" SCICLI, 1542: UN «CONTRATTO DI PACE» FRA CRISTIANI ED EBREI " DEL PROF. FRANCESCO EREDDIA
« Per quistu nostru edictu perpetue et pro semper valituro comandamo cacciari et cacciamo di tucti nostri regni et dominactioni occidentali et orientali tucti li dicti iudei masculi et fimini grandi et pichuli chi in li dicti regni et dominactioni nostri stannu et si trovanu tantu in li terri demaniali comu ecclesiastici et in altri qualsivoglia. [...] Li quali iudei masculi et fimmini hagianu et siano tenuti nexiri et andarisindi di tucti li dicti regni et dominactioni nostri infra tri misi poi di la publicactioni di la presenti immediate numerandi ».
Il 18 giugno dell´anno di grazia 1492, re Ferdinando il Cattolico promulgava l´editto «Contra Judeos perfidos» e comminava loro l´espulsione immediata da tutti i regni spagnoli e dalla Sicilia. Nello stesso anno aveva portato a compimento la reconquista con la caduta di Granada, ultimo residuo della dominazione musulmana nella penisola iberica. A questo passo estremo lo aveva persuaso il suo confessore, il frate domenicano Tommaso di Torquemada, secondo il quale "la dicta heresia et appostasia" degli ebrei non poteva essere eliminata se non espellendoli tutti dai regni spagnoli.
L´alternativa per evitare l´esilio e la confisca di tutti i beni era la conversione al cristianesimo.
Quanti furono gli ebrei siciliani che si convertirono per non abbandonare la terra in cui vivevano da tante generazioni? Assai difficile dirlo, dal momento che non si dispone della documentazione adeguata. Prendendo come punto di riferimento la Spagna, in cui un quarto dei 200mila ebrei optarono per il battesimo nonostante le condanne e i roghi inflitti nei decenni precedenti ai conversos dall´Inquisizione, sarebbe legittimo supporre che in Sicilia, dove la Santa Inquisizione era ancora un fatto lontano, semisconosciuto e astratto, la percentuale dei conversi sia stata più elevata.
Ma il problema è anche questo: rimasero in Sicilia gli ebrei poveri (gli artigiani e i contadini, che costituivano il 20% della popolazione ebraica) o quelli benestanti (la schiacciante maggioranza, cioè, costituita da medici, mercanti, banchieri e finanzieri)?
Lo storico israeliano Elyihau Ashtor ha sostenuto che un discreto numero di artigiani si convertì, mentre gli esponenti più facoltosi della comunità, in particolare i medici, furono in genere propensi ad andarsene. Anche secondo Carmelo Trasselli il numero dei convertiti fu maggiore di quello indicato da alcuni storici come per esempio Cecil Roth; lo stesso Trasselli, però, ritiene che furono i poveri ad andarsene e i ricchi a restare. Ashtor ritiene che il numero per nulla trascurabile di conversioni nell´ambito dei meno abbienti sia da attribuire al basso livello culturale del proletariato ebraico siciliano: l´affermazione può essere contestabile, poiché proprio le comunità ebraiche più povere sono spesso più salde nella loro fede.
Come si vede, è un problema ancora aperto e controverso che vede posizioni storiografiche divergenti e opposte: un problema che si complica ulteriormente, se a occuparsene sono storici ebrei, portati ovviamente a minimizzare quelle conversioni dell´ultima ora e a vederlo sotto una luce esclusivamente religiosa. Comunque, resta indubitabile il fatto che parecchie migliaia di ebrei rimasero in Sicilia dopo aver ricevuto il battesimo: cominciava così per loro una nuova vita da «conversi» o, con termine italiano classicheggiante, «neofiti» (quasi " nuovamente nati" alla fede) o, come spregiativamente erano chiamati in Spagna, «marrani» ("porci").
Con decreto regio del 27 luglio 1500 venne istituito ufficialmente in Sicilia il «Tribunale Provinciale Permanente del Santo Ufficio della Inquisizione». Il battesimo del fuoco dell´Inquisizione siciliana fu nel 1511 la caccia agli ebrei che si erano convertiti: iniziò così l´efferata stagione della persecuzione contro i «neofiti giudaizzanti». L´accusa ricorrente e unica contro i neofiti era, infatti, quella di essere "giudaizzanti" ovvero "osservanti la legge giudaica". Ma in che cosa consisteva questo ´giudaizzare´ e quali erano i comportamenti del neofito che lo facevano incorrere in questa accusa?
