallo.
Per conoscere meglio questo singolare personaggio storico nella sua componente più umana, offriamo all´attenzione dei nostri lettori un altro interessante documento.
"Scipione Celestre, cittadino di questa città di Modica, conosciuto da me notaio, sano nel corpo, per grazia di Dio Onnipotente, e nella mente nei sensi e nell´intelletto, in sua buona e perfetta memoria, temendo il divino giudizio di una morte improvvisa, che cioè egli si diparta da questa vita senza aver fatto testamento, desiderando provvedere alla salvezza della sua anima, ha deciso di disporre secondo la sua volontà dei suoi beni e ha ordinato che venisse redatto il suo testamento nuncupativo per mano di me infrascritto notaio. In esso manifesta la sua ultima e suprema volontà, nel modo e nella forma infrascritti".
Il 25 giugno 1641 - contemporaneamente all´istanza in cui si autoproclamava "hautor de La Vittoria" e che aveva tutto sommato già il sapore di un testamento spirituale - Scipione Celestre dettava a Jacobo Radosta notaio in Modica il suo testamento "nuncupativo". Come sanno gli addetti ai lavori, è così chiamato il testamento in cui il testatore nomina oralmente l´erede ed esprime le sue volontà in presenza di un notaio e di testimoni. Da esso apprendiamo tanti particolari interessanti, che ci aiutano a conoscere meglio il nostro personaggio.
Dopo aver raccomandato la sua anima "all´Altissimo Dio Immortale e alla Madre Sua, la Vergine Maria, e a tutti i Santi", dispone che "nel giorno della sua dipartita il suo fragile cadavere venga sepolto e inumato dentro la chiesa nuova di Santa Maria dell´Annunciazione, nella cappella chiamata dei Celestre suoi predecessori". Quindi nomina suoi eredi universali i due figli maschi, Giuseppe e Francesco: per quest´ultimo, che era ancora in minore età, nomina quale "tutrice e curatrice della sua persona e dei suoi beni, Donna Beatrice, sua moglie".
Al primogenito Giuseppe, suo legittimo successore, lascia, oltre agli altri beni, «tutte quelle proprietà, in più corpi di vignali, con la torre, l´artiglieria, le armi e la campana, con il granaio, la cappella, il pozzo, la cisterna e le altre comodità, esistenti nel territorio di Ragusa, in contrada Mazzarelli, confinanti con le proprietà di Agostino Celestre e con il feudo di Gaddimeli". A Mazzarelli, dunque, odierna Marina di Ragusa, confinante col feudo Gaddimeli di cui era barone il "contatore" Andrea Valseca, a brevissima distanza dal Capo Scalambri (Punta Secca) e dal rifondato feudo di S. Croce del suo affine G. Battista Celestre, c´era il feudo e la baronia dei Celestre, con il castello dotato di torre e di artiglieria, circondato da un vasto appezzamento di terreno coltivato ("vignali").
Ai suoi eredi universali Giuseppe e Francesco, inoltre, dava le sue ultime raccomandazioni per una dignitosa e corretta condotta di vita:
"E ben sapendo il detto testatore che i suoi eredi universali sono stati e sono fedeli vassalli di Sua Maestà Cattolica, buoni e fedeli cristiani, soggetti in obbedienza ai santi canoni della Santa Romana Chiesa e alle prammatiche conciliari, ai capitoli e alle leggi tanto temporali quanto spirituali, ed è convinto e spera che così saranno in futuro i detti suoi eredi universali, il detto Scipione testatore ha ammonito e ammonisce, ha esortato ed esorta, ha ordinato e ordina che siano e debbano essere obbedienti e osservanti la fedeltà a Sua Maestà Cattolica e ai sacri canoni della Sacrosanta Romana Chiesa e a tutte le prammatiche, costituzioni, capitoli e sanzioni tanto temporali quanto spirituali".
Ove è facile avvertire – ma in direzione diametralmente opposta - l´eco e le suggestioni del conformismo riformista degli "Avvertimenti cristiani" di Argisto Giuffredi (Palermo 1535-1593), il quale aveva raccomandato ai suoi figli, con calore ma con sentimenti pessimistici e tormentati, di non mettersi mai contro il potere costituito e contro la Chiesa. Questo il profilo del Giuffredi tracciato da Leonardo Sciascia: "Occupò varie cariche nel Senato palermitano, fu al servizio del vescovo di Patti e cancelliere dell´Inquisizione; viaggiò in Spagna e in Italia, tradusse dallo spagnolo, scrisse versi, note al Boccaccio e al Tasso. Ebbe, a quanto si sa, vita travagliata; gli fu comminata una scomunica, che probabilmente gli poi tolta per l´intercessione del Senato di Palermo. E si trovava in carcere, quando il 19 agosto 1593, per lo scoppio di una polveriera rovinò il Castello a mare, dove erano le prigioni di Palermo, e vi rimase vittima assieme al poeta Antonio Veneziano. La coincidenza di due poeti che si trovano nello stesso carcere si può considerare non casuale e riesce facile immaginare vi si trovassero per reati che oggi diremmo di opinione".
