RAGUSA - I CIRCOLI IBLEI DI " LEGAMBIENTE " ACCUSANO IL SINDACATO DI PENSARLA COME LE COMPAGNIE PETROLIFERE SULLE TRIVELLAZIONI.
Petrolio, il bivio ibleo tra medioevo e futuro
Fa impressione leggere nel 2019 quanto scritto dai sindacati confederali nei giorni scorsi sulla moratoria per 18 mesi sulle nuove attività di ricerca, prospezione e coltivazione e sull’aumento delle royalties decise dal governo nel decreto semplificazioni grazie alla decisiva e condivisibile impuntatura del ministro dell’Ambiente Sergio Costa.
Sembra di leggere una presa di posizione degli anni ‘70 o ‘80 quando il miraggio petrolifero per la provincia iblea e per le coste siciliane sembrava una svolta occupazionale ed economica per territori alla ricerca di un nuovo sviluppo dopo quello legato all’agricoltura, che in realtà non c’è mai stata.
La cosa che ci lascia davvero perplessi è che sembra una presa di posizione delle società petrolifere che legittimamente curano i loro interessi grazie a decenni di leggi nazionali che trasversalmente da governi di centro sinistra o di centro destra hanno permesso ai loro bilanci di fare affari a volte miliardari, come nel caso di Eni ed Edison. Tutto questo è avvenuto lasciando le briciole al territorio (le royalties italiane sono tra le più basse al mondo) grazie anche ad una serie di incomprensibili sussidi diretti e indiretti che la filiera petrolifera può vantare (si tratta di 16 miliardi di euro all’anno, molto più abbondanti dei tanti criticati incentivi alle rinnovabili), che neanche il governo targato M5S e Lega ha toccato finora.
Visto che crediamo molto al contributo che il sindacato può dare per garantire posti di lavoro duraturi per i prossimi decenni non comprendiamo questo attaccamento ad una fonte fossile, finita per definizione, che rischia, una volta esaurita, di far deprimere economicamente i nostri territori. Da almeno un decennio attraverso la nostra Goletta verde denunciamo i danni incalcolabili che incidenti nelle piattaforme petrolifere a mare o nelle petroliere che varcano i nostri mari potrebbero causare al turismo siciliano e ibleo e alla pesca (come successo nel golfo del Messico con l’incidente della piattaforma Deepwater Horizon del colosso petrolifero BP). Da anni ricordiamo che le estrazioni petrolifere a terra sono un rischio concreto per le attività agricole nel territorio. Da tempo pensiamo che i ferri vecchi della filiera petrolifera (come piattaforme a mare, pozzi di estrazione a terra, petrolchimici e raffinerie come quelle del siracusano o di Gela) debbano essere gradualmente sostituite con impianti che usano fonti rinnovabili come impianti solari termodinamici come quelli di Priolo o di San Filippo del Mela, bioraffinerie che trattano gli scarti dell’agricoltura per i prodotti della nuova chimica verde come a Porto Torres in Sardegna, biodigestori anaerobici per produrre biometano dall’organico domestico differenziato, dai fanghi di depurazione, dai reflui zootecnici o dagli scarti agricoli. Sarebbero tutte applicazioni energetiche su cui potrebbero essere riconvertite gradualmente tutte le maestranze oggi operative nel settore petrolifero in provincia di Ragusa e che proietterebbero tutti i lavoratori dal medioevo delle fossili al futuro già presente delle rinnovabili. È troppo chiedere un po’ di coraggio e lungimiranza al sindacato?
I circoli iblei di Legambiente Scicli, Ispica, Modica, Pozzallo e Ragusa