" COMISO, IL VENERDI’ GIORNO DI MERCATO " di Antonio Paludi
Il venerdì a Comiso è sempre giorno di mercato, questo succede tutti i mesi, già da molti anni. La via A. Cechov, dalle prime ore del mattino, rifiorisce come in una primavera, di una miriade di bancarelle stracolme di merci varie. Da tutta la provincia, e oltre, arrivano ambulanti con un ampio ventaglio di mercanzie da proporre al compratore comisano. Mercanzie sistemate su bancarelle poste sui due lati della strada del mercato, al centro, di questa via, viene lasciato solo lo spazio per il passaggio, A/R, dei clienti o per la gente che passa da lì per fare una passeggiata o solo per curiosare.
Ogni ambulante ha il suo modo per attirare l’eventuale cliente, alcuni, se la giornata lo permette e lo spirito è giusto, intonano vecchi motivetti per invitare i compratori di passaggio ad avvicinarsi, altri fanno perno sul prezzo delle merci esposte, per far capire che sono alla portata di tutte le tasche, altri ancora addobbano il posto di lavoro come un bel fiore. Ogni venditore, per chi si ferma a riflettere su questo mondo, è un piccolo tassello di un quadro luminoso e molto colorito che trova unità nel cuore della gente che si reca il venerdì mattina al mercato per i più svariati motivi. Verso mezzogiorno poi inizia, pian piano, il rito del ritorno, viene sistemata la merce esposta dentro scatoloni di cartoni e insieme a ombrelloni e bancarella rimesso tutto in ordine negli alloggiamenti del furgone, tutto pronto per un altro mercato, poi via il ritorno a casa.
Quello che ho descritto sembrerebbe un quadretto idillico, un mondo della fantasia con fate e maghi, invece le cose non stanno così. Il mercato di Comiso, come quello degli altri paesi, è tenuto su da persone, uomini e donne, in carne ed ossa che con fatica e sudore cercano di guadagnarsi il pane per sé e per le proprie famiglie. Tutti noi conosciamo, per sommi capi, il mondo del lavoro, ma penso che non ci sia lavoro più duro, più stressante come quello degli ambulanti che, per vivere, lavorano nei mercati, in tutti i mercati. Siamo abituati a guardare, ognuno, nel proprio orticello, ma certe volte, per capire com’è dura la vita, bisogna anche indossare gli abiti degli altri. Per comprendere un po’ basta mettersi, l’inverno alle sei del mattino, sulla strada del mercato, con la temperatura vicina allo zero e con il vento che sferza i visi come se fossero schiaffi, oppure l’estate con la temperatura che tocca i quaranta gradi e con l’arsura che prende la gola. Vivendo per un attimo questa condizione si può capire quanto costa a questi lavoratori guadagnare un euro.
Nessuna garanzia, come per altre categorie, di un salario certo a fine mese, tutto ciò che guadagnano questi lavoratori passa per le loro mani. Se piove, se c’è vento, come questo venerdì, se c’è una pandemia e alla gente è fatto divieto di uscire, come in questi ultimi due anni, allora è mancato guadagno. Un lavoro, quello degli ambulanti di mercato, che nella continuità si veste di precarietà per una miriade di ragioni. Ieri mattina, a Comiso, condizioni meteorologiche avverse, c’era un vento orribile, hanno impedito a molti operatori commerciali di fare il mercato, nessuno indennizzo andrà a stemperare la tristezza di non aver potuto portare il pane a casa. Ho attraversato via Cechov, proprio ieri, nella sua lunghezza, solo poche postazioni attive, le altre ferme ad aspettare tempi migliori. Mi sono fermato col mio sguardo sul viso d’un ambulate era seduto accanto alla sua mercanzia, la sua tristezza la si poteva tagliare, come si dice, col coltello, era immerso nei pensieri, ed è facile capire quali.
L’ambulante è uno spirito libero, non ha padroni, è una persona che si accontenta del giusto, non mira alla ricchezza, ma il suo desiderio, immagino, è condurre una vita dignitosa fatto di quel necessario, che fa vedere il proprio lavoro come una benedizione. La dignità sta dietro le mille bancarelle che già dalle sei del mattino vengono armate con dovizia lungo una delle arterie più importante di Comiso. Chi va il venerdì al mercato ed ha un minimo di spirito d’osservazione non può non notare come lungo i lati della via A. Cechov, ma anche nel suo centro, si è materializzato, da tempo, un piccolo spaccato di una nuova Italia. Solo in questo luogo si può toccare con le mani, la nuova Italia multietnica che si è approcciata con prepotenza al terzo millennio: con una pluralità di colori, di lingue, di abbigliamenti, di culture, di religioni che trovano nella cittadinanza italiana il punto di sintesi per una nuova ripartenza.
