CURIOSITA´ - " RUBRICA ETYMOLOGICA VERBORUM SICULORUM " DI GIANLUCA VINDIGNI ( seconda parte )
Risulta doveroso chiedersi se il Latino abbia rilasciato nella lingua siciliana solamente residui linguistici - quali nomi, aggettivi, verbi, avverbi etc., come ho dimostrato la settimana scorsa - o anche morfologici e sintattici. La risposta è sì, ed è presto dimostrato. La lingua latina, così come quella greca, possiede tre generi di nomi, maschile, femminile e neutro, a differenza della lingua italiana che si avvale soltanto del maschile e del femminile. La maggior parte dei nomi neutri latini (genere che per lo più si riconduce ad esseri inanimati) al plurale suole terminare con la desinenza -a, la quale è perdurata nella lingua siciliana fino ai giorni nostri. Numerosi di questi neutri latini pervenuti nel siciliano hanno conservato genere e terminazione nel corso dei secoli, come si può evincere da:
ferrum, i (il ferro) > ferra (i ferri), nel siciliano rimane invariato in ´i ferra
filum, i (il filo) > fila (i fili), nel siciliano rimane invariato in ´i fila
ovum, i (l´uovo) > ova (le uova), nel siciliano rimane invariato in l´ova
cerebellum, i (il cervello) > cerebella (i cervelli), nel siciliano rimane invariato in ´i cirbedda (o ´i cirivedda, nelle province di Catania e Siracusa)
Ciò non accade invece nella lingua italiana, dove la maggior parte dei nomi sopra elencati dal genere neutro è passata al maschile (i ferri, i fili, i cervelli) mutando la desinenza. Inoltre va detto che la terminazione neutra -a nel siciliano si è estesa anche ad altri sostantivi che, indicando esseri inanimati, sono stati percepiti come neutri dai parlanti: è il caso, ad esempio, di camia per indicare il plurale di camion e di sia per il numero sei, quest´ultimo diffuso nel nisseno e nell´estrema parte occidentale del ragusano, mentre in tutto il resto della provincia, da Ragusa in poi, e in metà della provincia di Siracusa che parla il dialetto modicano si dice siei; resta tuttavia invariato in sei in quasi tutte le altre province.
Tuttavia, hanno assunto, per analogia ma impropriamente, questa desinenza neutra -a anche alcuni nomi maschili quali duttura, prufissura, iucatura, muratura, ´nfirmera, pera (ma anche pieri o peri, a seconda della provincia e delle leggi metafonetiche) etc.
SOSTANTIVI DI DERIVAZIONE LATINA
Dopo questa breve rassegna morfologica circa la permanenza del genere neutro nella lingua siciliana, torniamo adesso agli etimi classici.
Vi sono molti sostantivi che nel corso dei secoli non hanno subito alcun mutamento morfologico nel passaggio dalla lingua latina a quella siciliana, ma sono stati conservati e tramandati inconsapevolmente dagli abitanti fino ad arrivare intatti ai giorni nostri. Alcuni di questi anche per il fatto che la lingua siciliana mantiene pressapoco lo stesso vocalismo del latino.
machina (la macchina) < machina, ae = macchina (sostantivo femm. 1° declinazione)
rota (la ruota) < rota, ae = ruota (sostantivo femm. 1° declinazione)
Altri ancora, invece, hanno subito leggerissimi mutamenti fonetici:
prunu o, in parte della provincia di Ragusa, pirunu (la prugna) < prunum, i = prugna (dall´accusativo sing. prunu[m])
cucuzza (la zucca, la zucchina) < cucurbita, ae = zucca
mappina (lo strofinaccio) < mappa, ae = tovagliolo
sorfuru (il fiammifero) < sulfur, sulfuris = zolfo (dall´accusatio sing. sulfure[m])
Un appunto riguardo a quest´ultimo termine. Nelle province che parlano il dialetto modicano (Ragusa, Catania meridionale, e metà della provincia di Siracusa) il termine fiammifero è detto sorfuru, per sinèddoche dal latino sulfur che indica lo zolfo. La testa di un fiammifero, infatti, è composta da fosforo e zolfo e, variando da provincia a provincia, si usa ora il termine zolfo ora quello di fosforo (con dovuta sineddoche) per indicarlo. In tutte le altre parti della Sicilia, pertanto, il fiammifero è detto pospiru o addirittura prospiru (con una epentesi in liquida -r), venendo così indicato per sineddoche col nome “fosforo”.
