L´ANALISI - " SULLA RESPONSABILITA´ PROFESSIONALE DEGLI ESERCENTI LE PROFESSIONI SANITARIE " DEL DOTT. SALVATORE CILIA, GIA´ PRESIDENTE DI SEZIONE DELLA CORTE DEI CONTI.
Stanno per entrare in vigore le nuove disposizioni relative alla responsabilità dei medici e, in genere, di chi esercita professioni sanitarie: si tratta della cosiddetta legge Gelli, che cerca di regolamentare la materia, oggetto di contese giudiziarie a non finirefino ai giorni nostri.
Pubblichiamo con piacere l´intervento in merito del dott. Salvatore Cilia, già presidente di sezione della Corte Conti in Sicilia ( a Palermo ), ultimo grado di giudizio contabile nella nostra regione.
"Prime osservazioni su taluni profili della legge 8 marzo 2017, n.24: "Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie" (legge Gelli).
1)-L´art.6, concernente la "responsabilità penale dell´esercente la professione sanitaria", ha inserito nel codice penale l´art-590-sexies, che è formato di tre commi.
Il primo, dispone che "se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell´esercizio della professione sanitaria , si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto al secondo comma"; il secondo comma, per l´appunto, dispone che, "qualora l´evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto"; il terzo comma provvede ad abrogare il comma 1 dell´art.3 del decreto-legge 13 settembre 2012, n.158, convertito nella legge 8 novembre 2012, n.189 (legge Balduzzi).
Orbene, appare ictu oculi che la norma centrale del nuovo sistema sanzionatorio penale riguardante il soggetto che esercita la professione sanitaria è il comma 2 del nuovo art.590-sexies del codice penale, il quale – partendo ovviamente dal contenuto dell´art.43 dello stesso codice ("elemento psicologico del reato"), a mente del quale "il reato....è colposo, o contro l´intenzione, quando l´evento, anche se preveduto, non è voluto dall´agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline" – si sofferma esclusivamente sulla "imperizia" che ha causato l´evento, per escluderne la punibilità "quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge...."; il che dimostra, ad ogni evidenza, che qualora il reato (colposo) sia attribuibile a "negligenza" o "imprudenza" oppure alla "inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline" la punibilità rimane del tutto ancorata alla vigente normativa penale e alle pene previste dagli articoli 589 e 590 del codice. Tanto più che il primo comma dell´art.3 del decreto-legge n.158/2012, convertito nella legge n.189/2012 – a mente del quale "l´esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve" – è stato abrogato, come detto, dall´art.6 della legge in commento, la qual cosa dimostra chiaramente che (con l´eccezione – si vuole ripetere – della non punibilità dell´evento provocato a causa di imperizia nelle condizioni indicate) per le altre ipotesi di reato colposo (attribuibile, in particolare, a comportamento negligente o imprudente) scompare la caratterizzazione (penale) della colpa lieve.
Non solo; ma, abrogando il comma 1 dell´art.3 del citato decreto-legge n.158/2012, risulta abrogato anche l´ultimo periodo della norma ("il giudice, anche nella determinazione del risarcimento danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo"), per cui – conseguentemente – nella determinazione del risarcimento danno in caso di "omicidio colposo" o di "lesioni personali colpose" da attribuire a "negligenza" o a "imprudenza" (oltre che a "inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline"; ma anche – nei termini e nei limiti già evidenziati – con riferimento alla "imperizia") il giudice, nella determinazione del danno, deve tenere conto ovviamente della circostanza che la caratterizzazione della "colpa lieve" (almeno nell´ottica penalistica) è stata cancellata sul piano generale.
La contestuale abrogazione del secondo periodo del primo comma dell´art.3 ("in tali casi resta fermo l´obbligo di cui all´art.2043 del codice civile") è coerente alla circostanza che la responsabilità (extracontrattuale) dell´esercente la professione sanitaria è stata ora disciplinata dall´art.7, comma 3, della legge in commento.
2)-L´art.7 disciplina la "responsabilità civile della struttura e del- l´esercente la professione sanitaria" ed è composto di quattro commi.
Il fulcro della norma si rinviene nel definitivo inquadramento (anche per superare le oscillazioni manifestatesi nel tempo dalla giurisprudenza sul punto), per un verso, nell´ottica "contrattuale" (ex artt. 1218 e 1228 del codice civile) della responsabilità della struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata "che, nell´adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell´opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti dalla struttura stessa", delle cui condotte dolose o colpose risponde la struttura direttamente (comma 1); e, per altro verso, nell´ottica "extracontrattuale" (ex art.2043 dello stesso codice) della responsabilità dell´esercente la professione sanitaria, "salvo che abbia agito nell´adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente" (comma 3).
