"RAPUNZEL & GOTHEL: ASPETTATIVE, ANSIE, INGANNI E INTRECCI RELAZIONALI " della dott/ssa Stella Morana.
Qualche giorno fa ho riguardato con piacere il cartone animato Disney "Rapunzel",che parla di una principessa (Rapunzel) rapita- quando ancora era in fasce - da Gothel, la strega che si finge sua madre per tenerla segregata dentro una torre, così da poter sfruttare il magico potere dei capelli della giovane. Rapunzel, nonostante viva da reclusa, non sa di essere stata rapita e crede alle parole della madre che le giustifica la sua prigionia come una condizione necessaria per preservarla dai pericoli del mondo. Sarà il suo sogno (guardare da vicino il volo delle lanterne luminose) e l´incontro con il giovane furfante Flyn, che consentirà alla giovane principessa di trovare la forza per disubbidire alla madre e avventurarsi in un viaggio che le sarà rivelatorio e le permetterà di conquistare la sua libertà.
Si tratta di un cartone animato che offre numerosi spunti di riflessione a partire dal rapporto fra Rapunzel e la madre/strega Gothel, in cui c´è poco di "fiabesco" e molto di "paradossale"; un rapporto intriso di dipendenza patologica reciproca e di sensi di colpa, che hanno come scopo la garanzia del legame e della vicinanza con la figlia, facendole credere che lei, Rapunzel, non potrebbe farcela senza la sua guida.
" (Gothel) : Vorresti uscire dalla torre? Oh, che dici Rapunzel
Cara sei un fuscello delicato! (Non potresti farcela da sola perché sei debole!)
E mi ascolti sempre sei un amore (Sei un amore perché mi obbedisci,non a prescindere!)
Sai che ti ho protetto e tutelato (Mi sono sacrificata per te.)
E´ una delusione che vuoi darmi? (Dopo tutto il mio impegno vorresti darmi questo dolore?)
Vuoi lasciare il nido e andare via? (Vuoi abbandonarmi?)
Si ma non ora! (In realtà non sarò mai pronta a lasciarti andare)
Se ti lascio andare me ne pentirò. ( E ne soffrirò terribilmente!)
Ladri in libertà, piante velenose, antropofagia, la peste! (il mondo fuori è troppo pericoloso per te che sei insicura!) Ah, io muoio! Non lasciarmi (Se non vuoi farlo per te, fallo per me perché senza te io muoio) Sola tu cosa farai? Dai finiresti nei guai Sei un po´ svampita. Piena di ansia e dubbi. [...]"
Dal canto suo, Rapunzel fa veramente molta fatica a decidere di disubbidire alla madre e di uscire dalla torre; questa scelta non sarà semplice ma piuttosto tormentata e disseminata di mille dubbi. La giovane difatti oscillerà fra momenti di gioia pura e di orgoglio ("non posso credere di averlo fatto", "è troppo divertenteeee", "non tornerò più indietroooo" , "il giorno più bello di sempre") e momenti di ripensamenti e sensi di colpa ("mamma sarebbe furiosa" "ma cosa ho fatto? Questo la ucciderà" "sono una pessima figlia, torno indietro" "sono un essere spregevole").
La vera prigione per Rapunzel, dunque, non è la torre in sé, bensì la paura di non essere all´altezza del mondo, di essere "svampita", debole, di essere proprio come la madre le dice di essere. Si è sempre guardata in uno specchio che le ha rimandato l´immagine di una persona mediocre ed è esattamente così che Rapunzel si vede. Ed è questa la sua vera prigione!
Rapunzuel alla fine del cartone riuscirà – comunque - ad essere una donna libera e a riappropriarsi del suo ruolo nel mondo; d´altronde il lieto fine dei cartoni Disney è tra le poche "garanzie sulle quali possiamo contare!"
Nella "Realtà", invece, non sempre c´è il lieto fine e non è raro che i figli facciano davvero tantissima fatica a disfarsi del ruolo di cui sono investiti, cioè di soddisfare i bisogni affettivi del genitore, di compensare le loro infelicità coniugale e/o esistenziale o di dare seguito ai sogni irrealizzati dei genitori, ricalcando e conservando l´identità della "famiglia".
Pena l´isolamento e/o il ricatto affettivo.
Certo, mi rendo conto che non è facile essere genitori, lo dico da professionista e da madre; aumentano le responsabilità, diminuisce il tempo libero, aumentano i doveri e gli impegni a cui far fronte ma diminuiscono drasticamente le ore di sonno.
