" CACCIATORE SALVATORE, NOME DI BATTAGLIA "CIRO", PARTIGIANO SICILIANO CADUTO A BELLUNO PER LA LIBERTA´, LA NOSTRA LIBERTA´ " DI ANTONIO PALUDI.




Oggi, Piazza dei Martiri, a Belluno, è il cuore pulsante e il salotto di quest´antica cittadina veneta, incastonata, come per miracolo, nel cuore delle maestose Dolomiti. La piazza ha una forma ovale schiacciata al centro, sede di molte attività commerciali ed economiche e luogo di ritrovo della Belluno bene e popolare. Percorrendola in senso orizzontale, con direzione il teatro comunale, il luogo si presenta diviso in due dalla strada che l´attraversa. A sinistra sono collocati una serie di bar, negozi e banche frequentatissimi dai bellunesi, a destra un´area verde, i cosiddetti giardini, con, al centro, un´ampia fontana circolare, coronata dagli stemmi dei 69 comuni della provincia, a seguire un polmone di verdi alberi, dov´è stato collocato, l´anno era il 1965, il monumento alla resistenza, di Augusto Murer. Il monumento comprende quattro pannelli allegorici, in bronzo, che rivisitano i momenti cruciali della resistenza nel bellunese: Il pane al partigiano, il vescovo di Belluno che va a baciare i quattro impiccati sui lampioni della piazza, il campo di concentramento, il 2 giugno giorno della liberazione della città. La piazza che fino al 3 giugno 1945 si chiamava "Campedèl", prese l´attuale denominazione per rendere omaggio ad uno dei più tragici eventi della Resistenza, l´impiccagione, il 17 marzo 1945, ai lampioni della piazza di quattro giovanissimi patrioti, catturati, nella zona di Perarolo, un mese prima: Salvatore Cacciatore originario, "Ciro", di Aragona (Agrigento), Andreani Valentino "Frena" di Limana (BL), Piazza Gianleone "Lino" di Belluno, De Zordo Giuseppe "Bepi" di Cibiana (BL). La resistenza contro nazisti e fascisti, nell´alto Veneto, fra la fine del 1943 e i primi mesi del 1945, fu durissima e non venne risparmiata la popolazione civile che, in un modo o nell´altro, aveva a che fare sia con gli invasori nazisti che occupavano paesi e città, sia con i partigiani, di orientamento politico diverso, che popolavano le montagne e le profonde vallate alle spalle di Belluno. Luoghi, un tempo, impervi e inaccessibili ricoperti da antiche foreste entro cui, dopo la caduto del fascismo, si rifugiarono migliaia di giovani italiani, di ambo i sessi, per ridare l´onore a quella patria prostrata dal ventennio fascista e umiliata dall´occupazione delle truppe della Wehrmacht. Proprio in questa terra iniziò quella resistenza al nazi-fascismo che portò il nostro Paese a vivere l´esperienza drammatica della guerra civile, prima, la liberazione e la democrazia, poi. Una guerra combattuta, da parte dei partigiani, utilizzando l´arma del sabotaggio, dell´agguato, dell´imboscata contro l´occupante nazista, il quale, a sua volta, rispondeva con i rastrellamenti, la vendetta, perpetrata, in special modo, su civili inermi. Oggi il turista che si avventura in questi luoghi ameni per godere dello splendore che regala la natura, in questa terra, è facile che s´imbatte in località che hanno visto la crudeltà della guerra abbattersi con la sua ferocia, violenza e crudezza su gente indifesa e innocente. I passanti, che calpestano questo sacro suolo, spesso leggendo le epigrafe che sintetizzano con parole fredde e schiette i fatti, non è raro vederli con gli occhi lucidi ringraziare, con un mazzo di fiori freschi, lasciati alle base di queste lapidi, questi eroi, con i nomi ormai cancellati dal tempo. Centinaia, forse migliaia furono i caduti fra queste montagne e queste vallate, civili del luogo, ma anche gente arrivata lì da tutte le regioni italiane, per dare testimonianza di una Italia diversa, nuova, che voleva rompere col passato e far ricominciare, la storia della nazione, su basi democratiche. Fra i molti caduti, che s´immolarono per la patria vorrei aprire una luce su un giovane soldato siciliano, della provincia di Agrigento, che abbracciò la causa dei partigiani e, per questo, venne impiccato, come già detto sopra, insieme ad altri tre compagni, ad uno dei lampioni di piazza Campedèl di Belluno, denominata, dopo, Piazza dei Martiri. Della storia di Salvatore Cacciatore, nato ad Aragona (AG) il 28 marzo 1920, per molti anni non si seppe niente, questo oblio storico finì quando Enzo Barnabà, scrittore originario di Valguarnera Caropepe provincia di Enna, saputo della storia di questo giovane eroe, dopo aver preso contatto con il giornalista Matteo Collura e, tramite questi, con il figlio dello stesso Cacciatore, (in tale occasione lo scrittore scoprì che il figlio, per anni, insieme al resto della famiglia, aveva creduto che il padre fosse morto disperso in Russia nel 1943), scrisse: "Il partigiano di Piazza dei Martiri. Storia di un siciliano che combatté i nazisti e finì appeso ad un lampione". Una rappresentazione letteraria di un saggio che racconta la storia di Cacciatore, del movimento di liberazione del Nord Italia e, le vicende del protagonista, Giulio, che cerca notizie sul padre Salvatore.