Dal punto di vista giuridico la dicotomia è netta e nettamente percepibile: la responsabilità (contrattuale) comporta che l´onere della prova (sulla mancanza di inadempimenti, dal punto di vista civilistico, nel comportamento nel caso concreto dell´esercente la professione sanitaria) ricade interamente sulla struttura (mentre il paziente – o il suo dante causa – deve dimostrare soltanto l´avvenuto ricovero e il danno subìto), e la prescrizione è quella ordinaria decennale (art.2946 cod. civ.); la responsabilità extracontrattuale comporta, invece, che l´onere della prova (danno subìto, dolo o colpa nel comportamento dell´esercente la professione sanitaria, nesso di causalità fra azione – o omissione – e danno) grava interamente su chi agisce in sede di risarcimento danni, mentre il periodo prescrizionale è quello quinquennale previsto dal primo comma dell´art.2947 cod. civ. (fatti illeciti).
Tuttavia, in concreto, la differenza sul "doppio binario" della responsabilità civile si stempera notevolmente, ove appena si tenga conto del fatto che – come avveniva finora, quando cioè la giurisprudenza era assolutamente prevalente nel senso di qualificare come "contrattuale" non solo la responsabilità della struttura sanitaria ma anche quella dell´esercente la professione sanitaria – il soggetto che agiva in sede risarcitoria (autonomamente, o costituito parte civile nel processo penale) ha supportato "sempre" (sostanzialmente) la propria azione con la "dimostrazione" (tramite consulenti di parte, che – nel caso di compresenza di giudizio penale – affiancavano i consulenti del Pubblico Ministero ed eventualmente i consulenti del Giudice) del danno subìto dall´attore, della colpa ( o dolo) dell´esercente la professione sanitaria e del nesso di causalità; ne deriva che il "doppio binario" assume certamente aspetti rilevanti sul piano dei "princìpi" (in ordine, principalmente, alla ripartizione dell´onere della prova), ma di scarsa incidenza in pratica, perché l´attore civile – si vuole ripetere – non si è limitato "mai" (per il risarcimento danno in materia sanitaria, anche in ambito "contrattuale") a presentare (al giudice competente) e notificare (al convenuto) un atto di citazione non supportato da tutta la documentazione che "dimostri" (profili giuridici e profili tecnico-sanitari) tutte le "ragioni" dell´attore (ovviamente, nell´ottica dello stesso).
Per quanto riguarda il diverso termine prescrizionale per l´azione (10 anni per l´azione – contrattuale – da attivare contro la struttura sanitaria, 5 anni per l´azione – extracontrattuale – avverso l´esercente la professione sanitaria), si deve tenere conto che, una volta avviato il giudizio nei termini previsti (civile, o con costituzione di parte civile nel processo penale) – o, addirittura, si sia notificato semplicemente un atto idoneo "a costituire in mora il debitore" – il corso della prescrizione viene immediatamente interrotto (art.2943 cod. civ.), che riprenderà a decorrere solo dopo che la sentenza sia passata in giudicato (e dopo tale evento, per l´esecuzione della sentenza – civile – di condanna l´attore ha a disposizione l´ulteriore termine di 10 anni – termine ordinario di prescrizione).
E´ del tutto noto che la prescrizione penale ha una conformazione e una struttura (e una durata) completamente diverse da quella civile e amministrativa e si deve rilevare che la declaratoria di avvenuta prescrizione dell´azione penale non ha la minima incidenza sul giudizio civile sugli stessi fatti (autonomamente, o con costituzione di parte civile nel processo penale), salva l´efficacia di giudicato della sentenza penale irrevocabile pronunciata in seguito a dibattimento (di condanna o di assoluzione) in ordine alla sussistenza (o insussistenza) del fatto, alla sua illiceità (o liceità) penale e all´affermazione che l´imputato lo ha commesso (o non l´ha commesso) (artt. 651 e 652 cod. proc. pen.). Conseguentemente, si deve affermare tranquillamente che l´efficacia di giudicato della sentenza penale irrevocabile non sussiste quando l´assoluzione dell´imputato viene pronunciata con la formula "il fatto non costituisce reato" (perché il fatto può ben costituire "danno") o quando il giudizio penale si è concluso con la formula del c.d. "patteggiamento" (art.444 cod. proc. pen.: perché la sentenza non è stata pronunciata "in seguito a dibattimento" ma con l´irrogazione di una pena "su richiesta delle parti").
3)-L´art.9 tratta la "azione di rivalsa o di responsabilità amministrativa" ed è composta di sette commi.
Sostanzialmente, l´art.9 disciplina, da una parte, l´azione (diretta) di rivalsa da parte della struttura nei confronti dell´esercente la professione sanitaria giudicato responsabile nel giudizio penale (con costituzione di parte civile del soggetto danneggiato) o nel giudizio civile, tenendo conto che l´azione di rivalsa può essere esercitata solo in caso di dolo o colpa grave (comma 1); che "in nessun caso la transazione" – intervenuta fra la struttura e il soggetto danneggiato – "è opponibile all´esercente la professione sanitaria nel giudizio di rivalsa" (comma 4) (stante che – in base ad una meditata strategia difensiva, processuale o extraprocessuale – il contenuto economico della transazione potrebbe comportare alla struttura sanitaria dei vantaggi superiori a quelli che si potrebbero in ogni caso ottenere con l´azione di rivalsa, nei limiti finanziari che si dirà più avanti); che – infine – "la decisione pronunciata nel giudizio promosso contro la struttura sanitaria o sociosanitaria o contro l´impresa di assicurazione non fa stato nel giudizio di rivalsa se l´esercente la professione sanitaria non è stato parte nel giudizio" (comma 3), nel senso che, in tale caso, l´azione di rivalsa può essere sempre esercitata per effetto e conseguenza della sentenza civile che ha condannato la struttura o l´impresa di assicurazione, ma la stessa sentenza non può essere intesa, dal punto di vista formale, come "condanna" (in sede civile) dell´operatore sanitario responsabile.