Era sufficiente solennizzare il vespero del giorno festivo accendendo i lumi di casa, cambiare la biancheria il sabato e pulire la casa astenendosi dal lavoro, astenersi dai cibi proibiti, digiunare nei giorni prescritti dalla legge mosaica, seppellire i morti all´uso ebraico, ecc. Tutto correva sul filo del rasoio, e spesso si fondava sul mero convincimento dell´inquisitore, non sempre necessariamente suffragato dalla prova, come invece richiesto dal comune diritto processuale vigente.
Queste accuse erano puramente pretestuose, o non erano invece suffragate da dati di fatto oggettivi, tali cioè da legittimare, dal punto di vista naturalmente della Chiesa, quella campagna così duramente repressiva contro i neofiti?
Non c´è dubbio che anche degli ebrei neofiti della contea di Modica, come peraltro di tutti gli ebrei siciliani, si può affermare che «escluse le debite eccezioni - afferma lo storico Francesco Renda - solo per eufemismo poteva dirsi che nella generalità avessero abbracciato la fede cristiana per libera e convinta personale determinazione. Degli ebrei conversi non furono molti quelli che si sentirono a proprio agio nel ruolo di cristiani loro malgrado. Consapevoli di essere cattivi ebrei, non sempre, per altro, riuscirono a evitare di essere cristiani ancor peggiori».
Insomma, se tante conversioni nella Spagna della seconda metà del Quattrocento erano state dettate da motivi d´interesse (fare carriera, persino nel campo ecclesiastico) ed erano state pertanto false e simulate, lo stesso si può dire di queste siciliane del dopo espulsione. Solo che adesso le ragioni di questo comportamento doppio e ambiguo non erano dettate dall´ambizione, ma dalla necessità di sopravvivere. Fu così che nacque la pratica del "criptogiudaismo": diventare neofiti per mera convenienza, mantenendosi nell´animo ebrei e continuando, seppur occultamente, a seguire i riti, le tradizioni e le pratiche della legge mosaica.
Nella contea di Modica i primi casi di neofiti finiti sotto processo si riferiscono al 1529: erano passati quasi vent´anni dall´inizio dell´attività del Sant´Uffizio. I processi e le condanne dei vassalli neofiti si protrassero fino al 1549, quando venne condannato l´ultimo ebreo giudaizzante della contea, Hieronimo Ciancio di Chiaramonte.
In quel ventennio si ebbero nel territorio comitale in totale 85 condannati, di cui 14 donne (il 17% del totale). Modica ebbe 35 condanne; Ragusa, 32; Scicli, 6; Comiso, 6; Chiaramonte, 4; Monterosso, 1; Spaccaforno (Ispica). Per 25 disgraziati il processo si concluse con il rogo.
Possiamo facilmente immaginare il dramma che si abbatteva su intere famiglie, né possiamo non soffermarci sul clima di terrore che per decenni dovette sovrastare come una cappa di piombo sull´intera contea. Ché dietro le decine di quanti affrontarono l´estremo supplizio dobbiamo necessariamente ipotizzare le centinaia di coloro che ritrattarono le loro convinzioni religiose. Ma, anche se molti facevano abiura e si riconciliavano, tuttavia continuavano a vivere nel terrore di potere un giorno o l´altro finire sul rogo: senza parlare del disprezzo generale a cui erano sottoposti all´interno della loro comunità, dell´emarginazione e della conseguente miseria.
Nel 1542 divenne governatore della contea di Modica Bernaldo del Nero, fiorentino, già governatore delle Canarie e reggente vicario della Gran Corte di Napoli. Il suo nome resta legato alle «Ordinanze», con cui si attuava una profonda riforma amministrativa della contea mirante ad eliminare gli abusi degli ufficiali fiscali e ogni forma di corruzione. Non è questa la sede per illustrare l´importante documento giuridico e amministrativo. Ci occupiamo pertanto del paragrafo conclusivo.
