" VITTORIA E LA « SIÈNIA » DEGLI EBREI " DI FRANCESCO EREDDIA

Il termine Siènia deriva dall´arabo Saniyâh, "Pozzo a ruota". Era un pozzo munito di un congegno (frutto dell´esperienza nella tecnica idraulica degli arabi, figli del deserto, che lo diffusero in Sicilia durante la loro dominazione) consistente in una puleggia, cioè una ruota verticale montata su un palo rotante, munita di secchi e immersa parzialmente nell´acqua, la quale veniva man mano immessa in un apposito canale (in sic. "sàia", dall´ar. saqiâh) per distribuirla nei campi intorno.
Il toponimo siènia, dunque, attesta sempre la presenza in una determinata contrada di un pozzo a ruota. Ma nel periodo successivo alla cacciata dei musulmani dalla Sicilia ad opera dell´imperatore Federico II (1233) con la conseguente immigrazione di ebrei nordafricani arabofoni, questo termine, oltre a continuare a designare un pozzo con relativo impianto di sollevamento dell´acqua, indicò soprattutto un bagno (miqweh), di quelli che costituivano un elemento essenziale - assieme alla sinagoga e al macello - della religione e del rituale giudaico. Tale bagno, costruito in genere a due passi dalla sinagoga, era riservato soprattutto alla purificazione periodica delle donne che, dopo ogni mestruazione o alla vigilia del matrimonio o dopo un parto, erano tenute in maniera rigorosa e intransigente alle rituali abluzioni purificatrici.
Le parole in genere, e i toponimi in particolare, in tanto restano vitali e si tramandano una generazione dopo l´altra, in quanto vi sono esseri umani che si trasmettono di padre in figlio, magari deformandolo un passaggio dopo l´altro, un dato termine. I tanti toponimi arabi presenti nella contea di Modica e concentrati soprattutto nel territorio di Vittoria - come quelli di tante altre aree della Sicilia - non possono non spiegarsi altrimenti che, da una parte, con l´occupazione islamica di queste contrade, e dall´altra con la presenza di ebrei arabofoni che hanno garantito che quei termini giungessero fino all´età moderna e da questa ai giorni nostri.
Questi indizi linguistici rendono assai probabile l´ipotesi che anche nel territorio di Vittoria poté trovarsi insediata qualche piccola comunità ebraica. Fra i tanti toponimi arabi presenti in questo territorio c´è quello di una contrada detta Gerbe, a sud-ovest dell´odierno abitato, nella valle dell´Ippari. Si tenga presente che probabilmente anche dalle Gerbe Federico II nel 1240 fece immigrare contadini ebrei arabofoni per sopperire alla scomparsa violenta della componente islamica dalle campagne siciliane e che, comunque, le isole Gerbe furono concesse nel 1364 dal re Federico IV d´Aragona al conte di Modica Giovanni Chiaramonte. Essendo queste isole infestate dai pirati barbareschi, nel 1388 Manfredi III Chiaramonte riuscì nell´impresa di conquistarle. E´ ben lecito ipotizzare che anche nel territorio di Vittoria venne dedotta una colonia di contadini ebrei per ridare nuova vita ai terreni incolti (nel più antico dialetto vittoriese le terre incolte erano dette "ggerbi"). Un detto molto antico, peraltro, esclusivo del dialetto dell´ex contea, era "vàrditi ro´ ggirbinu" ("guardati dal gerbino"), che aveva un indubbio significato antisemita, suonando esso come uno sprezzante "guardati dall´ebreo". A Modica gli ebrei erano concentrati nel quartiere "Cartellone" ("Cartidduni", dall´arabo Harat al-yahud, «Il quartiere degli ebrei»).
Né si tratta solo di indizi linguistici, sebbene essi abbiano una rilevanza di primo piano nelle ricostruzioni storiche. Disponiamo anche di elementi materiali di una certa importanza. Anche a Vittoria, come a Modica, Scicli e Pozzallo, c´è una contrada, oggi un grande quartiere popolare, chiamato in dialetto «´a Siènia», dove c´è ancora oggi un pozzo (che è stato coperto con una botola intorno alla metà del secolo scorso). Da lì passava la "trazzera de´ Surdi", divenuta tale, cioè "regia trazzera", al tempo della dominazione borbonica, vale a dire nel primo Ottocento. Era l´antico sentiero che collegava Cammarana con Bidis-Biscari e con Terranova/Gela attraverso appunto la contrada Gerbe: si tenga presente che "Surdi" deriva dall´arabo sud, che indicava la "sulla", una leguminosa coltivata sia come foraggio sia per la tecnica agricola del "sovescio", consistente nel sotterramento di quella pianta per arricchire il terreno di materia organica. Una tecnica introdotta dagli arabi per rendere più fertili e produttivi i terreni e verosimilmente continuata dagli ebrei "importati" a questo scopo.
