L'ANALISI: " I VALORI FONDANTI DELLA CULTURA " di Francesco Ereddia
I VALORI FONDANTI DELLA CULTURA
Premessa
1. La cultura è indubbiamente promozione e realizzazione di attività di spettacolo, di tutela e godimento dei beni artistici e ambientali, di diffusione più ampia e decentrata di ogni genere di eventi (teatro, musica, incontri di studio e di ricerca, etc.).
Ma non è solo questo. Essa è anche soddisfacimento del bisogno di socializzazione, di lotta alla emarginazione e alla disgregazione sociale, di crescita civile dei cittadini. E’ una risorsa produttiva, che ha come obiettivo l’innalzamento della qualità della vita di una comunità più e meno numerosa e la trasmissione di principi e valori ormai appannati o addirittura dissolti sotto i colpi di una visione sempre più materialistica e consumistica della vita e dei rapporti umani.
2. Una visione, quest’ultima, profondamente disumana e disumanizzante che, nonostante Tangentopoli e la fine della cosiddetta prima repubblica, ha ripreso vigore in questi ultimi anni e domina pressoché incontrastata ogni aspetto della vita associata. L’onestà, la trasparenza, il rispetto della persona, il riconoscimento dei meriti individuali, il diritto allo studio e al lavoro, la libertà di informazione, il riconoscimento dei valori fondanti della cultura: tutto questo è ormai un pallido ricordo del passato. E anche Vittoria, in questi ultimi anni, si è distinta per un perfetto allineamento su queste posizioni di arretratezza civile.
3. La promozione culturale è un investimento anche economico, occupazionale, turistico e ambientale finalizzato alla vivibilità di una città e al recupero delle sue tradizioni materiali e immateriali. Essa quindi non può muoversi sul terreno dell’incompetenza, dell’improvvisazione, della faciloneria e della frammentarietà (come è accaduto in questo recente passato con le precedenti amministrazioni), ma necessita, al contrario, di una forte progettualità, che abbia chiari i suoi obiettivi e i mezzi e i modi per raggiungerli.
4. L’investimento culturale da parte di un ente pubblico, dunque, è un investimento di grande impegno e responsabilità, i cui risultati si vanno concretizzando nel medio e lungo termine ma restano nel tempo, purché non si tratti di iniziative che nascono e muoiono nello spazio di un mattino o di una sera.
L’ente pubblico deve investire – compatibilmente con le esigue risorse di questi tempi di crisi – in strutture, attrezzature, restauri del suo patrimonio ambientale storico e artistico.
In questo modo, e solo in questo modo, si può avviare un processo capace di produrre, oltre che soddisfacenti risultati sul piano culturale, anche più ampie possibilità di occupazione.
Riflessioni
« La cultura non si mangia». Così alcuni anni fa (era il 2010) si esprimeva un ministro della Repubblica italiana per giustificare i soliti tagli nel bilancio dello Stato a quella voce. Quella dichiarazione, chissà come e perché, diventò nel dibattito polemico che ne seguì « ‘Con’ la cultura non si mangia ».
Un paio di riflessioni – lo diciamo ovviamente tra il serio e il faceto – sorgono spontanee. Stando alla prima versione, possiamo concordare sul fatto che effettivamente la cultura non può essere annoverata fra gli alimenti, almeno quelli materiali, della specie umana (che poi si tratti di un ‘nutrimento dello spirito’ è espressione addirittura incomprensibile e ultraumana per tanti politici nostrani). E circa la seconda versione, siamo costretti ad accettare il fatto che, ancor più effettivamente, ‘con’ la cultura non è, per i politici di cui sopra, la stessa cosa che ‘con’ i lavori pubblici. È verissimo, infatti, che con tutto ciò che riguarda la cultura in generale è oltremodo difficile ‘mangiare’, nel senso metaforico ben conosciuto dagli italiani da più di vent’anni a questa parte.
Comunque stiano le cose, fatto è che da un bel po’ la cultura è uscita dall’interesse e dalle competenze (ammesso che ne abbiano avuto in passato) dei governanti e degli amministratori locali.
E allora? Allora, forse è ben più serio e costruttivo cercare insieme di capire in cosa si concretizzano storicamente i «valori fondanti di cui sopra».
«Noi siamo come nani sulle spalle dei giganti, così che possiamo vedere un maggior numero di cose e più lontano di loro, tuttavia non per l’acutezza della vista o la possenza del corpo, ma perché sediamo più in alto e ci eleviamo proprio grazie alla grandezza dei giganti».