Dall´altra, la norma disciplina l´azione di responsabilità rientrante nella giurisdizione della Corte dei conti, che deve essere esercitata dal Pubblico Ministero presso la Corte stessa, solo in caso di dolo o colpa grave. Peraltro, la precisazione che la condanna nel giudizio contabile presuppone la sussistenza della colpa grave (oltre che, ovviamente, del dolo) è del tutto superflua, considerato che, a partire dalla legge 14 gennaio 1994, n.20, "la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai fatti e alle omissioni commessi con dolo o con colpa grave" (generalizzando in tal modo la particolare caratterizzazione dell´elemento psicologico che, in precedenza, valeva soltanto per determinati soggetti o categorie specifiche: prima, per i componenti dei consigli di amministrazione delle Università; poi, per i soggetti adibiti alla conduzione di autoveicoli o di altri mezzi meccanici, di navi e di aeromobili; successivamente, per i dipendenti e gli amministratori degli enti locali; infine, per gli amministratori e i dipendenti delle Unità sanitarie locali).
E´ molto importante per l´Erario (e, ovviamente, per le Istituzioni) che il legislatore abbia attribuito alla Corte dei conti la giurisdizione sulla responsabilità degli esercenti la professione sanitaria stante che presso la Corte opera il Pubblico Ministero, che – al pari del Pubblico Ministero penale per l´azione penale (art.112 Cost.) – ha l´obbligo di esercitare l´azione di risarcimento in favore dell´ente pubblico interessato; d´altra parte, ove fosse stata diversa la scelta legislativa (nel senso di attribuire al giudice ordinario civile l´azione di responsabilità, di cui si è pure parlato – e non accademicamente – nel corso del lungo e travagliato iter legislativo del disegno di legge), ci si sarebbe trovati dinanzi ad un proprio vulnus istituzionale, sia dal punto di vista dei "princìpi" (la giurisdizione in capo alla Corte dei conti sulla responsabilità degli enti pubblici è stata ormai generalizzata – sostanzialmente, a partire dalla legge 8 maggio 1990, n.142 – con eccezione soltanto di taluni profili della responsabilità a carico dei dipendenti e degli amministratori degli enti pubblici economici), tanto con riguardo agli aspetti puramente "risarcitori". Infatti, dinanzi al giudice ordinario civile non esiste un organo pubblico sul quale incombe l´obbligo dell´azione risarcitoria, e tutta la storia ha dimostrato che – fino a quando rimase in vigore l´art.265 del testo unico della legge comunale e provinciale del 1934, e cioè fino a quando entrò in vigore la legge n.142/1990, appena citata – i giudizi di responsabilità amministrativa dinanzi al giudice ordinario civile a carico dei dipendenti e degli amministratori degli enti locali, in quasi sessanta anni, si possono contare sulle dita di una mano monca. A partire dal 1990, quindi, si può agevolmente affermare che la Corte dei conti, ai sensi dell´art.103, comma 2, della Costituzione, è diventata il "giudice naturale" nelle "materie di contabilità pubblica", oltre che nelle altre specificate dalla legge.
Tutto ciò premesso, si può affermare che, avendo la legge attribuito alla Corte dei conti espressamente la giurisdizione sulle responsabilità erariali nei confronti degli esercenti la professione sanitaria (infatti, la giurisdizione sussisteva fino ad oggi, senza alcuna perplessità, in capo a tale giudice, in applicazione della normativa ordinaria vigente), ne consegue l´applicabilità (anche se la legge in esame non l´avesse espressamente sancito, al quinto comma dell´art.9), per un verso, del meccanismo di riduzione dell´addebito (art.52, comma 2, del regio decreto 12 luglio 1934, n.1214: "la Corte, valutate le singole responsabilità, può porre a carico dei responsabili tutto o parte del danno accertato o del valore perduto"), e, per altro verso, dell´art.1, comma 1-bis, della legge n.20/1994 ("nel giudizio dei responsabilità, fermo restando il potere di riduzione, deve tenersi conto dei vantaggi comunque conseguiti dalla amministrazione di appartenenza, o da altra amministrazione, o dalla comunità amministrata in relazione al comportamento degli amministratori o dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità"). La legge in esame dispone, sempre al comma 5 dell´art.9, che, "ai fini della quantificazione del danno...., si tiene conto delle situazioni di fatto di particolare difficoltà, anche di natura organizzativa, della struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica, in cui l´esercente la professione sanitaria ha operato"; ma si può soggiungere agevolmente che di tali "situazioni di fatto di particolare difficoltà, anche di natura organizzativa" la Corte dei conti ha fatto costantemente applicazione nella propria giurisprudenza come parametro fondamentale e imprescindibile (ma non è il solo) per determinare la misura dell´eventuale riduzione dell´addebito.