Il documento delle «Ordinanze» di Del Nero, infatti, si conclude con la stipulazione di un perlomeno strano «contratto di pace» (contractus pacis) relativo alla città di Scicli. Giurato a Modica con atto notarile il 21 novembre 1542 alla presenza del governatore Bernaldo del Nero, tale contratto recita:
«Con la ferma intenzione di fare una mutua pace, di rispettare fra di loro inviolabilmente tale pace e di rimettersi scambievolmente qualsiasi offesa e danno del passato, in presenza del molto Spettabile signor Bernaldo del Nero, milite e governatore generale di tutta la contea di Modica e consiliario regio, sotto un duplice giuramento da loro prestato, tramite il sottoscritto notaio hanno stipulato, come stipulano, una mutua pace con il bacio e la stretta di mano, garantendo una pace perpetua alle sottoscritte condizioni vincolanti e clausole, contenute nel presente contratto».
In nessun passaggio del contratto, purtroppo, si chiarisce o specifica nel dettaglio quali fossero queste «offese e danni del passato» che con questo atto solenne quegli uomini erano convenuti ad estinguere. Quello che possiamo notare è che in esso sono trascritti i nomi di una cinquantina circa di cittadini sciclitani: e doveva trattarsi di cittadini di alto rango, se ogni nome è preceduto dal titolo di "nobilis". A piccoli gruppi (tre/quattro da una parte e altrettanti dall´altra) giurano davanti al notaio, firmano e si scambiano un segno di pace.
Ciò che può destare un certo interesse – che costituisce la chiave per capire le ragioni di quel giuramento solenne – è il fatto che dei due gruppetti di capifamiglia che si avvicendano di volta in volta nella sottoscrizione del contratto, il primo porta cognomi quali, ad es., Maynenti, Gilusio, Assenso, Martorana, Cannizzo, Palazzolo, etc. – cognomi appartenenti alla tradizione, per così dire, ´cristiana´ della popolazione -, mentre il secondo gruppo è costituito da cognomi come de Cusenza, de Russo, de la Luza, de Fide, de Zisa, de Florio, de Yssisa, etc. Questi secondi, non c´è dubbio, sono cognomi di origine ebraica, più precisamente di ebrei conversi.
Lo scontro in atto a Scicli, dunque, va inquadrato nella situazione di pressoché endemico conflitto religioso (ma che nascondeva ben più avvertite ragioni socio-economiche e politiche) tra la maggioranza cristiana e la piccola ma economicamente potente minoranza ebraica. Quel contratto di pace, insomma, potrebbe essere la spia della volontà unanime, all´interno della classe dirigente sciclitana, di porre fine a decenni di attacchi e tentativi di indebolire attraverso delazioni e accuse di "criptogiudaismo" la ricca e potente componente ebraica di questa classe dirigente.
FRANCESCO EREDDIA
Il 18 giugno dell´anno di grazia 1492, re Ferdinando il Cattolico promulgava l´editto «Contra Judeos perfidos» e comminava loro l´espulsione immediata da tutti i regni spagnoli e dalla Sicilia. Nello stesso anno aveva portato a compimento la reconquista con la caduta di Granada, ultimo residuo della dominazione musulmana nella penisola iberica. A questo passo estremo lo aveva persuaso il suo confessore, il frate domenicano Tommaso di Torquemada, secondo il quale "la dicta heresia et appostasia" degli ebrei non poteva essere eliminata se non espellendoli tutti dai regni spagnoli.
L´alternativa per evitare l´esilio e la confisca di tutti i beni era la conversione al cristianesimo.
Quanti furono gli ebrei siciliani che si convertirono per non abbandonare la terra in cui vivevano da tante generazioni? Assai difficile dirlo, dal momento che non si dispone della documentazione adeguata. Prendendo come punto di riferimento la Spagna, in cui un quarto dei 200mila ebrei optarono per il battesimo nonostante le condanne e i roghi inflitti nei decenni precedenti ai conversos dall´Inquisizione, sarebbe legittimo supporre che in Sicilia, dove la Santa Inquisizione era ancora un fatto lontano, semisconosciuto e astratto, la percentuale dei conversi sia stata più elevata.
Ma il problema è anche questo: rimasero in Sicilia gli ebrei poveri (gli artigiani e i contadini, che costituivano il 20% della popolazione ebraica) o quelli benestanti (la schiacciante maggioranza, cioè, costituita da medici, mercanti, banchieri e finanzieri)?