Chi era Cacciatore Salvatore "Ciro", il partigiano siciliano impiccato dai nazisti a Belluno ad un lampione di quella piazza, posta nel cuore della città, oggi intitolata a lui e agli altri tre patrioti che subirono la stessa sorte un pomeriggio del marzo 1945? Della sua identità sappiamo ben poco: si chiamava Salvatore Cacciatore, era studente universitario ed era con ogni probabilità nato ad Aragona (Agrigento) il 28 marzo 1920. Ma, quale ragione lo condusse tra le dolomiti bellunesi, nella prima linea della guerra antifascista? Era un militare sbandato? Era stato inviato, come altri, in quella zona d´operazioni da un´organizzazione comunista? Faceva parte di una missione alleata? Uno dei suoi compagni di lotta crede di ricordare che "Ciro" sia stato trasportato sulle coste friulane da un sommergibile proveniente dal Sud, in qualità di trasmettitore, con l´incarico, cioè, di assicurare i collegamenti radio tra le formazioni partigiane che operavano in montagna e l´esercito alleato. Secondo un altro partigiano che lo conobbe, "Ciro" avrebbe fatto parte di un´unità della Guardia di Finanza di stanza in Alta Italia; dopo l´otto settembre, rimasto al Nord, avrebbe scelto la strada della lotta di liberazione dal fascismo e dagli occupanti tedeschi. Alla donna alla quale fu legato durante la resistenza parlò poco di se stesso: essa ne conosceva soltanto il nome di battaglia e l´orientamento politico comunista. In Cadore, sin dai primi mesi del 1944, il giovane agrigentino diresse la formazione partigiana che operava nella zona di Perarolo. In settembre, "Ciro" faceva parte del battaglione "Gramsci" della brigata "Nino Bixio", in qualità di comandante del distaccamento "Willy "che aveva il compito di presidiare la strada di accesso alla Val Cimolliana e la diga sul torrente Cellina. La formazione, composta in gran parte da giovani del posto, fu dispersa dal rastrellamento tedesco del 10-13 ottobre, fatto sul Cansiglio. Durante l´inverno, i partigiani vissero un po´ alla macchia e un po´ in seno alle famiglie a Caralte e ad Ospitale. "Ciro" non disarmò; da solo o assieme a pochi compagni ("Toni", "Camera" ed altri) compì numerose azioni di guerriglia: la distruzione di un traliccio, posto alle pendici del monte Zucco, dell´elettrodotto ad alta tensione, sabotaggi delle vie di comunicazione e in particolare della strada statale Alemagna, arteria d´importanza vitale per i tedeschi al fine di assicurare i collegamenti tra il Veneto e la Germania. Non mancarono azioni miranti a sottrarre le popolazioni alle angherie degli occupanti.
Il comandante si distingueva per le doti di coraggio; usava, per esempio, travestirsi da soldato tedesco per meglio circolare nelle zone controllate dal nemico. "Di carattere esuberante, sempre portato all´allegria e alla cordialità - ricorda un suo compagno di quei giorni (1) - Ciro aveva un forte ascendente sui compagni che lo ricambiavano con la loro amicizia e con la loro lealtà". Una spiata pose fine alla lotta partigiana di "Ciro". La notte del 12 febbraio 1945 fu preso prigioniero dai nazisti mentre dormiva in un fienile di Caralte. Subito dopo la liberazione, una delle spie dichiarò per iscritto come assieme ad altre due donne di quel comune usasse fornire informazioni alla polizia tedesca sul movimento partigiano, ricevendo in cambio denaro e compensi in natura. Le tre donne, che solevano frequentare gli occupanti, un giorno rivelarono "che Ciro era il capo dei partigiani e che praticava la casa di Bepi, pure lui appartenente al GAP. Abbiamo pure detto — continua la dichiarazione della spia — che Renato De Zordo era un grande propagandista comunista e pure partigiano, ecc...".(2) Così, quella notte, "Ciro" fu arrestato assieme ad altre sei persone: il maestro Renato De Zordo, Giuseppe De Zordo (il Bepi membro del GAP) responsabile dell´organizzazione comunista di Perarolo, Marcello Boni, le due giovani sorelle Boni e un´altra partigiana. I sette furono imprigionati nel covo dei torturatori della Gestapo, la caserma Jacopo Tasso di Belluno. Le torture e le brutalità non sortirono l´effetto voluto, nessuno parlò, né gli uomini né le donne. Se queste ultime riuscirono a sopravvivere evadendo dalla prigione qualche giorno prima della liberazione della città, il calvario dei quattro uomini finì solo con la morte: Marcello Boni fu impiccato tre settimane dopo la cattura nel Bosco delle Castagne assieme a "Montagna" e ad altri otto partigiani, Renato De Zordo morì in carcere sotto le torture, "Ciro" e "Bepi" vennero impiccati il 17 marzo in piazza Campedèl, come ancora si chiamava, assieme ad Andreani e a Piazza.