AVVERBI E VERBI DI DERIVAZIONE LATINA
Vi sono alcuni avverbi e verbi che hanno mantenuto una pura derivazione dalla lingua latina, sebbene molti di questi abbiano subito delle varianti morfologiche.
magnu (in gran quantità) < magnus, a, um = grande (da un tardo e potenziale accusativo avverbiale quale magnu[m])
intra (dentro) < intra = dentro
vanniari (sgridare) < dal latino tardo bannum, i = editto (gli editti venivano pronunciati oralmente ad alta voce, gridando al popolo)
allascari (allargare, allontanare) < laxo, as, laxavi, laxatum, laxare = allargare (da ad + laxare > allaxari, con successiva scomposizione della doppia -x nel digramma -cs > allacsari, con finale metatesi (trasposizione) del nesso -cs > allascari)
´ncignari o, più impropriamente, nella provincia di Ragusa, ´ncingari (inaugurare) < gigno, is, genui, genitum, gignere = generare, dare alla luce (da in + gignere > ingignere; con successivo passaggio dalla terza coniugazione alla prima, ingignere > ingignare; con aferesi iniziale e passaggio finale dalla velare sonora -g alla sorda -c, ingignari > ´ncignari).
Sebbene l´idea di dare alla luce (un figlio) sia passata al più ampio senso di inaugurare (di fatti dare alla luce un vestito nuovo, per esempio, equivale a dire inaugurarlo), secondo alcuni studiosi questo verbo è riconducibile al latino encaenio, as, encaeniare = inaugurare un abito. Quantunque entrambe le etimologie siano valide da un punto di vista linguistico, il mio parere di latinista propende più per la seconda opzione, e per due ragioni: innanzitutto per la rarità del verbo encaeniare e per l´uso tardo: sono infatti principalmente i verbi più tardi e meno usati quelli pervenuti integri fino a noi; e poi per il significato, identico, che entrambi recano.
Concludo dicendo che la più grande forma di ignoranza è vergognarsi di parlare o di conoscere la nostra lingua, che è invece di sicuro tra le più nobili, dotata tra le altre cose di una smisurata ricchezza lessicale. Spero di avervi interessati o almeno incuriositi. Alla prossima!
Gianluca Vindigni
ferrum, i (il ferro) > ferra (i ferri), nel siciliano rimane invariato in ´i ferra
filum, i (il filo) > fila (i fili), nel siciliano rimane invariato in ´i fila
ovum, i (l´uovo) > ova (le uova), nel siciliano rimane invariato in l´ova
cerebellum, i (il cervello) > cerebella (i cervelli), nel siciliano rimane invariato in ´i cirbedda (o ´i cirivedda, nelle province di Catania e Siracusa)
Ciò non accade invece nella lingua italiana, dove la maggior parte dei nomi sopra elencati dal genere neutro è passata al maschile (i ferri, i fili, i cervelli) mutando la desinenza. Inoltre va detto che la terminazione neutra -a nel siciliano si è estesa anche ad altri sostantivi che, indicando esseri inanimati, sono stati percepiti come neutri dai parlanti: è il caso, ad esempio, di camia per indicare il plurale di camion e di sia per il numero sei, quest´ultimo diffuso nel nisseno e nell´estrema parte occidentale del ragusano, mentre in tutto il resto della provincia, da Ragusa in poi, e in metà della provincia di Siracusa che parla il dialetto modicano si dice siei; resta tuttavia invariato in sei in quasi tutte le altre province.
Tuttavia, hanno assunto, per analogia ma impropriamente, questa desinenza neutra -a anche alcuni nomi maschili quali duttura, prufissura, iucatura, muratura, ´nfirmera, pera (ma anche pieri o peri, a seconda della provincia e delle leggi metafonetiche) etc.
