RAGUSA - APERTA PER TUTTO AGOSTO LA MOSTRA DEL COMISANO SALVATORE ANELLI A PALAZZO ZACCO


PER UNA TRILOGIA DELLA VITA.
SALVATORE ANELLI
di Giuseppe Cipolla
È un fatto singolarissimo che, dell´essere umano, rimangano gli elementi opposti: carcassa e scheletro, in cui e di cui si appagò quaggiù lo spirito, e poi però gli effetti ideali, che nelle parole e negli atti scaturirono da lui (Johann Wolfgang Goethe). Spirito e materia. Libri e teschi, avvolti da parole incise sulla pietra viva del tempo andato, ci suggerisce che nulla si trasforma, nulla muta, nella poesia visiva. Perché tempo e spazio non sempre reggono da soli il peso dell´arte, il suo principio archetipico. Da tempo ormai, la ricerca di Anelli indaga questo inesplicabile dilemma. Pittore, scultore, videoartista, con all´attivo svariate partecipazioni alla Biennale di Venezia, Anelli si interessa principalmente agli scambi interlinguistici e alle contaminazioni culturali. In particolare, la sua ricerca più recente nasce dall´accostamento segno/parola, sperimentato in un libro d´artista realizzato a quattro mani col poeta Franco Dionesalvi, Le parole valgono, e in un altro confezionato dal solo Anelli rileggendo Le città invisibili di Italo Calvino, da cui ha tratto un palinsesto visivo di "memorie parallele" nel volume Le città valgono. I Teschi valgono – una mostra antologica, curata abilmente da Andrea Guastella, attraverso cui si ripercorrono gli itinerari di sperimentazione dei suoi ultimi vent´anni – è il naturale prosieguo di queste esperienze, a costituire una fondamentale trilogia, edita da Rubettino e corredata da testi e poesie di diversi protagonisti della critica e della letteratura contemporanea: da Roberto Gramiccia a Ghislain Mayaud, da Claudio Damiani a Franco Dionesalvi, da Gerardo Pedicini a Daniele Pieroni, da Paolo Ruffilli a Evelina Schatz. La mostra di Palazzo Zacco a Ragusa, organizzata dal Comune di Ragusa e dall´Associazione Culturale Aurea Phoenix, riflette compiutamente, con oculata selezione del curatore, il lavoro infaticabile e la ricerca poietica che l´artista ha condensato nelle sue creazioni. Il tema del teschio è al centro del progetto Di catrame - di anima (2008) in cui Anelli coinvolge, in un confronto dialettico alcuni poeti portandoli a riflettere sulle mille incertezze del futuro e sulla caduta dell´utopia. Le poesie diventano parte integrante delle opere in cui il cranio è declinato in svariate forme, dai disegni a carboncino alle sculture intrise di catrame e di pigmenti fino alle più moderne tecniche digitali. Nel 2010 l´artista ripercorre le esperienze tecniche del passato e mediante l´uso di bende, cartone pressato e garze ingessate realizza le opere dal titolo Libri sordi, nei quali confluiscono emozioni quotidiane e momenti del proprio sé, nella costante ricerca della verità tra le inquietudini della vita. In occasione dell´anno bisestile del 2012, convenzionalmente ritenuto anno funesto, iniziano i lavori per lo studio di una installazione - ambiente, dal titolo Diversa/mente, 365+1, in cui il cranio, segno-archetipo assai emblematico, si carica di tensioni narranti ed esprime tutte le problematiche del nostro vivere quotidiano. Entrando nel merito della sua esegesi poetica in cui ogni opera riflette un discorso univoco e distribuito nel tempo, occorre precisare il campo semantico del suo operare.