Lo storico israeliano Elyihau Ashtor ha sostenuto che un discreto numero di artigiani si convertì, mentre gli esponenti più facoltosi della comunità, in particolare i medici, furono in genere propensi ad andarsene. Anche secondo Carmelo Trasselli il numero dei convertiti fu maggiore di quello indicato da alcuni storici come per esempio Cecil Roth; lo stesso Trasselli, però, ritiene che furono i poveri ad andarsene e i ricchi a restare. Ashtor ritiene che il numero per nulla trascurabile di conversioni nell´ambito dei meno abbienti sia da attribuire al basso livello culturale del proletariato ebraico siciliano: l´affermazione può essere contestabile, poiché proprio le comunità ebraiche più povere sono spesso più salde nella loro fede.
Come si vede, è un problema ancora aperto e controverso che vede posizioni storiografiche divergenti e opposte: un problema che si complica ulteriormente, se a occuparsene sono storici ebrei, portati ovviamente a minimizzare quelle conversioni dell´ultima ora e a vederlo sotto una luce esclusivamente religiosa. Comunque, resta indubitabile il fatto che parecchie migliaia di ebrei rimasero in Sicilia dopo aver ricevuto il battesimo: cominciava così per loro una nuova vita da «conversi» o, con termine italiano classicheggiante, «neofiti» (quasi " nuovamente nati" alla fede) o, come spregiativamente erano chiamati in Spagna, «marrani» ("porci").
Con decreto regio del 27 luglio 1500 venne istituito ufficialmente in Sicilia il «Tribunale Provinciale Permanente del Santo Ufficio della Inquisizione». Il battesimo del fuoco dell´Inquisizione siciliana fu nel 1511 la caccia agli ebrei che si erano convertiti: iniziò così l´efferata stagione della persecuzione contro i «neofiti giudaizzanti». L´accusa ricorrente e unica contro i neofiti era, infatti, quella di essere "giudaizzanti" ovvero "osservanti la legge giudaica". Ma in che cosa consisteva questo ´giudaizzare´ e quali erano i comportamenti del neofito che lo facevano incorrere in questa accusa?
Era sufficiente solennizzare il vespero del giorno festivo accendendo i lumi di casa, cambiare la biancheria il sabato e pulire la casa astenendosi dal lavoro, astenersi dai cibi proibiti, digiunare nei giorni prescritti dalla legge mosaica, seppellire i morti all´uso ebraico, ecc. Tutto correva sul filo del rasoio, e spesso si fondava sul mero convincimento dell´inquisitore, non sempre necessariamente suffragato dalla prova, come invece richiesto dal comune diritto processuale vigente.
Queste accuse erano puramente pretestuose, o non erano invece suffragate da dati di fatto oggettivi, tali cioè da legittimare, dal punto di vista naturalmente della Chiesa, quella campagna così duramente repressiva contro i neofiti?
Non c´è dubbio che anche degli ebrei neofiti della contea di Modica, come peraltro di tutti gli ebrei siciliani, si può affermare che «escluse le debite eccezioni - afferma lo storico Francesco Renda - solo per eufemismo poteva dirsi che nella generalità avessero abbracciato la fede cristiana per libera e convinta personale determinazione. Degli ebrei conversi non furono molti quelli che si sentirono a proprio agio nel ruolo di cristiani loro malgrado. Consapevoli di essere cattivi ebrei, non sempre, per altro, riuscirono a evitare di essere cristiani ancor peggiori».
Insomma, se tante conversioni nella Spagna della seconda metà del Quattrocento erano state dettate da motivi d´interesse (fare carriera, persino nel campo ecclesiastico) ed erano state pertanto false e simulate, lo stesso si può dire di queste siciliane del dopo espulsione. Solo che adesso le ragioni di questo comportamento doppio e ambiguo non erano dettate dall´ambizione, ma dalla necessità di sopravvivere. Fu così che nacque la pratica del "criptogiudaismo": diventare neofiti per mera convenienza, mantenendosi nell´animo ebrei e continuando, seppur occultamente, a seguire i riti, le tradizioni e le pratiche della legge mosaica.
Nella contea di Modica i primi casi di neofiti finiti sotto processo si riferiscono al 1529: erano passati quasi vent´anni dall´inizio dell´attività del Sant´Uffizio. I processi e le condanne dei vassalli neofiti si protrassero fino al 1549, quando venne condannato l´ultimo ebreo giudaizzante della contea, Hieronimo Ciancio di Chiaramonte.