Il mercato di Comiso non solo luogo dove di compre e si vende, ma il posto dove sta nascendo una nuova nazione che dal basso già mette in pratica una nuova unità che scaturisce dalla diversità. È bello camminare fra le bancarelle e sentire che la lingua di Dante fa da collant non solo fra persone che provengono da paesi diversi, ma fra soggetti che provengono da altri paesi ed italiani. Ciò che non si vuole risolvere in Parlamento con la legge, è stato risolto, dal basso, dalle persone comuni, le persone comuni sono più lungimiranti dei nostri politici.
Antonio Paludi
Ogni ambulante ha il suo modo per attirare l’eventuale cliente, alcuni, se la giornata lo permette e lo spirito è giusto, intonano vecchi motivetti per invitare i compratori di passaggio ad avvicinarsi, altri fanno perno sul prezzo delle merci esposte, per far capire che sono alla portata di tutte le tasche, altri ancora addobbano il posto di lavoro come un bel fiore. Ogni venditore, per chi si ferma a riflettere su questo mondo, è un piccolo tassello di un quadro luminoso e molto colorito che trova unità nel cuore della gente che si reca il venerdì mattina al mercato per i più svariati motivi. Verso mezzogiorno poi inizia, pian piano, il rito del ritorno, viene sistemata la merce esposta dentro scatoloni di cartoni e insieme a ombrelloni e bancarella rimesso tutto in ordine negli alloggiamenti del furgone, tutto pronto per un altro mercato, poi via il ritorno a casa.
Quello che ho descritto sembrerebbe un quadretto idillico, un mondo della fantasia con fate e maghi, invece le cose non stanno così. Il mercato di Comiso, come quello degli altri paesi, è tenuto su da persone, uomini e donne, in carne ed ossa che con fatica e sudore cercano di guadagnarsi il pane per sé e per le proprie famiglie. Tutti noi conosciamo, per sommi capi, il mondo del lavoro, ma penso che non ci sia lavoro più duro, più stressante come quello degli ambulanti che, per vivere, lavorano nei mercati, in tutti i mercati. Siamo abituati a guardare, ognuno, nel proprio orticello, ma certe volte, per capire com’è dura la vita, bisogna anche indossare gli abiti degli altri. Per comprendere un po’ basta mettersi, l’inverno alle sei del mattino, sulla strada del mercato, con la temperatura vicina allo zero e con il vento che sferza i visi come se fossero schiaffi, oppure l’estate con la temperatura che tocca i quaranta gradi e con l’arsura che prende la gola. Vivendo per un attimo questa condizione si può capire quanto costa a questi lavoratori guadagnare un euro.
Nessuna garanzia, come per altre categorie, di un salario certo a fine mese, tutto ciò che guadagnano questi lavoratori passa per le loro mani. Se piove, se c’è vento, come questo venerdì, se c’è una pandemia e alla gente è fatto divieto di uscire, come in questi ultimi due anni, allora è mancato guadagno. Un lavoro, quello degli ambulanti di mercato, che nella continuità si veste di precarietà per una miriade di ragioni. Ieri mattina, a Comiso, condizioni meteorologiche avverse, c’era un vento orribile, hanno impedito a molti operatori commerciali di fare il mercato, nessuno indennizzo andrà a stemperare la tristezza di non aver potuto portare il pane a casa. Ho attraversato via Cechov, proprio ieri, nella sua lunghezza, solo poche postazioni attive, le altre ferme ad aspettare tempi migliori. Mi sono fermato col mio sguardo sul viso d’un ambulate era seduto accanto alla sua mercanzia, la sua tristezza la si poteva tagliare, come si dice, col coltello, era immerso nei pensieri, ed è facile capire quali.
L’ambulante è uno spirito libero, non ha padroni, è una persona che si accontenta del giusto, non mira alla ricchezza, ma il suo desiderio, immagino, è condurre una vita dignitosa fatto di quel necessario, che fa vedere il proprio lavoro come una benedizione. La dignità sta dietro le mille bancarelle che già dalle sei del mattino vengono armate con dovizia lungo una delle arterie più importante di Comiso. Chi va il venerdì al mercato ed ha un minimo di spirito d’osservazione non può non notare come lungo i lati della via A. Cechov, ma anche nel suo centro, si è materializzato, da tempo, un piccolo spaccato di una nuova Italia. Solo in questo luogo si può toccare con le mani, la nuova Italia multietnica che si è approcciata con prepotenza al terzo millennio: con una pluralità di colori, di lingue, di abbigliamenti, di culture, di religioni che trovano nella cittadinanza italiana il punto di sintesi per una nuova ripartenza.
Il mercato di Comiso non solo luogo dove di compre e si vende, ma il posto dove sta nascendo una nuova nazione che dal basso già mette in pratica una nuova unità che scaturisce dalla diversità. È bello camminare fra le bancarelle e sentire che la lingua di Dante fa da collant non solo fra persone che provengono da paesi diversi, ma fra soggetti che provengono da altri paesi ed italiani. Ciò che non si vuole risolvere in Parlamento con la legge, è stato risolto, dal basso, dalle persone comuni, le persone comuni sono più lungimiranti dei nostri politici.
Antonio Paludi