" L´ANTIVANGELO DEGLI ´ERETICI´ IBLEI " DEL PROF. FRANCESCO EREDDIA
Nelle ultime nostre riflessioni apparse su queste pagine, dove ci eravamo soffermati sull´antico carnevale della contea di Modica, avevamo accennato allo studioso chiaramontano Serafino Amabile Guastella e a una delle sue opere, «Le parità e le storie morali dei nostri villani», definite da Leonardo Sciascia e da Italo Calvino un vero e proprio ´antivangelo´.
Per chiarire questo interessante problema riteniamo necessario analizzare un fenomeno religioso di vasta portata che interessò non solo la nostra isola e, più incisivamente che altrove, la contea di Modica, ma anche l´Europa intera.
***
Nel primo ventennio del Cinquecento metteva radici in Sicilia lo spiritualismo e l´evangelismo esasperato di un predicatore francescano da tempo sospetto alla Chiesa, Bernardino Ochino, che era venuto a diffondere nell´isola la sua mistica tutta incentrata sulla figura autentica del Cristo e sulla necessità di un ritorno alla vita cristiana perfetta.
Predicatore senese e vicario generale dei francescani, Bernardino Ochino (1487-1564) voleva riformare la Chiesa, riportarla alla purezza evangelica delle origini, e in questo aderì perfettamente alle idee luterane. Erano quelli gli anni in cui si diffondevano queste idee (le famose 95 tesi di Martin Lutero sono del 1521) e prendeva le mosse il terremoto della Riforma protestante, cui la Chiesa reagì inasprendo la durezza e la spietatezza dell´Inquisizione e avviando, attraverso il Concilio di Trento (1545-1563), il processo della Controriforma per uscire dalla tremenda crisi.
Bernardino Ochino fu ispiratore del «Beneficio di Cristo», un opuscolo devozionale tutto incentrato sulla figura di Cristo, una sorta di ´Bibbia´ degli evangelici e dei riformatori italiani, scritto a Catania nel convento benedettino di S. Nicolò l´Arena dal mantovano Benedetto Fontanini che, al pari dei luterani, negava i sacramenti e la messa per l´indegnità del clero cattolico. Le idee ´evangeliche´ (o luterane, se si preferisce) di Bernardino avevano una forte presa sia fra i nobili che nel popolo, giacché la frontiera fra ambienti aristocratici e popolari non ha, sul terreno religioso, la stessa rigidità e consistenza che sul terreno sociale e culturale. Sospettato dalla Chiesa di eresia, l´Ochino, convocato a Roma per essere interrogato, riparerà in Svizzera nel 1542 e lì morirà da esule.
Lo aveva invitato a predicare in Sicilia il barone del Burgio, Giovanni Antonio Buglio, castellano di Mineo e capitano d´armi a Terranova (Gela). La diffusione del luteranesimo, in Italia e in Sicilia, si accompagnò spesso al fenomeno del cosiddetto «nicodemismo», una forma di simulazione religiosa consistente nella accettazione esteriore delle cerimonie del culto e della pratica cattolica, coltivando però nell´intimo del proprio cuore i principi della vera fede. Una vera e propria mimetizzazione, dunque, cui si abbandonavano, giustificandola e affermandone addirittura la liceità, tanti simpatizzanti delle idee luterane, non solo laici ma anche appartenenti alla gerarchia ecclesiastica, come non pochi francescani.
Uno dei primi, e comunque il più prestigioso, ad aderire alle nuove idee religiose fu appunto un chiaramontano, il «doctor Canizo».
Giovanni Antonio Cannizzo, nato a Chiaramonte nel 1512, studente di diritto presso il «Siculorum Gymnasium» di Catania, dove si era addottorato in iure civili nel 1533 e poi, conseguita la laurea in diritto canonico, era divenuto «utriusque iuris doctor». In quegli anni - mentre sposava una ricca ereditiera che gli portava in dote parecchi feudi e il titolo di barone - si era affermato come giudice e come avvocato, assurgendo nel 1535 alla carica di presidente della Gran Corte di Modica. La sua fama di giureconsulto lo portò dalla piccola Chiaramonte a Palermo, dove dal 1544 al 1552 ebbe diversi incarichi presso la Regia Gran Corte.
