LA RUBRICA DI " KAIROS " - " HO FATTO UN PATTO SAI, CON LE MIE EMOZIONI, LE LASCIO VIVERE E LORO NON MI FANNO FUORI! Essere emotivamente intelligenti.... What´s else? " DELLA DOTT.SSA STELLA MORANA
HO FATTO UN PATTO SAI, CON LE MIE EMOZIONI, LE LASCIO VIVERE E LORO NON MI FANNO FUORI! Essere emotivamente intelligenti.... What´s else?
Quando parliamo di intelligenza, la maggior parte delle persone immagina immediatamente quella razionale (il cosiddetto QI); si pensa all´alfabeto, alla matematica, ai giochini di logica che ritroviamo nei giornali settimanali di enigmistica, su Facebook e più in generale su internet. Tuttavia non è l´unica intelligenza di cui l´essere umano è dotato, possiamo annoverarne un´altra, definita – appunto- "intelligenza emotiva".
E se vogliamo proprio dirla tutta, questo tipo di intelligenza è di fondamentale importanza, tanto quanto l´altra!
Ma esattamente a cosa ci riferiamo quando parliamo di QE?
Nel lontano 350 a. C. c´era già Aristotele che esortava i Greci a controllare la vita emotiva con intelligenza. Tuttavia aspetteremo "giusto qualche anno" per avere una teorizzazione più precisa del costrutto, con Salovey e Mayer (nel 1990) e con Goleman (5 anni più tardi). I primi la definirono come "la capacità appresa di percepire, comprendere, esprimere e gestire le emozioni", in modo che queste lavorino per noi e non contro di noi (, frase meravigliosa!).
Goleman, riprendendo i colleghi, la associa all´utilizzo corretto delle proprie emozioni; un´intelligenza – dunque - che costituisce secondo lo psicologo statunitense un fattore determinante nel raggiungimento dei propri successi personali e professionali.
Quando si parla di QE, in sintesi, si intende quella capacità che ci consente di essere consapevoli di cosa si sta provando, di cosa stanno provando gli altri, di essere capaci di attribuire un nome alle nostre e altrui emozioni, di controllarle e saperle gestire in modo funzionale, al fine di renderle nostre alleate e non nemiche, nel raggiungimento di un proprio benessere personale.
Dando uno sguardo alle vicende che accadono in Italia (lasciando stare per un attimo la visione allargata al mondo intero), possiamo accorgerci – haimè - dei segnali che evidenziano un crescente malessere emozionale, soprattutto fra i giovani. Apprendiamo quotidianamente dal notiziario o siamo noi stessi diretti testimoni, di atti sempre più violenti, in cui non c´è il minimo rispetto per se stessi e per gli altri (comportamenti violenti, di abuso, dipendenze da alcool, droghe, comportamenti compulsivi e quant´altro). Questo clima così precario e instabile rende sfacciata, l´urgenza di insegnare ai più piccoli "l´alfabeto emozionale", cioè insegnare loro la capacità di saper riconoscere le proprie emozioni, dare loro un nome, sperimentarle per non esserne travolti o terrorizzati. Tuttavia questo importantissimo insegnamento viene sottovalutato, se non addirittura snobbato, in favore del più rassicurante insegnamento dell´alfabeto scolastico. Mi preme sottolineare che non è una gara a quale intelligenza sia migliore o più importante; l´una non esclude l´altra ed entrambe sono fondamentali nel rapporto con se stessi e con il mondo che ci circonda.
Tuttavia si da´ per scontato che i bambini, possedendo in modo innato le emozioni, in maniera altrettanto innata sappiano anche identificarle e gestirle. E invece non è così scontato. Per un bambino non è così ovvio saper riconoscere quello che prova, dargli un nome e sapere che presto passerà. La difficoltà che prova quando gli si presenta una sensazione a lui sconosciuta, può tramutarsi in paura o la può sfogare ad esempio con reazioni di rabbia. Inoltre, se un bambino non sarà in grado di riconoscere le proprie emozioni, tanto meno saprà capire lo stato d´animo degli altri ed agire in corretta relazione con loro (parliamo quindi di una scarsa compentenza sociale).