Così si esprimeva in età medievale il filosofo inglese Giovanni di Salisbury (1110-1180) citando una frase del collega francese Bernardo di Chartres, il quale a sua volta riprendeva un’espressione del grammatico romano Prisciano vissuto all’incirca sei secoli prima. Con questo metaforico e suggestivo aforisma letterario così ricorrente fino all’età moderna si sosteneva, in sostanza, che quelli che ci innalzano e ci permettono di guardare lontano sono gli antichi (i «giganti»), quelli che hanno preceduto noi moderni (i «nani») e che con le loro conoscenze hanno arricchito il nostro sapere.
Il sapere cioè la cultura, dunque, è soprattutto “tradizione”, e consiste in quanto è stato tramandato dai nostri antenati; è ‘trasmissione, lascito ereditario’ da una generazione all’altra di tutto il patrimonio materiale (ambientale e artistico) accumulato attraverso secoli e secoli di storia e di quello immateriale (lingua e dialetto, storia degli eventi, tradizioni laiche, religiose, enogastronomiche, ecc. ecc.).
Se la cultura è tradizione e la tradizione è l’eredità del passato, per la proprietà transitiva ne consegue che la cultura è prevalentemente se non esclusivamente recupero, rivisitazione e rivitalizzazione del passato. Ed è indubitabilmente chiaro che tutto questo non può essere affidato agli incompetenti e ai tanti superficiali e faciloni, pronti a dichiararsi capaci e disponibili. Oggi come ieri.
Detto questo, il pensiero di noi vittoriesi non può non andare a quanto venne realizzato in anni ormai lontani, quando un’ampia e articolata attività culturale, capace di raggiungere giovani e meno giovani, venne proposta ai cittadini di Vittoria, che risposero con entusiasmo e in grandissimo numero. Fu un invito ad apprezzare la bellezza: la bellezza di un testo scritto, letto recitato o cantato; la bellezza dell’arte, del patrimonio naturale e dei monumenti architettonici presenti nella nostra città; la bellezza unita all’orgoglio di essere cittadini di Vittoria.
E di questo lungo momento della vita cittadina il nostro teatro comunale Vittoria Colonna, prezioso gioiello in stile neoclassico, era stato motore e spinta propulsiva. Un momento, questo, di cui chi scrive ebbe l’onore di essere nel suo piccolo artefice e promotore.
Premessa
1. La cultura è indubbiamente promozione e realizzazione di attività di spettacolo, di tutela e godimento dei beni artistici e ambientali, di diffusione più ampia e decentrata di ogni genere di eventi (teatro, musica, incontri di studio e di ricerca, etc.).
Ma non è solo questo. Essa è anche soddisfacimento del bisogno di socializzazione, di lotta alla emarginazione e alla disgregazione sociale, di crescita civile dei cittadini. E’ una risorsa produttiva, che ha come obiettivo l’innalzamento della qualità della vita di una comunità più e meno numerosa e la trasmissione di principi e valori ormai appannati o addirittura dissolti sotto i colpi di una visione sempre più materialistica e consumistica della vita e dei rapporti umani.
2. Una visione, quest’ultima, profondamente disumana e disumanizzante che, nonostante Tangentopoli e la fine della cosiddetta prima repubblica, ha ripreso vigore in questi ultimi anni e domina pressoché incontrastata ogni aspetto della vita associata. L’onestà, la trasparenza, il rispetto della persona, il riconoscimento dei meriti individuali, il diritto allo studio e al lavoro, la libertà di informazione, il riconoscimento dei valori fondanti della cultura: tutto questo è ormai un pallido ricordo del passato. E anche Vittoria, in questi ultimi anni, si è distinta per un perfetto allineamento su queste posizioni di arretratezza civile.
3. La promozione culturale è un investimento anche economico, occupazionale, turistico e ambientale finalizzato alla vivibilità di una città e al recupero delle sue tradizioni materiali e immateriali. Essa quindi non può muoversi sul terreno dell’incompetenza, dell’improvvisazione, della faciloneria e della frammentarietà (come è accaduto in questo recente passato con le precedenti amministrazioni), ma necessita, al contrario, di una forte progettualità, che abbia chiari i suoi obiettivi e i mezzi e i modi per raggiungerli.
4. L’investimento culturale da parte di un ente pubblico, dunque, è un investimento di grande impegno e responsabilità, i cui risultati si vanno concretizzando nel medio e lungo termine ma restano nel tempo, purché non si tratti di iniziative che nascono e muoiono nello spazio di un mattino o di una sera.