Nel 1564 "Joanni Antonio Cannizo comprò il fego di Cifali [...] da Don Luis Enriquez primo genito procuratore delli Signori don Luis e Donna Anna suoi padre e madre". Ma già nel 1558 aveva acquistato "lo fego di Canicarao".
Famoso anche fuori dalla Sicilia per la sua prestigiosissima attività di giureconsulto e per le sue interpretazioni del diritto feudale, giunto all´acme della notorietà aveva fatto ritorno a Chiaramonte nel 1553, dove rimase fino alla morte (1580).
Ma cerchiamo di conoscere meglio il nuovo credo religioso del "doctor Canizo" e di altri vassalli della contea di Modica.
Nel 1547 il dottor Giovanni Antonio Cannizzo, insieme con un altro giureconsulto, Filippo De Micheli di Catania, era finito nelle maglie del Sant´Uffizio per professione di idee luterane. Qualche anno prima, durante un soggiorno a Napoli inerente ai suoi incarichi presso la Gran Corte di Palermo, era entrato in contatto con quegli ambienti evangelici e illuminati che ruotavano attorno a Juan de Valdés ed era rimasto affascinato da quelle dottrine. Nell´autodafé appunto del 13 febbraio del ´47 il Cannizzo abiurò "de levi" (cioè, rinnegò le non gravi imputazioni a suo carico) e fu «penitenziato» (obbligato a vestire il ´sambenito´, un sacco giallo molto corto con due strisce che formavano una croce).
Accanto a questi ed altri intellettuali di varie città della Sicilia (frati, teologi e giuristi), in quell´autodafé del 1547 venne celebrato il processo anche per altri poveri sventurati. Alcuni erano di umile condizione, quali (per restare nella contea di Modica e nei centri più vicini ad essa), Pietro lo Piccolo, un sarto di Vizzini luterano, e Alonso Impignolo di Comiso ("açotado", cioè condannato alla fustigazione). E poi ancora operai, frati e contadini di Vizzini, Ispica, Scicli e Modica, i quali negavano i sacramenti e i santi.
Ma i più appartenevano alla nobiltà di Ragusa e alle più alte sfere amministrative della contea di Modica.
Per quanto riguarda Ragusa, infatti, "Joan de Ariczi, gentilhombre, por corromper testigos y presentarlos en este S.to Officio, condempnado a servir a la goleta, o a las galeras por seys años, tres preçisos [obbligatori] y tres voluntarios". Stessa sorte toccò anche a "Pedro de Ariczi, a las galeras por dos años" e "Georgio de Ariczi". E poi, "Bernardo Mancarella, por amenazar a ciertos testigos y hazerles desdezir [averli fatti ritrattare], açotado y desterrado [esiliato]" e "Loricza Ferragut, por la misma causa, açotado". Per la stessa adesione alle idee luterane "Paula la Gambucza, testigo falsa, açotada y desterrada perpetuamente del Reyno".
Relativamente a Modica, in quell´autodafé furono penitençiados "Iheronimo de Atiencza, Governador del contado, por ciertos descarados; Balthasar de Peralta, Capitan de Modica, por lo mismo; Francesco de Assenso doctor, por lo mismo".
Due riflessioni sui condannati ragusani e modicani del ´47.
La prima riguarda il loro grado sociale elevato, il che dimostra che quelle idee di rinnovamento e di radicale riforma della Chiesa incontravano sensibile attenzione non solo per ovvi motivi tra la povera gente, ma anche in una parte della nobiltà e del patriziato urbano.