Il ricordo scaccia il presente; l´utile scaccia il reale; il significato dei corpi scaccia la loro forma. Noi vediamo soltanto futuro o passato, ma non le macchie dell´istante puro. Qualcosa di non-colorato si sostituisce irreversibilmente alla presenza cromatica, come se la sostanza del non artista assorbisse la sensazione e non la rendesse mai più, avendola fatta fuggire verso le sue conseguenze. Ora, il senso che un´opera sprigiona è già implicato in tutto questo, è innervato nella sua struttura sensibile, in ciò che in sintesi costituisce la sua forma linguistica o spazio-temporale. E lo è nella misura in cui il poeta (l´artista), operando pressioni e torsioni sul proprio linguaggio, lo corrode fisicamente modificandone l´area semantica, lavora sulle forme, sugli spazi diacritici che queste istituiscono, sulle zone di ambiguità, sulle fessure, le faglie. Maurice Merleau-Ponty aveva chiarito quanto «la felicità dell´arte» stia nel «mostrare come qualcosa diventi significato, non per allusione a idee già formate e acquisite, ma grazie alla disposizione temporale o spaziale degli elementi». E il gioco combinatorio che si esplica nelle istallazioni/composizioni di Anelli induce a una moltitudine lucida di riflessioni e intuizioni consegnate all´esercizio della scrittura, della manipolazione polimaterica, della rielaborazione dei simboli in una nuova dimensione epistemologica. Paul Valéry indicava questo continuo "esercizio" quale la via migliore perché si giunga a un riscatto della visione dall´egemonia del linguaggio codificato. Il mondo della visibilità appare all´artista rarefatto fino all´astrazione, ingabbiato nella rete delle categorie intellettuali, desensibilizzato, reso inefficace e, infine, ridotto all´invisibilità. E, sulla lunghezza d´onda di questo progetto di rieducazione dello sguardo abitudinario e compromesso dagli usi, l´artista riveste il ruolo centrale di colui che sa ricondurre il visibile alla dimensione pre-significativa, naturale, antecedente a ogni denominazione dettata dall´utilità. Stabilito uno iato possibile tra percepire e interpretare, Anelli sa ricondurre le cose, attraverso un vero e proprio «esercizio dell´informe» all´interno del sistema di relazioni sensibili primarie.
Altro tema ineludibile è il rapporto tra materia e memoria. La materia organica o inorganica assemblata dal caso o dall´uomo, riflette sempre una memoria collettiva, junghiana, di cui gli artisti spesso detengono i segreti da rivelare. Così che segni tangibili della realtà quotidiana, espressi sotto forma di frammenti visivi diventano le tessere di un mosaico complesso, di un mondo reso invisibile dal caos della natura, dal disordine mentale che è nell´uomo che vive la città, e che riemergono foucaultianamente solo all´occhio riguardante di "pochi felici conoscitori" della materia. Lungi dall´essere un sistema ordinato, la giungla urbana entro cui vive l´animale uomo, consuma e inghiotte tutto ciò che disordinatamente risuona nei clamori della città, per ritrovarsi, per dirla alla Montale, in una sorta di solitudine collettiva, dove l´uomo solo si trova accanto ad altri uomini, accanto ai suoi vicini, come isola di un´arcicipelago frammentario, dispersivo: isola tra isole. In questo senso, la città diviene teatro di solitudine, cumulo di crani senza nome, egemonia di una lingua morta, inespressa. Soltanto l´artista, in uno scenario tale, è in grado di decodificare il linguaggio dei segni lasciati dall´uomo. Ne comprende il dolore, le trame irrisolte, i nodi celati dal tempo, per riconnettere i punti di un rebus spazio-temporale, e rivelare il senso ultimo delle parole, dei gesti, dell´atto umano divenuto forma. Come soleva dire Alberto Savinio nel suo "Milano ascolto il tuo cuore" (1942), un libro "per niente muto", ove tentò di tracciare quanto fosse rimasto dell´essenza ultima di una città nel cuore della guerra, bisogna "fare caso al caso", sapendo interpretare i segni, il solco metafisico che permane dopo la tempesta. Quanti artisti sono riusciti a decodificare certi frammenti, certe pieghe di un luogo, quella che Sciascia chiamava "la coscienza dei luoghi". Pochi in maniera eclatante. Anelli, indubbiamente appartiene a questa tradizione, dove la ricerca si fa estensiva e non riduttivamente legata a una singola questione, quanto a un microcosmo che riflette la coscienza eterna di più luoghi accomunati da un filo conduttore: lo spirito archetipico dell´uomo mediterraneo. Il suo lavoro, quindi, si dipana su questo arduo impegno di riscoperta: riesumare i volti, i teschi, le voci indistinte e i segni di un passato remoto e perduto, reinventando un linguaggio segnico, comunicativo; riportare in superficie la materia inerte, i simboli e l´afflato esistenziale dell´uomo per sconfiggere la solitudine dell´informe, entro cui è caduto da tempo l´uomo e le sue azioni.
Il segno, infine. Scritto o dipinto, o lacerato si fa inevitabilmente parola, verbo. Dall´individuo, dal suo primo esprimersi, passiamo ai rumori della città, alla collettiva torre di babele in cui flotte di gambe attraversano la luce creando ombre roventi e suggestivi bagliori increspati nel cemento. Inesorabile, il discorso non può che chiudersi – o soffermarsi momentaneamente – nelle parole impresse su teschi atavici, "martoriati" da implacabili scorie del tempo, con cui si chiude la trilogia sulla vita. Parole (l´alfabetizzazione), città (la dispersione delle parole), e teschi (il volgere verso una fine silente), uniti da uno stile shakespearianamente suadente, si fondono in una ricerca ricca di spunti per chi intende ancora riflettere sugli archetipi della materia umana.