Dagli storici locali apprendiamo, inoltre, che la contrada era detta più precisamente "Senia di Ricca". Quel toponimo è di sicura provenienza ebraica: si tratta, infatti, della forma volgarizzata (fra i più diffusi nomi ebraici latinizzati) di Rivqâh, "Rebecca". D´altra parte, la Rebecca della Genesi, sposa di Isacco figlio di Abramo e madre di Giacobbe padre di Giuseppe, è collegata nel racconto biblico a un pozzo d´acqua. Abramo, infatti, aveva destinato quale sposa del figlio Isacco quella fanciulla che prima fra quelle che venivano ad attingere acqua al pozzo presso il quale si era fermato, avesse acconsentito a dargli da bere dalla sua brocca. Cosa che Rebecca fece.
Dunque, "Senia di Ricca" (latinizzazione di Sanyâh ha-Rivqâh, "Il pozzo di Rebecca") potrebbe attestare, così come a Modica, Scicli e Pozzallo, la presenza in questa contrada di un bagno rituale riservato alle donne ebraiche (miqwêh). Ma una pur piccola comunità ebraica esigeva la presenza anche di una sinagoga.
E in effetti la storiografia locale, nell´elencare la denominazione dei quartieri più antichi di Vittoria, ci fa sapere che adiacente al quartiere Senia c´era anche una cappelletta consacrata a S. Giuseppuzzu lu spersu, segnata peraltro anche su una cartina topografica di fine Ottocento. Teniamo presente che, in conseguenza dell´editto di espulsione degli ebrei dalla Sicilia (1492), si ebbe l´immediato e inevitabile fenomeno della trasformazione delle sinagoghe in chiese. Questo avvenne naturalmente anche nella contea di Modica: a Ragusa Ibla la chiesa della SS. Annunziata era stata una meskita; a Scicli le due sinagoghe furono sequestrate e acquistate dal governatore della contea; a Modica erano ancora visibili i ruderi della sinagoga nella seconda metà dell´Ottocento. Dunque la chiesetta della Senia di Ricca potrebbe essere stata un piccolo luogo di culto ebraico trasformato in cappella cristiana o in edicola votiva.
Quel diminutivo "Giuseppuzzu" fa pensare a un santo ´minore´ - dal punto di vista naturalmente della religione cristiana e cattolica - rispetto a san Giuseppe sposo di Maria. Molto probabilmente si trattava di san Giuseppe - figura importantissima del Pentateuco ebraico -, il "patriarca" biblico figlio di Giacobbe, a sua volta figlio di Rebecca, del quale nella Genesi si narra che i suoi fratelli per invidia lo gettarono in una cisterna (ancora una volta un pozzo!). Da lì lo trassero alcuni mercanti, che lo portarono in Egitto vendendolo come schiavo al faraone: dato per morto e disperso, solo dopo anni il padre Giacobbe lo ritrovò e poté riabbracciarlo.
Nella vicenda del santo patriarca Giuseppe non si possono non riscontrare molte affinità, a parte quella del nome e dell´appellativo (lo sperso), con una fiaba popolare di origine medievale e molto nota al popolo siciliano, Peppi, spersu pri lu munnu. Anche qui c´era un re, una moglie del re (come la Putifar biblica), dei sogni da interpretare, una terra che non produceva abbastanza con conseguente carestia, e altri particolari simili. Era inevitabile che le due ´storie´ e i loro protagonisti finissero per identificarsi, nell´immaginario collettivo e nel mondo contadino in particolare, e per confondersi perfettamente.
Che alla sinagoga della "Senia di Ricca" fosse stata sostituita una chiesa cristiana dedicata a san Giuseppe patriarca (di cui potrebbe essere rimasta fino all´Ottocento solo un´edicola votiva) è perfettamente coerente con la linea della gerarchia ecclesiastica del tempo. Il "patriarca" Giuseppe, "eroe" fondatore del popolo ebraico, già dai primi Padri della Chiesa e poi per tutto il Medioevo era stato interpretato come prefigurazione del Cristo.
Così recita la Biblioteca Sanctorum alla voce "Giuseppe": « Giuseppe venduto dai fratelli è Gesù tradito per trenta denari da Giuda; condotto in Egitto, è come il bambino Gesù scampato al massacro degli innocenti; nella prigione in cui Putifar lo fa gettare è tra il coppiere e il panettiere, come Gesù in croce tra il buono e il cattivo ladrone; esce dalla cisterna, poi dalla prigione, come Gesù esce dal sepolcro; procura il grano al popolo affamato e ai suoi fratelli, come Gesù nutre i suoi discepoli col miracolo della moltiplicazione dei pani. [...] E´ una prefigurazione del Cristo che sostituì a un popolo intestardito nell´errore, il nuovo popolo di Dio. E´ il simbolo della sostituzione della Chiesa alla Sinagoga, della Nuova all´antica Alleanza ».