Con ulteriore riferimento al punto qui in discussione, si può affermare che la Corte dei conti, avendo applicato da molti decenni il meccanismo della c. d. riduzione dell´addebito (che, originariamente, era previsto dall´art.83, comma 1, del regio decreto 18 novembre 1923, n.2440) e della limitazione della condanna per danno erariale ai casi di dolo e di colpa grave, ha formato una copiosissima giurisprudenza che, affinatasi sempre di più nel corso degli anni, si può considerare "costante" negli orientamenti di fondo ed è sostanzialmente condivisa, nel suo nucleo centrale, dalla più attenta dottrina.
Sempre il quinto comma dell´art.9 sancisce che "l´importo della condanna per la responsabilità amministrativa...., per singolo evento, in caso di colpa grave, non può superare una somma pari al valore maggiore della retribuzione lorda o del corrispettivo convenzionale conseguiti nell´anno di inizio della condotta causa dell´evento o nell´anno immediatamente precedente o successivo, moltiplicato per il triplo". Prescindendo del tutto dall´elegantissima formula utilizzata dal legislatore per determinare il quantum addebitabile ("moltiplicato per il triplo"), difficilmente riscontrata nella lingua italiana, la norma appare, per il resto, abbastanza chiara (anche nella ratio) una volta che la giurisprudenza abbia esattamente individuato il concetto di "retribuzione" (rispetto allo "stipendio") e quello di "corrispettivo convenzionale" (ma la giurisprudenza si è spesso interessata di tali locuzioni, approfondendole); semmai, considerato che il danno erariale da addebitare al soggetto responsabile è stato ancorato non al danno "effettivo" ma alla retribuzione (o corrispettivo convenzionale) del convenuto – e ciò costituisce un assoluto novum e unicum nel panorama della legislazione nazionale – potrebbero nascere dubbi sulla conformità di tale profilo della norma a determinati parametri rinvenibili nella Costituzione. D´altra parte, lo stesso art.9 dispone (al comma 6) che la limitazione del danno da addebitare all´esercente la professione sanitaria nei termini predetti opera anche in sede di rivalsa o di surrogazione richiesta dall´impresa di assicurazione, ai sensi dell´art.1916, primo comma, del codice civile, "in caso di accoglimento della domanda proposta dal danneggiato nei confronti della struttura sanitaria o sociosanitaria privata o nei confronti dell´impresa di assicurazione titolare di polizza con la medesima struttura", per cui anche su tale profilo della norma potrebbero nascere dubbi di legittimità costituzionale, almeno per l´impresa di assicurazione. (Ma, per questo profilo, il problema può essere facilmente superato inserendo il meccanismo della limitata rivalsa da parte dell´impresa assicurativa nel contratto di assicurazione, che peraltro ovviamente incide sull´entità del premio assicurativo).
A conclusione delle notazioni che precedono, si deve rilevare che fa sorgere qualche perplessità il disposto dell´art.9, comma 5, di cui si discute, nella parte in cui l´azione di responsabilità amministrativa (dinanzi alla Corte dei conti) viene collegata non solo all´accoglimento della domanda di risarcimento proposta dal danneggiato nei confronti della struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica (il che è ovvio, in base ai princìpi), ma anche all´accoglimento della domanda di risarcimento proposta dal danneggiato nei confronti dell´esercente la professione sanitaria, considerato che, ove l´esercente la professione sanitaria sia stato condannato nel giudizio civile in accoglimento della domanda di risarcimento proposta dal danneggiato direttamente nei confronti dell´operatore stesso, nessuna "azione di responsabilità" dovrebbe sussistere stante che la struttura non sarebbe chiamata ad effettuare alcun esborso, perché estranea, in tal caso, al giudizio (civile). Oltre tutto, nella ipotesi di azione diretta del danneggiato nei confronti dell´operatore sanitario (improbabile ma giuridicamente possibile), l´attore – sì – incontrerebbe le maggiori difficoltà probatorie per la prevista responsabilità extracontrattuale (art.7, comma 3), ma non certo il limite della colpa grave nella condotta e della limitazione del danno risarcibile al triplo della retribuzione lorda o del rispettivo convenzionale, in quanto tali limiti operano soltanto – per l´appunto – nel giudizio dinanzi alla Corte dei conti o in sede di rivalsa (sempre che ci siano i presupposti per una rivalsa da parte della struttura sanitaria).
