LA RUBRICA DI KAIROS - " APPRENDIMENTO SCOLASTICO: IL RUOLO PRIMARIO DI SCUOLA E FAMIGLIA " DELLA DOTT/SSA MELODY BELVEDERE.
APPRENDIMENTO SCOLASTICO: IL RUOLO PRIMARIO DI SCUOLA E FAMIGLIA
Italia, 29 settembre 2010: dopo un lungo iter cominciato nel 2002, il Parlamento approva definitivamente la legge n. 170: “Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico”, ovvero la normativa che regolamenta in toto la situazione (dalla diagnosi, alle strategie di intervento e alla collaborazione scuola – famiglia – Sistema Sanitario Nazionale) di persone con DSA e il contesto in cui vivono.
I Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA) sono definiti dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS, 2011) come difficoltà, basate su disfunzioni neurobiologiche, che coinvolgono uno specifico dominio di abilità (la lettura in termini di velocità e correttezza nel caso della dislessia; la scrittura in termini di competenza ortografica nella disortografia; la scrittura in termini grafici e di abilità grafo-motoria nella disgrafia; le abilità di comprendere ed operare con i numeri nella discalculia), lasciando intatto il funzionamento intellettivo generale. Questa “neuro-diversità” quindi sussiste sin dalla nascita ed è persistente nel tempo.
Dal relativo decreto attuativo n. 5669/2011 l’Italia ha visto moltiplicare in maniera esponenziale le diagnosi di Disturbi Specifici di Apprendimento. Facendo un veloce calcolo, sembra che 5 bambini su 25 abbiano difficoltà a scuola con conseguente diagnosi di DSA. Ma la diagnosi è sempre lo specchio della situazione del bambino? In realtà no.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) i disturbi specifici dell’apprendimento non possono superare il 2,5 – 3% della popolazione, numeri ben lontani dai precedenti. Cosa accade quindi?
Il più delle volte non viene fatta una differenza tra un disturbo vero e proprio e una difficoltà; questo tipo di selezione deve innanzi tutto svolgersi all’interno dell’ambito scolastico e, dopo eventuale segnalazione da parte di quest’ ultimo, confermata da professionisti specializzati. La scuola infatti deve fare il meglio per ottenere il massimo da un alunno, facendogli raggiungere il buon risultato a cui si aspira. Ciò vuol dire modificare le strategie didattiche rendendole più adatte ai bisogni del singolo alunno nonché dell’intera classe. Per di più, molto spesso difficoltà di lettura, scrittura e calcolo nelle loro varie sfaccettature non sono altro che la diretta conseguenza di difficoltà a livello di aggiustamento globale e di percezione di base, quali ad esempio: equilibrio, le varie coordinazioni, percezione spaziale e temporale, difficoltà di inseguimento visivo, difficoltà di rappresentazione mentale ecc.
Educare l’educabile ci consente quindi di evitare diagnosi affrettate, che seppur comode per certi versi, danno un’ “etichetta” al bambino che si potrebbe evitare semplicemente potenziando le funzione operative suddette. Ciò permetterebbe al bambino di non costruire quel senso di inadeguatezza, o meglio di non efficacia, e di “diversità” che assilla chi, avendo diagnosi di DSA e quindi un piano didattico personalizzato (PDP con relativi strumenti compensativi e dispensativi), vive i compiti, le verifiche e la didattica scolastica in generale in modo diverso dal resto della classe.
La differenza tra una difficoltà e un vero e proprio disturbo dell’apprendimento sta nella resistenza al trattamento. Se la persona con difficoltà, pur intraprendendo un percorso di potenziamento specializzato e personalizzato non raggiunge i risultati sperati, rimettendosi “in linea”, si deve optare per una diagnosi di Disturbo Specifico dell’Apprendimento. Dopo la diagnosi la scuola è tenuta a stilare (anche richiedendo l’aiuto di un professionista) il PDP dell’alunno, inserendo in quest’ultimo gli strumenti tipici di una didattica flessibile ed individualizzata che vada incontro alle esigenze dello studente.
Alla luce di quanto detto, appare chiaro di come un sistema scolastico e una famiglia attenta possano fare la differenza in materia di difficoltà d’apprendimento, posizionandosi al 1°posto tra gli imputati alla prevenzione primaria. A loro seguono poi i professionisti che intraprenderanno l´intervento finalizzato al potenziamento delle funzioni carenti, non dimenticando di dare gli strumenti affinchè lo studente (ri)costruisca un senso di sé più solido e forte per prendere a piene mani il proprio futuro.