Dell´impiccagione di "Ciro", scrive il Fontana: "Fu fatto avanzare Cacciatore: era il capo dei partigiani e doveva precedere gli altri. Venne avanti con passo fermo, con la testa alta, serio e deciso. Salì la scala dalla parte sua e si trovò, in cima, col compagno che doveva passargli il nodo. Si guardarono un istante e poi Cacciatore si girò. Guardò la piazza, guardò gli sgherri allineati lungo il "liston". Fermo, statuario, egli attese". Il partigiano, cui la crudeltà nazista aveva imposto di fare il nodo scorsoio, tremava e non ci riusciva. Alla prova, il nodo si scioglieva. Lo rifece e parlò a Cacciatore. Questi si voltò, guardò, vide; con la testa accennò che andava bene".(3) Il povero cireneo fu fatto scendere, un nazista fece con un calcio cadere la scala, "Ciro" restò impiccato al lampione. Senza un grido, senza un lamento, impartendo a tutti una lezione di coraggio e di dignità. L´agrigentino si spegneva all´età di venticinque anni.
Vorrei concludere la rievocazione del dramma vissuto da questo nostro corregionale con i versi che Foscolo scrisse per onorare l´eroe troiano Ettore:
E tu onore di pianti, Ettore, avrai,
ove fia santo e lagrimato il sangue
per la patria versato, e finché il Sole
risplenderà su le sciagure umane.
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1) "Appunti sul partigiano Cacciatore Salvatore, "Ciro", impiccato in piazza dei Martiri il 17 marzo 1945". Dattiloscritto anonimo conservato presso l´archivio dell´istituto Storico Bellunese della Resistenza.
2) Dichiarazione sottoscritta a Caralte il 25 maggio 1945 e conservata presso l´archivio dell´Istituto Storico Bellunese della Resistenza.
3) Giuseppe Fontana, "Patrioti della città del Piave", Belluno, 1945.
da "Patria Indipendente", Roma, 27 luglio 1980, p.14
Chi era Cacciatore Salvatore "Ciro", il partigiano siciliano impiccato dai nazisti a Belluno ad un lampione di quella piazza, posta nel cuore della città, oggi intitolata a lui e agli altri tre patrioti che subirono la stessa sorte un pomeriggio del marzo 1945? Della sua identità sappiamo ben poco: si chiamava Salvatore Cacciatore, era studente universitario ed era con ogni probabilità nato ad Aragona (Agrigento) il 28 marzo 1920. Ma, quale ragione lo condusse tra le dolomiti bellunesi, nella prima linea della guerra antifascista? Era un militare sbandato? Era stato inviato, come altri, in quella zona d´operazioni da un´organizzazione comunista? Faceva parte di una missione alleata? Uno dei suoi compagni di lotta crede di ricordare che "Ciro" sia stato trasportato sulle coste friulane da un sommergibile proveniente dal Sud, in qualità di trasmettitore, con l´incarico, cioè, di assicurare i collegamenti radio tra le formazioni partigiane che operavano in montagna e l´esercito alleato. Secondo un altro partigiano che lo conobbe, "Ciro" avrebbe fatto parte di un´unità della Guardia di Finanza di stanza in Alta Italia; dopo l´otto settembre, rimasto al Nord, avrebbe scelto la strada della lotta di liberazione dal fascismo e dagli occupanti tedeschi. Alla donna alla quale fu legato durante la resistenza parlò poco di se stesso: essa ne conosceva soltanto il nome di battaglia e l´orientamento politico comunista. In Cadore, sin dai primi mesi del 1944, il giovane agrigentino diresse la formazione partigiana che operava nella zona di Perarolo. In settembre, "Ciro" faceva parte del battaglione "Gramsci" della brigata "Nino Bixio", in qualità di comandante del distaccamento "Willy "che aveva il compito di presidiare la strada di accesso alla Val Cimolliana e la diga sul torrente Cellina. La formazione, composta in gran parte da giovani del posto, fu dispersa dal rastrellamento tedesco del 10-13 ottobre, fatto sul Cansiglio. Durante l´inverno, i partigiani vissero un po´ alla macchia e un po´ in seno alle famiglie a Caralte e ad Ospitale. "Ciro" non disarmò; da solo o assieme a pochi compagni ("Toni", "Camera" ed altri) compì numerose azioni di guerriglia: la distruzione di un traliccio, posto alle pendici del monte Zucco, dell´elettrodotto ad alta tensione, sabotaggi delle vie di comunicazione e in particolare della strada statale Alemagna, arteria d´importanza vitale per i tedeschi al fine di assicurare i collegamenti tra il Veneto e la Germania. Non mancarono azioni miranti a sottrarre le popolazioni alle angherie degli occupanti.