Conseguentemente, tale aspetto della norma meriterebbe ulteriori approfondimenti, magari esaminando gli atti parlamentari, stante che – allo stato – l´inciso "o dell´esercente la professione sanitaria, ai sensi del comma 3 del medesimo art.7" (contenuto nel comma 5 dell´art.9) sembrerebbe una vera anomalia nell´economia complessiva della norma che disciplina la "azione....di responsabilità amministrativa".
Salvatore Cilia
Palermo, 3 aprile 2017
Pubblichiamo con piacere l´intervento in merito del dott. Salvatore Cilia, già presidente di sezione della Corte Conti in Sicilia ( a Palermo ), ultimo grado di giudizio contabile nella nostra regione.
"Prime osservazioni su taluni profili della legge 8 marzo 2017, n.24: "Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie" (legge Gelli).
1)-L´art.6, concernente la "responsabilità penale dell´esercente la professione sanitaria", ha inserito nel codice penale l´art-590-sexies, che è formato di tre commi.
Il primo, dispone che "se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell´esercizio della professione sanitaria , si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto al secondo comma"; il secondo comma, per l´appunto, dispone che, "qualora l´evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto"; il terzo comma provvede ad abrogare il comma 1 dell´art.3 del decreto-legge 13 settembre 2012, n.158, convertito nella legge 8 novembre 2012, n.189 (legge Balduzzi).
Orbene, appare ictu oculi che la norma centrale del nuovo sistema sanzionatorio penale riguardante il soggetto che esercita la professione sanitaria è il comma 2 del nuovo art.590-sexies del codice penale, il quale – partendo ovviamente dal contenuto dell´art.43 dello stesso codice ("elemento psicologico del reato"), a mente del quale "il reato....è colposo, o contro l´intenzione, quando l´evento, anche se preveduto, non è voluto dall´agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline" – si sofferma esclusivamente sulla "imperizia" che ha causato l´evento, per escluderne la punibilità "quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge...."; il che dimostra, ad ogni evidenza, che qualora il reato (colposo) sia attribuibile a "negligenza" o "imprudenza" oppure alla "inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline" la punibilità rimane del tutto ancorata alla vigente normativa penale e alle pene previste dagli articoli 589 e 590 del codice. Tanto più che il primo comma dell´art.3 del decreto-legge n.158/2012, convertito nella legge n.189/2012 – a mente del quale "l´esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve" – è stato abrogato, come detto, dall´art.6 della legge in commento, la qual cosa dimostra chiaramente che (con l´eccezione – si vuole ripetere – della non punibilità dell´evento provocato a causa di imperizia nelle condizioni indicate) per le altre ipotesi di reato colposo (attribuibile, in particolare, a comportamento negligente o imprudente) scompare la caratterizzazione (penale) della colpa lieve.
Non solo; ma, abrogando il comma 1 dell´art.3 del citato decreto-legge n.158/2012, risulta abrogato anche l´ultimo periodo della norma ("il giudice, anche nella determinazione del risarcimento danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo"), per cui – conseguentemente – nella determinazione del risarcimento danno in caso di "omicidio colposo" o di "lesioni personali colpose" da attribuire a "negligenza" o a "imprudenza" (oltre che a "inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline"; ma anche – nei termini e nei limiti già evidenziati – con riferimento alla "imperizia") il giudice, nella determinazione del danno, deve tenere conto ovviamente della circostanza che la caratterizzazione della "colpa lieve" (almeno nell´ottica penalistica) è stata cancellata sul piano generale.
La contestuale abrogazione del secondo periodo del primo comma dell´art.3 ("in tali casi resta fermo l´obbligo di cui all´art.2043 del codice civile") è coerente alla circostanza che la responsabilità (extracontrattuale) dell´esercente la professione sanitaria è stata ora disciplinata dall´art.7, comma 3, della legge in commento.
2)-L´art.7 disciplina la "responsabilità civile della struttura e del- l´esercente la professione sanitaria" ed è composto di quattro commi.
Il fulcro della norma si rinviene nel definitivo inquadramento (anche per superare le oscillazioni manifestatesi nel tempo dalla giurisprudenza sul punto), per un verso, nell´ottica "contrattuale" (ex artt. 1218 e 1228 del codice civile) della responsabilità della struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata "che, nell´adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell´opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti dalla struttura stessa", delle cui condotte dolose o colpose risponde la struttura direttamente (comma 1); e, per altro verso, nell´ottica "extracontrattuale" (ex art.2043 dello stesso codice) della responsabilità dell´esercente la professione sanitaria, "salvo che abbia agito nell´adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente" (comma 3).
Dal punto di vista giuridico la dicotomia è netta e nettamente percepibile: la responsabilità (contrattuale) comporta che l´onere della prova (sulla mancanza di inadempimenti, dal punto di vista civilistico, nel comportamento nel caso concreto dell´esercente la professione sanitaria) ricade interamente sulla struttura (mentre il paziente – o il suo dante causa – deve dimostrare soltanto l´avvenuto ricovero e il danno subìto), e la prescrizione è quella ordinaria decennale (art.2946 cod. civ.); la responsabilità extracontrattuale comporta, invece, che l´onere della prova (danno subìto, dolo o colpa nel comportamento dell´esercente la professione sanitaria, nesso di causalità fra azione – o omissione – e danno) grava interamente su chi agisce in sede di risarcimento danni, mentre il periodo prescrizionale è quello quinquennale previsto dal primo comma dell´art.2947 cod. civ. (fatti illeciti).