In quel ventennio si ebbero nel territorio comitale in totale 85 condannati, di cui 14 donne (il 17% del totale). Modica ebbe 35 condanne; Ragusa, 32; Scicli, 6; Comiso, 6; Chiaramonte, 4; Monterosso, 1; Spaccaforno (Ispica). Per 25 disgraziati il processo si concluse con il rogo.
Possiamo facilmente immaginare il dramma che si abbatteva su intere famiglie, né possiamo non soffermarci sul clima di terrore che per decenni dovette sovrastare come una cappa di piombo sull´intera contea. Ché dietro le decine di quanti affrontarono l´estremo supplizio dobbiamo necessariamente ipotizzare le centinaia di coloro che ritrattarono le loro convinzioni religiose. Ma, anche se molti facevano abiura e si riconciliavano, tuttavia continuavano a vivere nel terrore di potere un giorno o l´altro finire sul rogo: senza parlare del disprezzo generale a cui erano sottoposti all´interno della loro comunità, dell´emarginazione e della conseguente miseria.
Nel 1542 divenne governatore della contea di Modica Bernaldo del Nero, fiorentino, già governatore delle Canarie e reggente vicario della Gran Corte di Napoli. Il suo nome resta legato alle «Ordinanze», con cui si attuava una profonda riforma amministrativa della contea mirante ad eliminare gli abusi degli ufficiali fiscali e ogni forma di corruzione. Non è questa la sede per illustrare l´importante documento giuridico e amministrativo. Ci occupiamo pertanto del paragrafo conclusivo.
Il documento delle «Ordinanze» di Del Nero, infatti, si conclude con la stipulazione di un perlomeno strano «contratto di pace» (contractus pacis) relativo alla città di Scicli. Giurato a Modica con atto notarile il 21 novembre 1542 alla presenza del governatore Bernaldo del Nero, tale contratto recita:
«Con la ferma intenzione di fare una mutua pace, di rispettare fra di loro inviolabilmente tale pace e di rimettersi scambievolmente qualsiasi offesa e danno del passato, in presenza del molto Spettabile signor Bernaldo del Nero, milite e governatore generale di tutta la contea di Modica e consiliario regio, sotto un duplice giuramento da loro prestato, tramite il sottoscritto notaio hanno stipulato, come stipulano, una mutua pace con il bacio e la stretta di mano, garantendo una pace perpetua alle sottoscritte condizioni vincolanti e clausole, contenute nel presente contratto».
In nessun passaggio del contratto, purtroppo, si chiarisce o specifica nel dettaglio quali fossero queste «offese e danni del passato» che con questo atto solenne quegli uomini erano convenuti ad estinguere. Quello che possiamo notare è che in esso sono trascritti i nomi di una cinquantina circa di cittadini sciclitani: e doveva trattarsi di cittadini di alto rango, se ogni nome è preceduto dal titolo di "nobilis". A piccoli gruppi (tre/quattro da una parte e altrettanti dall´altra) giurano davanti al notaio, firmano e si scambiano un segno di pace.
Ciò che può destare un certo interesse – che costituisce la chiave per capire le ragioni di quel giuramento solenne – è il fatto che dei due gruppetti di capifamiglia che si avvicendano di volta in volta nella sottoscrizione del contratto, il primo porta cognomi quali, ad es., Maynenti, Gilusio, Assenso, Martorana, Cannizzo, Palazzolo, etc. – cognomi appartenenti alla tradizione, per così dire, ´cristiana´ della popolazione -, mentre il secondo gruppo è costituito da cognomi come de Cusenza, de Russo, de la Luza, de Fide, de Zisa, de Florio, de Yssisa, etc. Questi secondi, non c´è dubbio, sono cognomi di origine ebraica, più precisamente di ebrei conversi.
Lo scontro in atto a Scicli, dunque, va inquadrato nella situazione di pressoché endemico conflitto religioso (ma che nascondeva ben più avvertite ragioni socio-economiche e politiche) tra la maggioranza cristiana e la piccola ma economicamente potente minoranza ebraica. Quel contratto di pace, insomma, potrebbe essere la spia della volontà unanime, all´interno della classe dirigente sciclitana, di porre fine a decenni di attacchi e tentativi di indebolire attraverso delazioni e accuse di "criptogiudaismo" la ricca e potente componente ebraica di questa classe dirigente.
FRANCESCO EREDDIA