Il comandante si distingueva per le doti di coraggio; usava, per esempio, travestirsi da soldato tedesco per meglio circolare nelle zone controllate dal nemico. "Di carattere esuberante, sempre portato all´allegria e alla cordialità - ricorda un suo compagno di quei giorni (1) - Ciro aveva un forte ascendente sui compagni che lo ricambiavano con la loro amicizia e con la loro lealtà". Una spiata pose fine alla lotta partigiana di "Ciro". La notte del 12 febbraio 1945 fu preso prigioniero dai nazisti mentre dormiva in un fienile di Caralte. Subito dopo la liberazione, una delle spie dichiarò per iscritto come assieme ad altre due donne di quel comune usasse fornire informazioni alla polizia tedesca sul movimento partigiano, ricevendo in cambio denaro e compensi in natura. Le tre donne, che solevano frequentare gli occupanti, un giorno rivelarono "che Ciro era il capo dei partigiani e che praticava la casa di Bepi, pure lui appartenente al GAP. Abbiamo pure detto — continua la dichiarazione della spia — che Renato De Zordo era un grande propagandista comunista e pure partigiano, ecc...".(2) Così, quella notte, "Ciro" fu arrestato assieme ad altre sei persone: il maestro Renato De Zordo, Giuseppe De Zordo (il Bepi membro del GAP) responsabile dell´organizzazione comunista di Perarolo, Marcello Boni, le due giovani sorelle Boni e un´altra partigiana. I sette furono imprigionati nel covo dei torturatori della Gestapo, la caserma Jacopo Tasso di Belluno. Le torture e le brutalità non sortirono l´effetto voluto, nessuno parlò, né gli uomini né le donne. Se queste ultime riuscirono a sopravvivere evadendo dalla prigione qualche giorno prima della liberazione della città, il calvario dei quattro uomini finì solo con la morte: Marcello Boni fu impiccato tre settimane dopo la cattura nel Bosco delle Castagne assieme a "Montagna" e ad altri otto partigiani, Renato De Zordo morì in carcere sotto le torture, "Ciro" e "Bepi" vennero impiccati il 17 marzo in piazza Campedèl, come ancora si chiamava, assieme ad Andreani e a Piazza.
Dell´impiccagione di "Ciro", scrive il Fontana: "Fu fatto avanzare Cacciatore: era il capo dei partigiani e doveva precedere gli altri. Venne avanti con passo fermo, con la testa alta, serio e deciso. Salì la scala dalla parte sua e si trovò, in cima, col compagno che doveva passargli il nodo. Si guardarono un istante e poi Cacciatore si girò. Guardò la piazza, guardò gli sgherri allineati lungo il "liston". Fermo, statuario, egli attese". Il partigiano, cui la crudeltà nazista aveva imposto di fare il nodo scorsoio, tremava e non ci riusciva. Alla prova, il nodo si scioglieva. Lo rifece e parlò a Cacciatore. Questi si voltò, guardò, vide; con la testa accennò che andava bene".(3) Il povero cireneo fu fatto scendere, un nazista fece con un calcio cadere la scala, "Ciro" restò impiccato al lampione. Senza un grido, senza un lamento, impartendo a tutti una lezione di coraggio e di dignità. L´agrigentino si spegneva all´età di venticinque anni.
Vorrei concludere la rievocazione del dramma vissuto da questo nostro corregionale con i versi che Foscolo scrisse per onorare l´eroe troiano Ettore:
E tu onore di pianti, Ettore, avrai,
ove fia santo e lagrimato il sangue
per la patria versato, e finché il Sole
risplenderà su le sciagure umane.
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1) "Appunti sul partigiano Cacciatore Salvatore, "Ciro", impiccato in piazza dei Martiri il 17 marzo 1945". Dattiloscritto anonimo conservato presso l´archivio dell´istituto Storico Bellunese della Resistenza.
2) Dichiarazione sottoscritta a Caralte il 25 maggio 1945 e conservata presso l´archivio dell´Istituto Storico Bellunese della Resistenza.
3) Giuseppe Fontana, "Patrioti della città del Piave", Belluno, 1945.
da "Patria Indipendente", Roma, 27 luglio 1980, p.14