Il Giuffredi scriveva, infatti, circa la necessità di ubbidire al potere costituito: "Noi siamo schiavi del nostro Re, e se gli vien voglia di voler la mia roba, servirsi de´ miei figli, dispor di noi, quanto al mondo, lo può liberamente fare a diritto ed a torto, se ben sempre si dee credere che lo faccia a diritto, con tutto ciò che a noi paresse il contrario". E sull´ubbidienza alla Chiesa: "Tenete per certo che se la Chiesa Cattolica Romana vi dicesse che il giorno fosse notte e la notte giorno, ancorché con gli occhi vi paresse di veder il contrario, voi dovete credere quello che vi dice la Chiesa. E credendolo, Iddio vi salverà, come se credeste la maggior verità del mondo".
Rispetto a questi precetti del Giuffredi ambigui, tortuosi e dettati dalla paura, però, il barone Scipione esprime, come abbiamo visto, un rapporto più sereno e privo di conflitti con le grandi istituzioni.
Oltre ai due maschi, Scipione ebbe ben quattro figlie. Anna, sposata con Antonino Celestre (quasi certamente un cugino, ma a quei tempi questi matrimoni erano all´ordine del giorno per evitare dispersioni in un altro casato di feudi e baronie), gli aveva dato due nipoti, Beatrice e Antonia. Le altre tre figlie erano entrate nell´abbazia dei Benedettini di Modica. Di queste, due, Francesca e Agnese, erano in quel convento suore semplici, certamente per via dell´età relativamente giovane. Ma, scriveva un cronista contemporaneo, "in questi ultimi anni sì bel monastero si è reso distinto per monache meritevoli, fra cui [...] la veneranda Celestre". Il titolo di "veneranda" indica che una delle sorelle Celestre, certamente la più grande d´età, ricopriva invece in quel monastero la carica di superiora o madre badessa.
Il nome di battesimo della "veneranda Celestre"? C´era da aspettarselo, in fondo: Vittoria. Anzi, potremmo considerare addirittura ovvio e scontato che Scipione Celestre avesse voluto dare questo nome - quasi a ribadire e a consacrare in tal modo quell´altra sua metaforica ´paternità´ - alla sua bambina venuta al mondo mentre cominciava a concretizzarsi il suo sogno di riportare alla luce e alla vita l´antica Camarina.
FRANCESCO EREDDIA
Per conoscere meglio questo singolare personaggio storico nella sua componente più umana, offriamo all´attenzione dei nostri lettori un altro interessante documento.
"Scipione Celestre, cittadino di questa città di Modica, conosciuto da me notaio, sano nel corpo, per grazia di Dio Onnipotente, e nella mente nei sensi e nell´intelletto, in sua buona e perfetta memoria, temendo il divino giudizio di una morte improvvisa, che cioè egli si diparta da questa vita senza aver fatto testamento, desiderando provvedere alla salvezza della sua anima, ha deciso di disporre secondo la sua volontà dei suoi beni e ha ordinato che venisse redatto il suo testamento nuncupativo per mano di me infrascritto notaio. In esso manifesta la sua ultima e suprema volontà, nel modo e nella forma infrascritti".
Il 25 giugno 1641 - contemporaneamente all´istanza in cui si autoproclamava "hautor de La Vittoria" e che aveva tutto sommato già il sapore di un testamento spirituale - Scipione Celestre dettava a Jacobo Radosta notaio in Modica il suo testamento "nuncupativo". Come sanno gli addetti ai lavori, è così chiamato il testamento in cui il testatore nomina oralmente l´erede ed esprime le sue volontà in presenza di un notaio e di testimoni. Da esso apprendiamo tanti particolari interessanti, che ci aiutano a conoscere meglio il nostro personaggio.
Dopo aver raccomandato la sua anima "all´Altissimo Dio Immortale e alla Madre Sua, la Vergine Maria, e a tutti i Santi", dispone che "nel giorno della sua dipartita il suo fragile cadavere venga sepolto e inumato dentro la chiesa nuova di Santa Maria dell´Annunciazione, nella cappella chiamata dei Celestre suoi predecessori". Quindi nomina suoi eredi universali i due figli maschi, Giuseppe e Francesco: per quest´ultimo, che era ancora in minore età, nomina quale "tutrice e curatrice della sua persona e dei suoi beni, Donna Beatrice, sua moglie".
Al primogenito Giuseppe, suo legittimo successore, lascia, oltre agli altri beni, «tutte quelle proprietà, in più corpi di vignali, con la torre, l´artiglieria, le armi e la campana, con il granaio, la cappella, il pozzo, la cisterna e le altre comodità, esistenti nel territorio di Ragusa, in contrada Mazzarelli, confinanti con le proprietà di Agostino Celestre e con il feudo di Gaddimeli". A Mazzarelli, dunque, odierna Marina di Ragusa, confinante col feudo Gaddimeli di cui era barone il "contatore" Andrea Valseca, a brevissima distanza dal Capo Scalambri (Punta Secca) e dal rifondato feudo di S. Croce del suo affine G. Battista Celestre, c´era il feudo e la baronia dei Celestre, con il castello dotato di torre e di artiglieria, circondato da un vasto appezzamento di terreno coltivato ("vignali").