Ciononostante, è anche piuttosto difficile essere figli; lo è soprattutto quando sono "costretti" a farsi carico delle aspettative dei genitori, di vivere una vita che non gli appartiene ma alla quale sentono di doversi omologare.
Lasciare ai propri figli lo spazio per crescere seguendo "se stessi, le proprie passioni e secondo i propri ritmi" è uno fra i compiti più difficili per un genitore perché alla base di questa sceltà c´è l´assoluta certezza che i figli non ci appartengono. né sono prolungamenti del sé, ma persone distinte.
dott/ssa Stella Morana
Si tratta di un cartone animato che offre numerosi spunti di riflessione a partire dal rapporto fra Rapunzel e la madre/strega Gothel, in cui c´è poco di "fiabesco" e molto di "paradossale"; un rapporto intriso di dipendenza patologica reciproca e di sensi di colpa, che hanno come scopo la garanzia del legame e della vicinanza con la figlia, facendole credere che lei, Rapunzel, non potrebbe farcela senza la sua guida.
" (Gothel) : Vorresti uscire dalla torre? Oh, che dici Rapunzel
Cara sei un fuscello delicato! (Non potresti farcela da sola perché sei debole!)
E mi ascolti sempre sei un amore (Sei un amore perché mi obbedisci,non a prescindere!)
Sai che ti ho protetto e tutelato (Mi sono sacrificata per te.)
E´ una delusione che vuoi darmi? (Dopo tutto il mio impegno vorresti darmi questo dolore?)
Vuoi lasciare il nido e andare via? (Vuoi abbandonarmi?)
Si ma non ora! (In realtà non sarò mai pronta a lasciarti andare)
Se ti lascio andare me ne pentirò. ( E ne soffrirò terribilmente!)
Ladri in libertà, piante velenose, antropofagia, la peste! (il mondo fuori è troppo pericoloso per te che sei insicura!) Ah, io muoio! Non lasciarmi (Se non vuoi farlo per te, fallo per me perché senza te io muoio) Sola tu cosa farai? Dai finiresti nei guai Sei un po´ svampita. Piena di ansia e dubbi. [...]"
Dal canto suo, Rapunzel fa veramente molta fatica a decidere di disubbidire alla madre e di uscire dalla torre; questa scelta non sarà semplice ma piuttosto tormentata e disseminata di mille dubbi. La giovane difatti oscillerà fra momenti di gioia pura e di orgoglio ("non posso credere di averlo fatto", "è troppo divertenteeee", "non tornerò più indietroooo" , "il giorno più bello di sempre") e momenti di ripensamenti e sensi di colpa ("mamma sarebbe furiosa" "ma cosa ho fatto? Questo la ucciderà" "sono una pessima figlia, torno indietro" "sono un essere spregevole").
La vera prigione per Rapunzel, dunque, non è la torre in sé, bensì la paura di non essere all´altezza del mondo, di essere "svampita", debole, di essere proprio come la madre le dice di essere. Si è sempre guardata in uno specchio che le ha rimandato l´immagine di una persona mediocre ed è esattamente così che Rapunzel si vede. Ed è questa la sua vera prigione!
Rapunzuel alla fine del cartone riuscirà – comunque - ad essere una donna libera e a riappropriarsi del suo ruolo nel mondo; d´altronde il lieto fine dei cartoni Disney è tra le poche "garanzie sulle quali possiamo contare!"
Nella "Realtà", invece, non sempre c´è il lieto fine e non è raro che i figli facciano davvero tantissima fatica a disfarsi del ruolo di cui sono investiti, cioè di soddisfare i bisogni affettivi del genitore, di compensare le loro infelicità coniugale e/o esistenziale o di dare seguito ai sogni irrealizzati dei genitori, ricalcando e conservando l´identità della "famiglia".
Pena l´isolamento e/o il ricatto affettivo.
Certo, mi rendo conto che non è facile essere genitori, lo dico da professionista e da madre; aumentano le responsabilità, diminuisce il tempo libero, aumentano i doveri e gli impegni a cui far fronte ma diminuiscono drasticamente le ore di sonno.
Ciononostante, è anche piuttosto difficile essere figli; lo è soprattutto quando sono "costretti" a farsi carico delle aspettative dei genitori, di vivere una vita che non gli appartiene ma alla quale sentono di doversi omologare.
Lasciare ai propri figli lo spazio per crescere seguendo "se stessi, le proprie passioni e secondo i propri ritmi" è uno fra i compiti più difficili per un genitore perché alla base di questa sceltà c´è l´assoluta certezza che i figli non ci appartengono. né sono prolungamenti del sé, ma persone distinte.
dott/ssa Stella Morana