SALVATORE ANELLI
di Giuseppe Cipolla
È un fatto singolarissimo che, dell´essere umano, rimangano gli elementi opposti: carcassa e scheletro, in cui e di cui si appagò quaggiù lo spirito, e poi però gli effetti ideali, che nelle parole e negli atti scaturirono da lui (Johann Wolfgang Goethe). Spirito e materia. Libri e teschi, avvolti da parole incise sulla pietra viva del tempo andato, ci suggerisce che nulla si trasforma, nulla muta, nella poesia visiva. Perché tempo e spazio non sempre reggono da soli il peso dell´arte, il suo principio archetipico. Da tempo ormai, la ricerca di Anelli indaga questo inesplicabile dilemma. Pittore, scultore, videoartista, con all´attivo svariate partecipazioni alla Biennale di Venezia, Anelli si interessa principalmente agli scambi interlinguistici e alle contaminazioni culturali. In particolare, la sua ricerca più recente nasce dall´accostamento segno/parola, sperimentato in un libro d´artista realizzato a quattro mani col poeta Franco Dionesalvi, Le parole valgono, e in un altro confezionato dal solo Anelli rileggendo Le città invisibili di Italo Calvino, da cui ha tratto un palinsesto visivo di "memorie parallele" nel volume Le città valgono. I Teschi valgono – una mostra antologica, curata abilmente da Andrea Guastella, attraverso cui si ripercorrono gli itinerari di sperimentazione dei suoi ultimi vent´anni – è il naturale prosieguo di queste esperienze, a costituire una fondamentale trilogia, edita da Rubettino e corredata da testi e poesie di diversi protagonisti della critica e della letteratura contemporanea: da Roberto Gramiccia a Ghislain Mayaud, da Claudio Damiani a Franco Dionesalvi, da Gerardo Pedicini a Daniele Pieroni, da Paolo Ruffilli a Evelina Schatz. La mostra di Palazzo Zacco a Ragusa, organizzata dal Comune di Ragusa e dall´Associazione Culturale Aurea Phoenix, riflette compiutamente, con oculata selezione del curatore, il lavoro infaticabile e la ricerca poietica che l´artista ha condensato nelle sue creazioni. Il tema del teschio è al centro del progetto Di catrame - di anima (2008) in cui Anelli coinvolge, in un confronto dialettico alcuni poeti portandoli a riflettere sulle mille incertezze del futuro e sulla caduta dell´utopia. Le poesie diventano parte integrante delle opere in cui il cranio è declinato in svariate forme, dai disegni a carboncino alle sculture intrise di catrame e di pigmenti fino alle più moderne tecniche digitali. Nel 2010 l´artista ripercorre le esperienze tecniche del passato e mediante l´uso di bende, cartone pressato e garze ingessate realizza le opere dal titolo Libri sordi, nei quali confluiscono emozioni quotidiane e momenti del proprio sé, nella costante ricerca della verità tra le inquietudini della vita. In occasione dell´anno bisestile del 2012, convenzionalmente ritenuto anno funesto, iniziano i lavori per lo studio di una installazione - ambiente, dal titolo Diversa/mente, 365+1, in cui il cranio, segno-archetipo assai emblematico, si carica di tensioni narranti ed esprime tutte le problematiche del nostro vivere quotidiano. Entrando nel merito della sua esegesi poetica in cui ogni opera riflette un discorso univoco e distribuito nel tempo, occorre precisare il campo semantico del suo operare.