FRANCESCO EREDDIA
Nelle foto il quartiere " Cartellone " a Modica e via della Giudecca a Siracusa nel 1800
Il toponimo siènia, dunque, attesta sempre la presenza in una determinata contrada di un pozzo a ruota. Ma nel periodo successivo alla cacciata dei musulmani dalla Sicilia ad opera dell´imperatore Federico II (1233) con la conseguente immigrazione di ebrei nordafricani arabofoni, questo termine, oltre a continuare a designare un pozzo con relativo impianto di sollevamento dell´acqua, indicò soprattutto un bagno (miqweh), di quelli che costituivano un elemento essenziale - assieme alla sinagoga e al macello - della religione e del rituale giudaico. Tale bagno, costruito in genere a due passi dalla sinagoga, era riservato soprattutto alla purificazione periodica delle donne che, dopo ogni mestruazione o alla vigilia del matrimonio o dopo un parto, erano tenute in maniera rigorosa e intransigente alle rituali abluzioni purificatrici.
Le parole in genere, e i toponimi in particolare, in tanto restano vitali e si tramandano una generazione dopo l´altra, in quanto vi sono esseri umani che si trasmettono di padre in figlio, magari deformandolo un passaggio dopo l´altro, un dato termine. I tanti toponimi arabi presenti nella contea di Modica e concentrati soprattutto nel territorio di Vittoria - come quelli di tante altre aree della Sicilia - non possono non spiegarsi altrimenti che, da una parte, con l´occupazione islamica di queste contrade, e dall´altra con la presenza di ebrei arabofoni che hanno garantito che quei termini giungessero fino all´età moderna e da questa ai giorni nostri.
Questi indizi linguistici rendono assai probabile l´ipotesi che anche nel territorio di Vittoria poté trovarsi insediata qualche piccola comunità ebraica. Fra i tanti toponimi arabi presenti in questo territorio c´è quello di una contrada detta Gerbe, a sud-ovest dell´odierno abitato, nella valle dell´Ippari. Si tenga presente che probabilmente anche dalle Gerbe Federico II nel 1240 fece immigrare contadini ebrei arabofoni per sopperire alla scomparsa violenta della componente islamica dalle campagne siciliane e che, comunque, le isole Gerbe furono concesse nel 1364 dal re Federico IV d´Aragona al conte di Modica Giovanni Chiaramonte. Essendo queste isole infestate dai pirati barbareschi, nel 1388 Manfredi III Chiaramonte riuscì nell´impresa di conquistarle. E´ ben lecito ipotizzare che anche nel territorio di Vittoria venne dedotta una colonia di contadini ebrei per ridare nuova vita ai terreni incolti (nel più antico dialetto vittoriese le terre incolte erano dette "ggerbi"). Un detto molto antico, peraltro, esclusivo del dialetto dell´ex contea, era "vàrditi ro´ ggirbinu" ("guardati dal gerbino"), che aveva un indubbio significato antisemita, suonando esso come uno sprezzante "guardati dall´ebreo". A Modica gli ebrei erano concentrati nel quartiere "Cartellone" ("Cartidduni", dall´arabo Harat al-yahud, «Il quartiere degli ebrei»).
Né si tratta solo di indizi linguistici, sebbene essi abbiano una rilevanza di primo piano nelle ricostruzioni storiche. Disponiamo anche di elementi materiali di una certa importanza. Anche a Vittoria, come a Modica, Scicli e Pozzallo, c´è una contrada, oggi un grande quartiere popolare, chiamato in dialetto «´a Siènia», dove c´è ancora oggi un pozzo (che è stato coperto con una botola intorno alla metà del secolo scorso). Da lì passava la "trazzera de´ Surdi", divenuta tale, cioè "regia trazzera", al tempo della dominazione borbonica, vale a dire nel primo Ottocento. Era l´antico sentiero che collegava Cammarana con Bidis-Biscari e con Terranova/Gela attraverso appunto la contrada Gerbe: si tenga presente che "Surdi" deriva dall´arabo sud, che indicava la "sulla", una leguminosa coltivata sia come foraggio sia per la tecnica agricola del "sovescio", consistente nel sotterramento di quella pianta per arricchire il terreno di materia organica. Una tecnica introdotta dagli arabi per rendere più fertili e produttivi i terreni e verosimilmente continuata dagli ebrei "importati" a questo scopo.