L’ente pubblico deve investire – compatibilmente con le esigue risorse di questi tempi di crisi – in strutture, attrezzature, restauri del suo patrimonio ambientale storico e artistico.
In questo modo, e solo in questo modo, si può avviare un processo capace di produrre, oltre che soddisfacenti risultati sul piano culturale, anche più ampie possibilità di occupazione.
Riflessioni
« La cultura non si mangia». Così alcuni anni fa (era il 2010) si esprimeva un ministro della Repubblica italiana per giustificare i soliti tagli nel bilancio dello Stato a quella voce. Quella dichiarazione, chissà come e perché, diventò nel dibattito polemico che ne seguì « ‘Con’ la cultura non si mangia ».
Un paio di riflessioni – lo diciamo ovviamente tra il serio e il faceto – sorgono spontanee. Stando alla prima versione, possiamo concordare sul fatto che effettivamente la cultura non può essere annoverata fra gli alimenti, almeno quelli materiali, della specie umana (che poi si tratti di un ‘nutrimento dello spirito’ è espressione addirittura incomprensibile e ultraumana per tanti politici nostrani). E circa la seconda versione, siamo costretti ad accettare il fatto che, ancor più effettivamente, ‘con’ la cultura non è, per i politici di cui sopra, la stessa cosa che ‘con’ i lavori pubblici. È verissimo, infatti, che con tutto ciò che riguarda la cultura in generale è oltremodo difficile ‘mangiare’, nel senso metaforico ben conosciuto dagli italiani da più di vent’anni a questa parte.
Comunque stiano le cose, fatto è che da un bel po’ la cultura è uscita dall’interesse e dalle competenze (ammesso che ne abbiano avuto in passato) dei governanti e degli amministratori locali.
E allora? Allora, forse è ben più serio e costruttivo cercare insieme di capire in cosa si concretizzano storicamente i «valori fondanti di cui sopra».
«Noi siamo come nani sulle spalle dei giganti, così che possiamo vedere un maggior numero di cose e più lontano di loro, tuttavia non per l’acutezza della vista o la possenza del corpo, ma perché sediamo più in alto e ci eleviamo proprio grazie alla grandezza dei giganti».
Così si esprimeva in età medievale il filosofo inglese Giovanni di Salisbury (1110-1180) citando una frase del collega francese Bernardo di Chartres, il quale a sua volta riprendeva un’espressione del grammatico romano Prisciano vissuto all’incirca sei secoli prima. Con questo metaforico e suggestivo aforisma letterario così ricorrente fino all’età moderna si sosteneva, in sostanza, che quelli che ci innalzano e ci permettono di guardare lontano sono gli antichi (i «giganti»), quelli che hanno preceduto noi moderni (i «nani») e che con le loro conoscenze hanno arricchito il nostro sapere.
Il sapere cioè la cultura, dunque, è soprattutto “tradizione”, e consiste in quanto è stato tramandato dai nostri antenati; è ‘trasmissione, lascito ereditario’ da una generazione all’altra di tutto il patrimonio materiale (ambientale e artistico) accumulato attraverso secoli e secoli di storia e di quello immateriale (lingua e dialetto, storia degli eventi, tradizioni laiche, religiose, enogastronomiche, ecc. ecc.).
Se la cultura è tradizione e la tradizione è l’eredità del passato, per la proprietà transitiva ne consegue che la cultura è prevalentemente se non esclusivamente recupero, rivisitazione e rivitalizzazione del passato. Ed è indubitabilmente chiaro che tutto questo non può essere affidato agli incompetenti e ai tanti superficiali e faciloni, pronti a dichiararsi capaci e disponibili. Oggi come ieri.
Detto questo, il pensiero di noi vittoriesi non può non andare a quanto venne realizzato in anni ormai lontani, quando un’ampia e articolata attività culturale, capace di raggiungere giovani e meno giovani, venne proposta ai cittadini di Vittoria, che risposero con entusiasmo e in grandissimo numero. Fu un invito ad apprezzare la bellezza: la bellezza di un testo scritto, letto recitato o cantato; la bellezza dell’arte, del patrimonio naturale e dei monumenti architettonici presenti nella nostra città; la bellezza unita all’orgoglio di essere cittadini di Vittoria.
E di questo lungo momento della vita cittadina il nostro teatro comunale Vittoria Colonna, prezioso gioiello in stile neoclassico, era stato motore e spinta propulsiva. Un momento, questo, di cui chi scrive ebbe l’onore di essere nel suo piccolo artefice e promotore.
Francesco Ereddia
Vittoria 13 gennaio 2013