La seconda riflessione inerisce ai motivi che li avevano condotti al processo davanti al tribunale dell´Inquisizione e alla condanna. Le scarne motivazioni, infatti, che accompagnano i nomi dei condannati non ci fanno capire il loro grado di adesione alle idee luterane, parlano genericamente di corruzione di testimoni (come nel caso di alcuni esponenti della famiglia Arezzi di Ragusa) o, per quanto riguarda il governatore di Modica e gli altri due alti dirigenti, di non ben definiti "ciertos descarados" ("alcuni atti di presunzione"). Ora, si potrebbe dedurre che - essendo il libero esame dei testi sacri (ossia, la negazione della interpretazione ufficiale della Bibbia operata e imposta in esclusiva dalla Chiesa) uno dei capisaldi della dottrina luterana - i personaggi di cui sopra avessero aderito al principio luterano della libera interpretazione dei libri sacri. Ma questo, dal punto di vista della Chiesa, era un peccato di "presunzione" (e tale era considerato da essa fin dall´età medievale): e il ´presumere´ di essere in possesso di una verità individuale, che non coincideva naturalmente con quella ufficiale cattolica, era già di per sé un´eresia. Bisognava al contrario – come suggerivano i principi fondamentali della Compagnia di Gesù, elaborati nel 1537 da Ignazio di Loyola (1491-1556) – ubbidire al papa in maniera incondizionata, «perinde ac cadaver».
***
Ritorniamo alle «Parità» di Serafino Amabile Guastella.
Premesso, infatti, che il rifiuto del culto dei santi era parte essenziale della dottrina luterana, il nostro pensiero non può non andare a certi racconti popolari della contea di Modica caratterizzati, quasi un unicum nella tradizione folclorica siciliana, da una paradossale confidenza coi celesti che arrivava ad estremi veramente inconcepibili.
"Parità" nel dialetto del circondario di Modica significa "parabola", e la parola richiama immediatamente il Vangelo. Solo che tutte le "parità" raccolte da Serafino Amabile Guastella costituiscono, in effetti, un vero e proprio "antivangelo". «Crediamo sia difficile – scriveva a questo proposito Leonardo Sciascia – trovare nell´animo e nella cultura di altri popoli una visione della vita così rigidamente e coerentemente in opposizione al messaggio evangelico».
Si tratta di 28 ´storie´. Di ciascuna storia il nostro studioso ibleo indicava in calce il nome, il cognome e la località di residenza dei "cuntastorie", i "villani" da cui si faceva raccontare queste storie: erano rappresentate soprattutto Chiaramonte, Modica e Vittoria.
C´è nelle "parità" raccolte dal Guastella una morale evangelica alla rovescia: quelle ´storie´ prescrivono comportamenti asociali e antisociali, attribuiscono a Dio e ai santi atteggiamenti tipici di un mondo contadino impegnato nella terribile lotta quotidiana per la sopravvivenza. Un "paganesimo" di fondo, dunque, serpeggiava fra le masse contadine.
«In quei racconti – scriveva Sciascia – sfilano santi senza scrupoli, spesso ladri o addirittura assassini, monaci furbi e materialisti, nobili e chierici legati da comuni interessi di potere economico e politico. C´è in essi un organico antivangelo: tutte le storie contengono crudi rovesciamenti della morale cristiana, prescrivono – avallati dai santi e dal Signore in persona – comportamenti asociali e antisociali».
C´è un particolare interessante da mettere in evidenza.
Molti di questi "cuntastorie" consultati dal Guastella avevano cognomi che tradivano la discendenza da famiglie di ebrei "conversi", che cioè si erano convertiti al cattolicesimo dopo l´editto di espulsione del 1492 (Palma, Gatto, Distefano, Bonomo, Lorefice, Bellìo, Terranova, etc.). Questo significa non solo che i discendenti degli ebrei convertitisi alcuni secoli prima vivevano nella contea di Modica in condizioni di marginalità sociale e culturale, ma soprattutto che perdurava fra loro ancora nel secondo Ottocento un inestricabile viluppo fra l´avversione atavica degli ebrei per il cristianesimo (nonostante la conversione, che però era stata spesso non autentica in quanto forzata) e le antiche e dirompenti idee luterane.