Ai suoi eredi universali Giuseppe e Francesco, inoltre, dava le sue ultime raccomandazioni per una dignitosa e corretta condotta di vita:
"E ben sapendo il detto testatore che i suoi eredi universali sono stati e sono fedeli vassalli di Sua Maestà Cattolica, buoni e fedeli cristiani, soggetti in obbedienza ai santi canoni della Santa Romana Chiesa e alle prammatiche conciliari, ai capitoli e alle leggi tanto temporali quanto spirituali, ed è convinto e spera che così saranno in futuro i detti suoi eredi universali, il detto Scipione testatore ha ammonito e ammonisce, ha esortato ed esorta, ha ordinato e ordina che siano e debbano essere obbedienti e osservanti la fedeltà a Sua Maestà Cattolica e ai sacri canoni della Sacrosanta Romana Chiesa e a tutte le prammatiche, costituzioni, capitoli e sanzioni tanto temporali quanto spirituali".
Ove è facile avvertire – ma in direzione diametralmente opposta - l´eco e le suggestioni del conformismo riformista degli "Avvertimenti cristiani" di Argisto Giuffredi (Palermo 1535-1593), il quale aveva raccomandato ai suoi figli, con calore ma con sentimenti pessimistici e tormentati, di non mettersi mai contro il potere costituito e contro la Chiesa. Questo il profilo del Giuffredi tracciato da Leonardo Sciascia: "Occupò varie cariche nel Senato palermitano, fu al servizio del vescovo di Patti e cancelliere dell´Inquisizione; viaggiò in Spagna e in Italia, tradusse dallo spagnolo, scrisse versi, note al Boccaccio e al Tasso. Ebbe, a quanto si sa, vita travagliata; gli fu comminata una scomunica, che probabilmente gli poi tolta per l´intercessione del Senato di Palermo. E si trovava in carcere, quando il 19 agosto 1593, per lo scoppio di una polveriera rovinò il Castello a mare, dove erano le prigioni di Palermo, e vi rimase vittima assieme al poeta Antonio Veneziano. La coincidenza di due poeti che si trovano nello stesso carcere si può considerare non casuale e riesce facile immaginare vi si trovassero per reati che oggi diremmo di opinione".
Il Giuffredi scriveva, infatti, circa la necessità di ubbidire al potere costituito: "Noi siamo schiavi del nostro Re, e se gli vien voglia di voler la mia roba, servirsi de´ miei figli, dispor di noi, quanto al mondo, lo può liberamente fare a diritto ed a torto, se ben sempre si dee credere che lo faccia a diritto, con tutto ciò che a noi paresse il contrario". E sull´ubbidienza alla Chiesa: "Tenete per certo che se la Chiesa Cattolica Romana vi dicesse che il giorno fosse notte e la notte giorno, ancorché con gli occhi vi paresse di veder il contrario, voi dovete credere quello che vi dice la Chiesa. E credendolo, Iddio vi salverà, come se credeste la maggior verità del mondo".
Rispetto a questi precetti del Giuffredi ambigui, tortuosi e dettati dalla paura, però, il barone Scipione esprime, come abbiamo visto, un rapporto più sereno e privo di conflitti con le grandi istituzioni.
Oltre ai due maschi, Scipione ebbe ben quattro figlie. Anna, sposata con Antonino Celestre (quasi certamente un cugino, ma a quei tempi questi matrimoni erano all´ordine del giorno per evitare dispersioni in un altro casato di feudi e baronie), gli aveva dato due nipoti, Beatrice e Antonia. Le altre tre figlie erano entrate nell´abbazia dei Benedettini di Modica. Di queste, due, Francesca e Agnese, erano in quel convento suore semplici, certamente per via dell´età relativamente giovane. Ma, scriveva un cronista contemporaneo, "in questi ultimi anni sì bel monastero si è reso distinto per monache meritevoli, fra cui [...] la veneranda Celestre". Il titolo di "veneranda" indica che una delle sorelle Celestre, certamente la più grande d´età, ricopriva invece in quel monastero la carica di superiora o madre badessa.
Il nome di battesimo della "veneranda Celestre"? C´era da aspettarselo, in fondo: Vittoria. Anzi, potremmo considerare addirittura ovvio e scontato che Scipione Celestre avesse voluto dare questo nome - quasi a ribadire e a consacrare in tal modo quell´altra sua metaforica ´paternità´ - alla sua bambina venuta al mondo mentre cominciava a concretizzarsi il suo sogno di riportare alla luce e alla vita l´antica Camarina.
FRANCESCO EREDDIA