Tuttavia, in concreto, la differenza sul "doppio binario" della responsabilità civile si stempera notevolmente, ove appena si tenga conto del fatto che – come avveniva finora, quando cioè la giurisprudenza era assolutamente prevalente nel senso di qualificare come "contrattuale" non solo la responsabilità della struttura sanitaria ma anche quella dell´esercente la professione sanitaria – il soggetto che agiva in sede risarcitoria (autonomamente, o costituito parte civile nel processo penale) ha supportato "sempre" (sostanzialmente) la propria azione con la "dimostrazione" (tramite consulenti di parte, che – nel caso di compresenza di giudizio penale – affiancavano i consulenti del Pubblico Ministero ed eventualmente i consulenti del Giudice) del danno subìto dall´attore, della colpa ( o dolo) dell´esercente la professione sanitaria e del nesso di causalità; ne deriva che il "doppio binario" assume certamente aspetti rilevanti sul piano dei "princìpi" (in ordine, principalmente, alla ripartizione dell´onere della prova), ma di scarsa incidenza in pratica, perché l´attore civile – si vuole ripetere – non si è limitato "mai" (per il risarcimento danno in materia sanitaria, anche in ambito "contrattuale") a presentare (al giudice competente) e notificare (al convenuto) un atto di citazione non supportato da tutta la documentazione che "dimostri" (profili giuridici e profili tecnico-sanitari) tutte le "ragioni" dell´attore (ovviamente, nell´ottica dello stesso).
Per quanto riguarda il diverso termine prescrizionale per l´azione (10 anni per l´azione – contrattuale – da attivare contro la struttura sanitaria, 5 anni per l´azione – extracontrattuale – avverso l´esercente la professione sanitaria), si deve tenere conto che, una volta avviato il giudizio nei termini previsti (civile, o con costituzione di parte civile nel processo penale) – o, addirittura, si sia notificato semplicemente un atto idoneo "a costituire in mora il debitore" – il corso della prescrizione viene immediatamente interrotto (art.2943 cod. civ.), che riprenderà a decorrere solo dopo che la sentenza sia passata in giudicato (e dopo tale evento, per l´esecuzione della sentenza – civile – di condanna l´attore ha a disposizione l´ulteriore termine di 10 anni – termine ordinario di prescrizione).
E´ del tutto noto che la prescrizione penale ha una conformazione e una struttura (e una durata) completamente diverse da quella civile e amministrativa e si deve rilevare che la declaratoria di avvenuta prescrizione dell´azione penale non ha la minima incidenza sul giudizio civile sugli stessi fatti (autonomamente, o con costituzione di parte civile nel processo penale), salva l´efficacia di giudicato della sentenza penale irrevocabile pronunciata in seguito a dibattimento (di condanna o di assoluzione) in ordine alla sussistenza (o insussistenza) del fatto, alla sua illiceità (o liceità) penale e all´affermazione che l´imputato lo ha commesso (o non l´ha commesso) (artt. 651 e 652 cod. proc. pen.). Conseguentemente, si deve affermare tranquillamente che l´efficacia di giudicato della sentenza penale irrevocabile non sussiste quando l´assoluzione dell´imputato viene pronunciata con la formula "il fatto non costituisce reato" (perché il fatto può ben costituire "danno") o quando il giudizio penale si è concluso con la formula del c.d. "patteggiamento" (art.444 cod. proc. pen.: perché la sentenza non è stata pronunciata "in seguito a dibattimento" ma con l´irrogazione di una pena "su richiesta delle parti").
3)-L´art.9 tratta la "azione di rivalsa o di responsabilità amministrativa" ed è composta di sette commi.
Sostanzialmente, l´art.9 disciplina, da una parte, l´azione (diretta) di rivalsa da parte della struttura nei confronti dell´esercente la professione sanitaria giudicato responsabile nel giudizio penale (con costituzione di parte civile del soggetto danneggiato) o nel giudizio civile, tenendo conto che l´azione di rivalsa può essere esercitata solo in caso di dolo o colpa grave (comma 1); che "in nessun caso la transazione" – intervenuta fra la struttura e il soggetto danneggiato – "è opponibile all´esercente la professione sanitaria nel giudizio di rivalsa" (comma 4) (stante che – in base ad una meditata strategia difensiva, processuale o extraprocessuale – il contenuto economico della transazione potrebbe comportare alla struttura sanitaria dei vantaggi superiori a quelli che si potrebbero in ogni caso ottenere con l´azione di rivalsa, nei limiti finanziari che si dirà più avanti); che – infine – "la decisione pronunciata nel giudizio promosso contro la struttura sanitaria o sociosanitaria o contro l´impresa di assicurazione non fa stato nel giudizio di rivalsa se l´esercente la professione sanitaria non è stato parte nel giudizio" (comma 3), nel senso che, in tale caso, l´azione di rivalsa può essere sempre esercitata per effetto e conseguenza della sentenza civile che ha condannato la struttura o l´impresa di assicurazione, ma la stessa sentenza non può essere intesa, dal punto di vista formale, come "condanna" (in sede civile) dell´operatore sanitario responsabile.