FRANCESCO EREDDIA
Per chiarire questo interessante problema riteniamo necessario analizzare un fenomeno religioso di vasta portata che interessò non solo la nostra isola e, più incisivamente che altrove, la contea di Modica, ma anche l´Europa intera.
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Nel primo ventennio del Cinquecento metteva radici in Sicilia lo spiritualismo e l´evangelismo esasperato di un predicatore francescano da tempo sospetto alla Chiesa, Bernardino Ochino, che era venuto a diffondere nell´isola la sua mistica tutta incentrata sulla figura autentica del Cristo e sulla necessità di un ritorno alla vita cristiana perfetta.
Predicatore senese e vicario generale dei francescani, Bernardino Ochino (1487-1564) voleva riformare la Chiesa, riportarla alla purezza evangelica delle origini, e in questo aderì perfettamente alle idee luterane. Erano quelli gli anni in cui si diffondevano queste idee (le famose 95 tesi di Martin Lutero sono del 1521) e prendeva le mosse il terremoto della Riforma protestante, cui la Chiesa reagì inasprendo la durezza e la spietatezza dell´Inquisizione e avviando, attraverso il Concilio di Trento (1545-1563), il processo della Controriforma per uscire dalla tremenda crisi.
Bernardino Ochino fu ispiratore del «Beneficio di Cristo», un opuscolo devozionale tutto incentrato sulla figura di Cristo, una sorta di ´Bibbia´ degli evangelici e dei riformatori italiani, scritto a Catania nel convento benedettino di S. Nicolò l´Arena dal mantovano Benedetto Fontanini che, al pari dei luterani, negava i sacramenti e la messa per l´indegnità del clero cattolico. Le idee ´evangeliche´ (o luterane, se si preferisce) di Bernardino avevano una forte presa sia fra i nobili che nel popolo, giacché la frontiera fra ambienti aristocratici e popolari non ha, sul terreno religioso, la stessa rigidità e consistenza che sul terreno sociale e culturale. Sospettato dalla Chiesa di eresia, l´Ochino, convocato a Roma per essere interrogato, riparerà in Svizzera nel 1542 e lì morirà da esule.
Lo aveva invitato a predicare in Sicilia il barone del Burgio, Giovanni Antonio Buglio, castellano di Mineo e capitano d´armi a Terranova (Gela). La diffusione del luteranesimo, in Italia e in Sicilia, si accompagnò spesso al fenomeno del cosiddetto «nicodemismo», una forma di simulazione religiosa consistente nella accettazione esteriore delle cerimonie del culto e della pratica cattolica, coltivando però nell´intimo del proprio cuore i principi della vera fede. Una vera e propria mimetizzazione, dunque, cui si abbandonavano, giustificandola e affermandone addirittura la liceità, tanti simpatizzanti delle idee luterane, non solo laici ma anche appartenenti alla gerarchia ecclesiastica, come non pochi francescani.
Uno dei primi, e comunque il più prestigioso, ad aderire alle nuove idee religiose fu appunto un chiaramontano, il «doctor Canizo».
Giovanni Antonio Cannizzo, nato a Chiaramonte nel 1512, studente di diritto presso il «Siculorum Gymnasium» di Catania, dove si era addottorato in iure civili nel 1533 e poi, conseguita la laurea in diritto canonico, era divenuto «utriusque iuris doctor». In quegli anni - mentre sposava una ricca ereditiera che gli portava in dote parecchi feudi e il titolo di barone - si era affermato come giudice e come avvocato, assurgendo nel 1535 alla carica di presidente della Gran Corte di Modica. La sua fama di giureconsulto lo portò dalla piccola Chiaramonte a Palermo, dove dal 1544 al 1552 ebbe diversi incarichi presso la Regia Gran Corte.