Dagli storici locali apprendiamo, inoltre, che la contrada era detta più precisamente "Senia di Ricca". Quel toponimo è di sicura provenienza ebraica: si tratta, infatti, della forma volgarizzata (fra i più diffusi nomi ebraici latinizzati) di Rivqâh, "Rebecca". D´altra parte, la Rebecca della Genesi, sposa di Isacco figlio di Abramo e madre di Giacobbe padre di Giuseppe, è collegata nel racconto biblico a un pozzo d´acqua. Abramo, infatti, aveva destinato quale sposa del figlio Isacco quella fanciulla che prima fra quelle che venivano ad attingere acqua al pozzo presso il quale si era fermato, avesse acconsentito a dargli da bere dalla sua brocca. Cosa che Rebecca fece.
Dunque, "Senia di Ricca" (latinizzazione di Sanyâh ha-Rivqâh, "Il pozzo di Rebecca") potrebbe attestare, così come a Modica, Scicli e Pozzallo, la presenza in questa contrada di un bagno rituale riservato alle donne ebraiche (miqwêh). Ma una pur piccola comunità ebraica esigeva la presenza anche di una sinagoga.
E in effetti la storiografia locale, nell´elencare la denominazione dei quartieri più antichi di Vittoria, ci fa sapere che adiacente al quartiere Senia c´era anche una cappelletta consacrata a S. Giuseppuzzu lu spersu, segnata peraltro anche su una cartina topografica di fine Ottocento. Teniamo presente che, in conseguenza dell´editto di espulsione degli ebrei dalla Sicilia (1492), si ebbe l´immediato e inevitabile fenomeno della trasformazione delle sinagoghe in chiese. Questo avvenne naturalmente anche nella contea di Modica: a Ragusa Ibla la chiesa della SS. Annunziata era stata una meskita; a Scicli le due sinagoghe furono sequestrate e acquistate dal governatore della contea; a Modica erano ancora visibili i ruderi della sinagoga nella seconda metà dell´Ottocento. Dunque la chiesetta della Senia di Ricca potrebbe essere stata un piccolo luogo di culto ebraico trasformato in cappella cristiana o in edicola votiva.
Quel diminutivo "Giuseppuzzu" fa pensare a un santo ´minore´ - dal punto di vista naturalmente della religione cristiana e cattolica - rispetto a san Giuseppe sposo di Maria. Molto probabilmente si trattava di san Giuseppe - figura importantissima del Pentateuco ebraico -, il "patriarca" biblico figlio di Giacobbe, a sua volta figlio di Rebecca, del quale nella Genesi si narra che i suoi fratelli per invidia lo gettarono in una cisterna (ancora una volta un pozzo!). Da lì lo trassero alcuni mercanti, che lo portarono in Egitto vendendolo come schiavo al faraone: dato per morto e disperso, solo dopo anni il padre Giacobbe lo ritrovò e poté riabbracciarlo.
Nella vicenda del santo patriarca Giuseppe non si possono non riscontrare molte affinità, a parte quella del nome e dell´appellativo (lo sperso), con una fiaba popolare di origine medievale e molto nota al popolo siciliano, Peppi, spersu pri lu munnu. Anche qui c´era un re, una moglie del re (come la Putifar biblica), dei sogni da interpretare, una terra che non produceva abbastanza con conseguente carestia, e altri particolari simili. Era inevitabile che le due ´storie´ e i loro protagonisti finissero per identificarsi, nell´immaginario collettivo e nel mondo contadino in particolare, e per confondersi perfettamente.
Che alla sinagoga della "Senia di Ricca" fosse stata sostituita una chiesa cristiana dedicata a san Giuseppe patriarca (di cui potrebbe essere rimasta fino all´Ottocento solo un´edicola votiva) è perfettamente coerente con la linea della gerarchia ecclesiastica del tempo. Il "patriarca" Giuseppe, "eroe" fondatore del popolo ebraico, già dai primi Padri della Chiesa e poi per tutto il Medioevo era stato interpretato come prefigurazione del Cristo.
Così recita la Biblioteca Sanctorum alla voce "Giuseppe": « Giuseppe venduto dai fratelli è Gesù tradito per trenta denari da Giuda; condotto in Egitto, è come il bambino Gesù scampato al massacro degli innocenti; nella prigione in cui Putifar lo fa gettare è tra il coppiere e il panettiere, come Gesù in croce tra il buono e il cattivo ladrone; esce dalla cisterna, poi dalla prigione, come Gesù esce dal sepolcro; procura il grano al popolo affamato e ai suoi fratelli, come Gesù nutre i suoi discepoli col miracolo della moltiplicazione dei pani. [...] E´ una prefigurazione del Cristo che sostituì a un popolo intestardito nell´errore, il nuovo popolo di Dio. E´ il simbolo della sostituzione della Chiesa alla Sinagoga, della Nuova all´antica Alleanza ».
FRANCESCO EREDDIA
Nelle foto il quartiere " Cartellone " a Modica e via della Giudecca a Siracusa nel 1800