Dall´altra, la norma disciplina l´azione di responsabilità rientrante nella giurisdizione della Corte dei conti, che deve essere esercitata dal Pubblico Ministero presso la Corte stessa, solo in caso di dolo o colpa grave. Peraltro, la precisazione che la condanna nel giudizio contabile presuppone la sussistenza della colpa grave (oltre che, ovviamente, del dolo) è del tutto superflua, considerato che, a partire dalla legge 14 gennaio 1994, n.20, "la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai fatti e alle omissioni commessi con dolo o con colpa grave" (generalizzando in tal modo la particolare caratterizzazione dell´elemento psicologico che, in precedenza, valeva soltanto per determinati soggetti o categorie specifiche: prima, per i componenti dei consigli di amministrazione delle Università; poi, per i soggetti adibiti alla conduzione di autoveicoli o di altri mezzi meccanici, di navi e di aeromobili; successivamente, per i dipendenti e gli amministratori degli enti locali; infine, per gli amministratori e i dipendenti delle Unità sanitarie locali).
E´ molto importante per l´Erario (e, ovviamente, per le Istituzioni) che il legislatore abbia attribuito alla Corte dei conti la giurisdizione sulla responsabilità degli esercenti la professione sanitaria stante che presso la Corte opera il Pubblico Ministero, che – al pari del Pubblico Ministero penale per l´azione penale (art.112 Cost.) – ha l´obbligo di esercitare l´azione di risarcimento in favore dell´ente pubblico interessato; d´altra parte, ove fosse stata diversa la scelta legislativa (nel senso di attribuire al giudice ordinario civile l´azione di responsabilità, di cui si è pure parlato – e non accademicamente – nel corso del lungo e travagliato iter legislativo del disegno di legge), ci si sarebbe trovati dinanzi ad un proprio vulnus istituzionale, sia dal punto di vista dei "princìpi" (la giurisdizione in capo alla Corte dei conti sulla responsabilità degli enti pubblici è stata ormai generalizzata – sostanzialmente, a partire dalla legge 8 maggio 1990, n.142 – con eccezione soltanto di taluni profili della responsabilità a carico dei dipendenti e degli amministratori degli enti pubblici economici), tanto con riguardo agli aspetti puramente "risarcitori". Infatti, dinanzi al giudice ordinario civile non esiste un organo pubblico sul quale incombe l´obbligo dell´azione risarcitoria, e tutta la storia ha dimostrato che – fino a quando rimase in vigore l´art.265 del testo unico della legge comunale e provinciale del 1934, e cioè fino a quando entrò in vigore la legge n.142/1990, appena citata – i giudizi di responsabilità amministrativa dinanzi al giudice ordinario civile a carico dei dipendenti e degli amministratori degli enti locali, in quasi sessanta anni, si possono contare sulle dita di una mano monca. A partire dal 1990, quindi, si può agevolmente affermare che la Corte dei conti, ai sensi dell´art.103, comma 2, della Costituzione, è diventata il "giudice naturale" nelle "materie di contabilità pubblica", oltre che nelle altre specificate dalla legge.
Tutto ciò premesso, si può affermare che, avendo la legge attribuito alla Corte dei conti espressamente la giurisdizione sulle responsabilità erariali nei confronti degli esercenti la professione sanitaria (infatti, la giurisdizione sussisteva fino ad oggi, senza alcuna perplessità, in capo a tale giudice, in applicazione della normativa ordinaria vigente), ne consegue l´applicabilità (anche se la legge in esame non l´avesse espressamente sancito, al quinto comma dell´art.9), per un verso, del meccanismo di riduzione dell´addebito (art.52, comma 2, del regio decreto 12 luglio 1934, n.1214: "la Corte, valutate le singole responsabilità, può porre a carico dei responsabili tutto o parte del danno accertato o del valore perduto"), e, per altro verso, dell´art.1, comma 1-bis, della legge n.20/1994 ("nel giudizio dei responsabilità, fermo restando il potere di riduzione, deve tenersi conto dei vantaggi comunque conseguiti dalla amministrazione di appartenenza, o da altra amministrazione, o dalla comunità amministrata in relazione al comportamento degli amministratori o dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità"). La legge in esame dispone, sempre al comma 5 dell´art.9, che, "ai fini della quantificazione del danno...., si tiene conto delle situazioni di fatto di particolare difficoltà, anche di natura organizzativa, della struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica, in cui l´esercente la professione sanitaria ha operato"; ma si può soggiungere agevolmente che di tali "situazioni di fatto di particolare difficoltà, anche di natura organizzativa" la Corte dei conti ha fatto costantemente applicazione nella propria giurisprudenza come parametro fondamentale e imprescindibile (ma non è il solo) per determinare la misura dell´eventuale riduzione dell´addebito.