Nel 1564 "Joanni Antonio Cannizo comprò il fego di Cifali [...] da Don Luis Enriquez primo genito procuratore delli Signori don Luis e Donna Anna suoi padre e madre". Ma già nel 1558 aveva acquistato "lo fego di Canicarao".
Famoso anche fuori dalla Sicilia per la sua prestigiosissima attività di giureconsulto e per le sue interpretazioni del diritto feudale, giunto all´acme della notorietà aveva fatto ritorno a Chiaramonte nel 1553, dove rimase fino alla morte (1580).
Ma cerchiamo di conoscere meglio il nuovo credo religioso del "doctor Canizo" e di altri vassalli della contea di Modica.
Nel 1547 il dottor Giovanni Antonio Cannizzo, insieme con un altro giureconsulto, Filippo De Micheli di Catania, era finito nelle maglie del Sant´Uffizio per professione di idee luterane. Qualche anno prima, durante un soggiorno a Napoli inerente ai suoi incarichi presso la Gran Corte di Palermo, era entrato in contatto con quegli ambienti evangelici e illuminati che ruotavano attorno a Juan de Valdés ed era rimasto affascinato da quelle dottrine. Nell´autodafé appunto del 13 febbraio del ´47 il Cannizzo abiurò "de levi" (cioè, rinnegò le non gravi imputazioni a suo carico) e fu «penitenziato» (obbligato a vestire il ´sambenito´, un sacco giallo molto corto con due strisce che formavano una croce).
Accanto a questi ed altri intellettuali di varie città della Sicilia (frati, teologi e giuristi), in quell´autodafé del 1547 venne celebrato il processo anche per altri poveri sventurati. Alcuni erano di umile condizione, quali (per restare nella contea di Modica e nei centri più vicini ad essa), Pietro lo Piccolo, un sarto di Vizzini luterano, e Alonso Impignolo di Comiso ("açotado", cioè condannato alla fustigazione). E poi ancora operai, frati e contadini di Vizzini, Ispica, Scicli e Modica, i quali negavano i sacramenti e i santi.
Ma i più appartenevano alla nobiltà di Ragusa e alle più alte sfere amministrative della contea di Modica.
Per quanto riguarda Ragusa, infatti, "Joan de Ariczi, gentilhombre, por corromper testigos y presentarlos en este S.to Officio, condempnado a servir a la goleta, o a las galeras por seys años, tres preçisos [obbligatori] y tres voluntarios". Stessa sorte toccò anche a "Pedro de Ariczi, a las galeras por dos años" e "Georgio de Ariczi". E poi, "Bernardo Mancarella, por amenazar a ciertos testigos y hazerles desdezir [averli fatti ritrattare], açotado y desterrado [esiliato]" e "Loricza Ferragut, por la misma causa, açotado". Per la stessa adesione alle idee luterane "Paula la Gambucza, testigo falsa, açotada y desterrada perpetuamente del Reyno".
Relativamente a Modica, in quell´autodafé furono penitençiados "Iheronimo de Atiencza, Governador del contado, por ciertos descarados; Balthasar de Peralta, Capitan de Modica, por lo mismo; Francesco de Assenso doctor, por lo mismo".
Due riflessioni sui condannati ragusani e modicani del ´47.
La prima riguarda il loro grado sociale elevato, il che dimostra che quelle idee di rinnovamento e di radicale riforma della Chiesa incontravano sensibile attenzione non solo per ovvi motivi tra la povera gente, ma anche in una parte della nobiltà e del patriziato urbano.