SOSTANTIVI DI DERIVAZIONE LATINA
Dopo questa breve rassegna morfologica circa la permanenza del genere neutro nella lingua siciliana, torniamo adesso agli etimi classici.
Vi sono molti sostantivi che nel corso dei secoli non hanno subito alcun mutamento morfologico nel passaggio dalla lingua latina a quella siciliana, ma sono stati conservati e tramandati inconsapevolmente dagli abitanti fino ad arrivare intatti ai giorni nostri. Alcuni di questi anche per il fatto che la lingua siciliana mantiene pressapoco lo stesso vocalismo del latino.
machina (la macchina) < machina, ae = macchina (sostantivo femm. 1° declinazione)
rota (la ruota) < rota, ae = ruota (sostantivo femm. 1° declinazione)
Altri ancora, invece, hanno subito leggerissimi mutamenti fonetici:
prunu o, in parte della provincia di Ragusa, pirunu (la prugna) < prunum, i = prugna (dall´accusativo sing. prunu[m])
cucuzza (la zucca, la zucchina) < cucurbita, ae = zucca
mappina (lo strofinaccio) < mappa, ae = tovagliolo
sorfuru (il fiammifero) < sulfur, sulfuris = zolfo (dall´accusatio sing. sulfure[m])
Un appunto riguardo a quest´ultimo termine. Nelle province che parlano il dialetto modicano (Ragusa, Catania meridionale, e metà della provincia di Siracusa) il termine fiammifero è detto sorfuru, per sinèddoche dal latino sulfur che indica lo zolfo. La testa di un fiammifero, infatti, è composta da fosforo e zolfo e, variando da provincia a provincia, si usa ora il termine zolfo ora quello di fosforo (con dovuta sineddoche) per indicarlo. In tutte le altre parti della Sicilia, pertanto, il fiammifero è detto pospiru o addirittura prospiru (con una epentesi in liquida -r), venendo così indicato per sineddoche col nome “fosforo”.
AVVERBI E VERBI DI DERIVAZIONE LATINA
Vi sono alcuni avverbi e verbi che hanno mantenuto una pura derivazione dalla lingua latina, sebbene molti di questi abbiano subito delle varianti morfologiche.
magnu (in gran quantità) < magnus, a, um = grande (da un tardo e potenziale accusativo avverbiale quale magnu[m])
intra (dentro) < intra = dentro
vanniari (sgridare) < dal latino tardo bannum, i = editto (gli editti venivano pronunciati oralmente ad alta voce, gridando al popolo)
allascari (allargare, allontanare) < laxo, as, laxavi, laxatum, laxare = allargare (da ad + laxare > allaxari, con successiva scomposizione della doppia -x nel digramma -cs > allacsari, con finale metatesi (trasposizione) del nesso -cs > allascari)
´ncignari o, più impropriamente, nella provincia di Ragusa, ´ncingari (inaugurare) < gigno, is, genui, genitum, gignere = generare, dare alla luce (da in + gignere > ingignere; con successivo passaggio dalla terza coniugazione alla prima, ingignere > ingignare; con aferesi iniziale e passaggio finale dalla velare sonora -g alla sorda -c, ingignari > ´ncignari).
Sebbene l´idea di dare alla luce (un figlio) sia passata al più ampio senso di inaugurare (di fatti dare alla luce un vestito nuovo, per esempio, equivale a dire inaugurarlo), secondo alcuni studiosi questo verbo è riconducibile al latino encaenio, as, encaeniare = inaugurare un abito. Quantunque entrambe le etimologie siano valide da un punto di vista linguistico, il mio parere di latinista propende più per la seconda opzione, e per due ragioni: innanzitutto per la rarità del verbo encaeniare e per l´uso tardo: sono infatti principalmente i verbi più tardi e meno usati quelli pervenuti integri fino a noi; e poi per il significato, identico, che entrambi recano.
Concludo dicendo che la più grande forma di ignoranza è vergognarsi di parlare o di conoscere la nostra lingua, che è invece di sicuro tra le più nobili, dotata tra le altre cose di una smisurata ricchezza lessicale. Spero di avervi interessati o almeno incuriositi. Alla prossima!
Gianluca Vindigni