Melody Belvedere
Italia, 29 settembre 2010: dopo un lungo iter cominciato nel 2002, il Parlamento approva definitivamente la legge n. 170: “Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico”, ovvero la normativa che regolamenta in toto la situazione (dalla diagnosi, alle strategie di intervento e alla collaborazione scuola – famiglia – Sistema Sanitario Nazionale) di persone con DSA e il contesto in cui vivono.
I Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA) sono definiti dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS, 2011) come difficoltà, basate su disfunzioni neurobiologiche, che coinvolgono uno specifico dominio di abilità (la lettura in termini di velocità e correttezza nel caso della dislessia; la scrittura in termini di competenza ortografica nella disortografia; la scrittura in termini grafici e di abilità grafo-motoria nella disgrafia; le abilità di comprendere ed operare con i numeri nella discalculia), lasciando intatto il funzionamento intellettivo generale. Questa “neuro-diversità” quindi sussiste sin dalla nascita ed è persistente nel tempo.
Dal relativo decreto attuativo n. 5669/2011 l’Italia ha visto moltiplicare in maniera esponenziale le diagnosi di Disturbi Specifici di Apprendimento. Facendo un veloce calcolo, sembra che 5 bambini su 25 abbiano difficoltà a scuola con conseguente diagnosi di DSA. Ma la diagnosi è sempre lo specchio della situazione del bambino? In realtà no.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) i disturbi specifici dell’apprendimento non possono superare il 2,5 – 3% della popolazione, numeri ben lontani dai precedenti. Cosa accade quindi?
Il più delle volte non viene fatta una differenza tra un disturbo vero e proprio e una difficoltà; questo tipo di selezione deve innanzi tutto svolgersi all’interno dell’ambito scolastico e, dopo eventuale segnalazione da parte di quest’ ultimo, confermata da professionisti specializzati. La scuola infatti deve fare il meglio per ottenere il massimo da un alunno, facendogli raggiungere il buon risultato a cui si aspira. Ciò vuol dire modificare le strategie didattiche rendendole più adatte ai bisogni del singolo alunno nonché dell’intera classe. Per di più, molto spesso difficoltà di lettura, scrittura e calcolo nelle loro varie sfaccettature non sono altro che la diretta conseguenza di difficoltà a livello di aggiustamento globale e di percezione di base, quali ad esempio: equilibrio, le varie coordinazioni, percezione spaziale e temporale, difficoltà di inseguimento visivo, difficoltà di rappresentazione mentale ecc.
Educare l’educabile ci consente quindi di evitare diagnosi affrettate, che seppur comode per certi versi, danno un’ “etichetta” al bambino che si potrebbe evitare semplicemente potenziando le funzione operative suddette. Ciò permetterebbe al bambino di non costruire quel senso di inadeguatezza, o meglio di non efficacia, e di “diversità” che assilla chi, avendo diagnosi di DSA e quindi un piano didattico personalizzato (PDP con relativi strumenti compensativi e dispensativi), vive i compiti, le verifiche e la didattica scolastica in generale in modo diverso dal resto della classe.
La differenza tra una difficoltà e un vero e proprio disturbo dell’apprendimento sta nella resistenza al trattamento. Se la persona con difficoltà, pur intraprendendo un percorso di potenziamento specializzato e personalizzato non raggiunge i risultati sperati, rimettendosi “in linea”, si deve optare per una diagnosi di Disturbo Specifico dell’Apprendimento. Dopo la diagnosi la scuola è tenuta a stilare (anche richiedendo l’aiuto di un professionista) il PDP dell’alunno, inserendo in quest’ultimo gli strumenti tipici di una didattica flessibile ed individualizzata che vada incontro alle esigenze dello studente.
Alla luce di quanto detto, appare chiaro di come un sistema scolastico e una famiglia attenta possano fare la differenza in materia di difficoltà d’apprendimento, posizionandosi al 1°posto tra gli imputati alla prevenzione primaria. A loro seguono poi i professionisti che intraprenderanno l´intervento finalizzato al potenziamento delle funzioni carenti, non dimenticando di dare gli strumenti affinchè lo studente (ri)costruisca un senso di sé più solido e forte per prendere a piene mani il proprio futuro.
Melody Belvedere