La seconda riflessione inerisce ai motivi che li avevano condotti al processo davanti al tribunale dell´Inquisizione e alla condanna. Le scarne motivazioni, infatti, che accompagnano i nomi dei condannati non ci fanno capire il loro grado di adesione alle idee luterane, parlano genericamente di corruzione di testimoni (come nel caso di alcuni esponenti della famiglia Arezzi di Ragusa) o, per quanto riguarda il governatore di Modica e gli altri due alti dirigenti, di non ben definiti "ciertos descarados" ("alcuni atti di presunzione"). Ora, si potrebbe dedurre che - essendo il libero esame dei testi sacri (ossia, la negazione della interpretazione ufficiale della Bibbia operata e imposta in esclusiva dalla Chiesa) uno dei capisaldi della dottrina luterana - i personaggi di cui sopra avessero aderito al principio luterano della libera interpretazione dei libri sacri. Ma questo, dal punto di vista della Chiesa, era un peccato di "presunzione" (e tale era considerato da essa fin dall´età medievale): e il ´presumere´ di essere in possesso di una verità individuale, che non coincideva naturalmente con quella ufficiale cattolica, era già di per sé un´eresia. Bisognava al contrario – come suggerivano i principi fondamentali della Compagnia di Gesù, elaborati nel 1537 da Ignazio di Loyola (1491-1556) – ubbidire al papa in maniera incondizionata, «perinde ac cadaver».
***
Ritorniamo alle «Parità» di Serafino Amabile Guastella.
Premesso, infatti, che il rifiuto del culto dei santi era parte essenziale della dottrina luterana, il nostro pensiero non può non andare a certi racconti popolari della contea di Modica caratterizzati, quasi un unicum nella tradizione folclorica siciliana, da una paradossale confidenza coi celesti che arrivava ad estremi veramente inconcepibili.
"Parità" nel dialetto del circondario di Modica significa "parabola", e la parola richiama immediatamente il Vangelo. Solo che tutte le "parità" raccolte da Serafino Amabile Guastella costituiscono, in effetti, un vero e proprio "antivangelo". «Crediamo sia difficile – scriveva a questo proposito Leonardo Sciascia – trovare nell´animo e nella cultura di altri popoli una visione della vita così rigidamente e coerentemente in opposizione al messaggio evangelico».
Si tratta di 28 ´storie´. Di ciascuna storia il nostro studioso ibleo indicava in calce il nome, il cognome e la località di residenza dei "cuntastorie", i "villani" da cui si faceva raccontare queste storie: erano rappresentate soprattutto Chiaramonte, Modica e Vittoria.
C´è nelle "parità" raccolte dal Guastella una morale evangelica alla rovescia: quelle ´storie´ prescrivono comportamenti asociali e antisociali, attribuiscono a Dio e ai santi atteggiamenti tipici di un mondo contadino impegnato nella terribile lotta quotidiana per la sopravvivenza. Un "paganesimo" di fondo, dunque, serpeggiava fra le masse contadine.
«In quei racconti – scriveva Sciascia – sfilano santi senza scrupoli, spesso ladri o addirittura assassini, monaci furbi e materialisti, nobili e chierici legati da comuni interessi di potere economico e politico. C´è in essi un organico antivangelo: tutte le storie contengono crudi rovesciamenti della morale cristiana, prescrivono – avallati dai santi e dal Signore in persona – comportamenti asociali e antisociali».
C´è un particolare interessante da mettere in evidenza.
Molti di questi "cuntastorie" consultati dal Guastella avevano cognomi che tradivano la discendenza da famiglie di ebrei "conversi", che cioè si erano convertiti al cattolicesimo dopo l´editto di espulsione del 1492 (Palma, Gatto, Distefano, Bonomo, Lorefice, Bellìo, Terranova, etc.). Questo significa non solo che i discendenti degli ebrei convertitisi alcuni secoli prima vivevano nella contea di Modica in condizioni di marginalità sociale e culturale, ma soprattutto che perdurava fra loro ancora nel secondo Ottocento un inestricabile viluppo fra l´avversione atavica degli ebrei per il cristianesimo (nonostante la conversione, che però era stata spesso non autentica in quanto forzata) e le antiche e dirompenti idee luterane.
FRANCESCO EREDDIA