Con ulteriore riferimento al punto qui in discussione, si può affermare che la Corte dei conti, avendo applicato da molti decenni il meccanismo della c. d. riduzione dell´addebito (che, originariamente, era previsto dall´art.83, comma 1, del regio decreto 18 novembre 1923, n.2440) e della limitazione della condanna per danno erariale ai casi di dolo e di colpa grave, ha formato una copiosissima giurisprudenza che, affinatasi sempre di più nel corso degli anni, si può considerare "costante" negli orientamenti di fondo ed è sostanzialmente condivisa, nel suo nucleo centrale, dalla più attenta dottrina.
Sempre il quinto comma dell´art.9 sancisce che "l´importo della condanna per la responsabilità amministrativa...., per singolo evento, in caso di colpa grave, non può superare una somma pari al valore maggiore della retribuzione lorda o del corrispettivo convenzionale conseguiti nell´anno di inizio della condotta causa dell´evento o nell´anno immediatamente precedente o successivo, moltiplicato per il triplo". Prescindendo del tutto dall´elegantissima formula utilizzata dal legislatore per determinare il quantum addebitabile ("moltiplicato per il triplo"), difficilmente riscontrata nella lingua italiana, la norma appare, per il resto, abbastanza chiara (anche nella ratio) una volta che la giurisprudenza abbia esattamente individuato il concetto di "retribuzione" (rispetto allo "stipendio") e quello di "corrispettivo convenzionale" (ma la giurisprudenza si è spesso interessata di tali locuzioni, approfondendole); semmai, considerato che il danno erariale da addebitare al soggetto responsabile è stato ancorato non al danno "effettivo" ma alla retribuzione (o corrispettivo convenzionale) del convenuto – e ciò costituisce un assoluto novum e unicum nel panorama della legislazione nazionale – potrebbero nascere dubbi sulla conformità di tale profilo della norma a determinati parametri rinvenibili nella Costituzione. D´altra parte, lo stesso art.9 dispone (al comma 6) che la limitazione del danno da addebitare all´esercente la professione sanitaria nei termini predetti opera anche in sede di rivalsa o di surrogazione richiesta dall´impresa di assicurazione, ai sensi dell´art.1916, primo comma, del codice civile, "in caso di accoglimento della domanda proposta dal danneggiato nei confronti della struttura sanitaria o sociosanitaria privata o nei confronti dell´impresa di assicurazione titolare di polizza con la medesima struttura", per cui anche su tale profilo della norma potrebbero nascere dubbi di legittimità costituzionale, almeno per l´impresa di assicurazione. (Ma, per questo profilo, il problema può essere facilmente superato inserendo il meccanismo della limitata rivalsa da parte dell´impresa assicurativa nel contratto di assicurazione, che peraltro ovviamente incide sull´entità del premio assicurativo).
A conclusione delle notazioni che precedono, si deve rilevare che fa sorgere qualche perplessità il disposto dell´art.9, comma 5, di cui si discute, nella parte in cui l´azione di responsabilità amministrativa (dinanzi alla Corte dei conti) viene collegata non solo all´accoglimento della domanda di risarcimento proposta dal danneggiato nei confronti della struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica (il che è ovvio, in base ai princìpi), ma anche all´accoglimento della domanda di risarcimento proposta dal danneggiato nei confronti dell´esercente la professione sanitaria, considerato che, ove l´esercente la professione sanitaria sia stato condannato nel giudizio civile in accoglimento della domanda di risarcimento proposta dal danneggiato direttamente nei confronti dell´operatore stesso, nessuna "azione di responsabilità" dovrebbe sussistere stante che la struttura non sarebbe chiamata ad effettuare alcun esborso, perché estranea, in tal caso, al giudizio (civile). Oltre tutto, nella ipotesi di azione diretta del danneggiato nei confronti dell´operatore sanitario (improbabile ma giuridicamente possibile), l´attore – sì – incontrerebbe le maggiori difficoltà probatorie per la prevista responsabilità extracontrattuale (art.7, comma 3), ma non certo il limite della colpa grave nella condotta e della limitazione del danno risarcibile al triplo della retribuzione lorda o del rispettivo convenzionale, in quanto tali limiti operano soltanto – per l´appunto – nel giudizio dinanzi alla Corte dei conti o in sede di rivalsa (sempre che ci siano i presupposti per una rivalsa da parte della struttura sanitaria).
Conseguentemente, tale aspetto della norma meriterebbe ulteriori approfondimenti, magari esaminando gli atti parlamentari, stante che – allo stato – l´inciso "o dell´esercente la professione sanitaria, ai sensi del comma 3 del medesimo art.7" (contenuto nel comma 5 dell´art.9) sembrerebbe una vera anomalia nell´economia complessiva della norma che disciplina la "azione....di responsabilità amministrativa".
Salvatore Cilia
Palermo, 3 aprile 2017