Il ricordo scaccia il presente; l´utile scaccia il reale; il significato dei corpi scaccia la loro forma. Noi vediamo soltanto futuro o passato, ma non le macchie dell´istante puro. Qualcosa di non-colorato si sostituisce irreversibilmente alla presenza cromatica, come se la sostanza del non artista assorbisse la sensazione e non la rendesse mai più, avendola fatta fuggire verso le sue conseguenze. Ora, il senso che un´opera sprigiona è già implicato in tutto questo, è innervato nella sua struttura sensibile, in ciò che in sintesi costituisce la sua forma linguistica o spazio-temporale. E lo è nella misura in cui il poeta (l´artista), operando pressioni e torsioni sul proprio linguaggio, lo corrode fisicamente modificandone l´area semantica, lavora sulle forme, sugli spazi diacritici che queste istituiscono, sulle zone di ambiguità, sulle fessure, le faglie. Maurice Merleau-Ponty aveva chiarito quanto «la felicità dell´arte» stia nel «mostrare come qualcosa diventi significato, non per allusione a idee già formate e acquisite, ma grazie alla disposizione temporale o spaziale degli elementi». E il gioco combinatorio che si esplica nelle istallazioni/composizioni di Anelli induce a una moltitudine lucida di riflessioni e intuizioni consegnate all´esercizio della scrittura, della manipolazione polimaterica, della rielaborazione dei simboli in una nuova dimensione epistemologica. Paul Valéry indicava questo continuo "esercizio" quale la via migliore perché si giunga a un riscatto della visione dall´egemonia del linguaggio codificato. Il mondo della visibilità appare all´artista rarefatto fino all´astrazione, ingabbiato nella rete delle categorie intellettuali, desensibilizzato, reso inefficace e, infine, ridotto all´invisibilità. E, sulla lunghezza d´onda di questo progetto di rieducazione dello sguardo abitudinario e compromesso dagli usi, l´artista riveste il ruolo centrale di colui che sa ricondurre il visibile alla dimensione pre-significativa, naturale, antecedente a ogni denominazione dettata dall´utilità. Stabilito uno iato possibile tra percepire e interpretare, Anelli sa ricondurre le cose, attraverso un vero e proprio «esercizio dell´informe» all´interno del sistema di relazioni sensibili primarie.
Altro tema ineludibile è il rapporto tra materia e memoria. La materia organica o inorganica assemblata dal caso o dall´uomo, riflette sempre una memoria collettiva, junghiana, di cui gli artisti spesso detengono i segreti da rivelare. Così che segni tangibili della realtà quotidiana, espressi sotto forma di frammenti visivi diventano le tessere di un mosaico complesso, di un mondo reso invisibile dal caos della natura, dal disordine mentale che è nell´uomo che vive la città, e che riemergono foucaultianamente solo all´occhio riguardante di "pochi felici conoscitori" della materia. Lungi dall´essere un sistema ordinato, la giungla urbana entro cui vive l´animale uomo, consuma e inghiotte tutto ciò che disordinatamente risuona nei clamori della città, per ritrovarsi, per dirla alla Montale, in una sorta di solitudine collettiva, dove l´uomo solo si trova accanto ad altri uomini, accanto ai suoi vicini, come isola di un´arcicipelago frammentario, dispersivo: isola tra isole. In questo senso, la città diviene teatro di solitudine, cumulo di crani senza nome, egemonia di una lingua morta, inespressa. Soltanto l´artista, in uno scenario tale, è in grado di decodificare il linguaggio dei segni lasciati dall´uomo. Ne comprende il dolore, le trame irrisolte, i nodi celati dal tempo, per riconnettere i punti di un rebus spazio-temporale, e rivelare il senso ultimo delle parole, dei gesti, dell´atto umano divenuto forma. Come soleva dire Alberto Savinio nel suo "Milano ascolto il tuo cuore" (1942), un libro "per niente muto", ove tentò di tracciare quanto fosse rimasto dell´essenza ultima di una città nel cuore della guerra, bisogna "fare caso al caso", sapendo interpretare i segni, il solco metafisico che permane dopo la tempesta. Quanti artisti sono riusciti a decodificare certi frammenti, certe pieghe di un luogo, quella che Sciascia chiamava "la coscienza dei luoghi". Pochi in maniera eclatante. Anelli, indubbiamente appartiene a questa tradizione, dove la ricerca si fa estensiva e non riduttivamente legata a una singola questione, quanto a un microcosmo che riflette la coscienza eterna di più luoghi accomunati da un filo conduttore: lo spirito archetipico dell´uomo mediterraneo. Il suo lavoro, quindi, si dipana su questo arduo impegno di riscoperta: riesumare i volti, i teschi, le voci indistinte e i segni di un passato remoto e perduto, reinventando un linguaggio segnico, comunicativo; riportare in superficie la materia inerte, i simboli e l´afflato esistenziale dell´uomo per sconfiggere la solitudine dell´informe, entro cui è caduto da tempo l´uomo e le sue azioni.
Il segno, infine. Scritto o dipinto, o lacerato si fa inevitabilmente parola, verbo. Dall´individuo, dal suo primo esprimersi, passiamo ai rumori della città, alla collettiva torre di babele in cui flotte di gambe attraversano la luce creando ombre roventi e suggestivi bagliori increspati nel cemento. Inesorabile, il discorso non può che chiudersi – o soffermarsi momentaneamente – nelle parole impresse su teschi atavici, "martoriati" da implacabili scorie del tempo, con cui si chiude la trilogia sulla vita. Parole (l´alfabetizzazione), città (la dispersione delle parole), e teschi (il volgere verso una fine silente), uniti da uno stile shakespearianamente suadente, si fondono in una ricerca ricca di spunti per chi intende ancora riflettere sugli archetipi della materia umana.