Le basi per sviluppare l´intelligenza emotiva si pongono nella prima infanzia con l´esempio dei genitori, ma poi si affinano meglio durante l´adolescenza e più in generale nel corso della vita. Se un bambino o un ragazzo, è ansioso, triste, arrabbiato, confuso, o non si comporta bene, è inutile e controproducente sgridarlo o compatirlo. Più utile è invece parlare con lui, ascoltare ciò che prova e dargli dei ´rinforzi affettivi´ per riconoscere ed elaborare questi stati d´animo. In questo modo imparerà che le emozioni fanno parte della vita di ogni persona (in questo modo eviterà di sentirsi un "extraterrestre") e che si possono imparare a conoscere e a controllare.
Oltre alla famiglia, anche la scuola ricopre un ruolo molto importante nello sviluppo dell´intelligenza emotiva. È stato dimostrato che i bambini ei ragazzi che in famiglia e a scuola hanno avuto la possibilità di curare la propria intelligenza emotiva, hanno avuto migliori risultati scolastici e sono stati meno soggetti a forme di disagio, dall´abuso di sostanze ai disturbi alimentari, dalla devianza vera e propria con comportamenti antisociali, alla depressione e all´ansia. Non a caso in diverse scuole, soprattutto negli Stati Uniti e in nord Europa, vengono realizzati progetti e percorsi formativi sul mondo delle emozioni rivolti a insegnanti, genitori e bambini.
Sarebbe bello se anche in Italia, riuscissimo ad avviare dei seri programmi di "alfabetizzazione emotiva".
Mi preme sottolineare che nel corso dell´intera vita possiamo migliorare, affinare, potenziare la nostra intelligenza emotiva. Certo, può costare fatica, perché bisogna mettersi in discussione, perché bisogna partire da se stessi e imparare a lavorare con le proprie emozioni, perché bisogna sentirle, viverle appieno, lasciarsi emozionare, ma è un lavoro che ciascuno di noi può fare. È un po´quello che canta Vasco Rossi nella sua canzone Manifesto futurista della nuova umanità, "ho fatto un patto sai, con le mie emozioni, le lascio vivere e loro non mi fanno fuori!"
Quando parliamo di intelligenza, la maggior parte delle persone immagina immediatamente quella razionale (il cosiddetto QI); si pensa all´alfabeto, alla matematica, ai giochini di logica che ritroviamo nei giornali settimanali di enigmistica, su Facebook e più in generale su internet. Tuttavia non è l´unica intelligenza di cui l´essere umano è dotato, possiamo annoverarne un´altra, definita – appunto- "intelligenza emotiva".
E se vogliamo proprio dirla tutta, questo tipo di intelligenza è di fondamentale importanza, tanto quanto l´altra!
Ma esattamente a cosa ci riferiamo quando parliamo di QE?
Nel lontano 350 a. C. c´era già Aristotele che esortava i Greci a controllare la vita emotiva con intelligenza. Tuttavia aspetteremo "giusto qualche anno" per avere una teorizzazione più precisa del costrutto, con Salovey e Mayer (nel 1990) e con Goleman (5 anni più tardi). I primi la definirono come "la capacità appresa di percepire, comprendere, esprimere e gestire le emozioni", in modo che queste lavorino per noi e non contro di noi (
Goleman, riprendendo i colleghi, la associa all´utilizzo corretto delle proprie emozioni; un´intelligenza – dunque - che costituisce secondo lo psicologo statunitense un fattore determinante nel raggiungimento dei propri successi personali e professionali.
Quando si parla di QE, in sintesi, si intende quella capacità che ci consente di essere consapevoli di cosa si sta provando, di cosa stanno provando gli altri, di essere capaci di attribuire un nome alle nostre e altrui emozioni, di controllarle e saperle gestire in modo funzionale, al fine di renderle nostre alleate e non nemiche, nel raggiungimento di un proprio benessere personale.
Dando uno sguardo alle vicende che accadono in Italia (lasciando stare per un attimo la visione allargata al mondo intero), possiamo accorgerci – haimè - dei segnali che evidenziano un crescente malessere emozionale, soprattutto fra i giovani. Apprendiamo quotidianamente dal notiziario o siamo noi stessi diretti testimoni, di atti sempre più violenti, in cui non c´è il minimo rispetto per se stessi e per gli altri (comportamenti violenti, di abuso, dipendenze da alcool, droghe, comportamenti compulsivi e quant´altro). Questo clima così precario e instabile rende sfacciata, l´urgenza di insegnare ai più piccoli "l´alfabeto emozionale", cioè insegnare loro la capacità di saper riconoscere le proprie emozioni, dare loro un nome, sperimentarle per non esserne travolti o terrorizzati. Tuttavia questo importantissimo insegnamento viene sottovalutato, se non addirittura snobbato, in favore del più rassicurante insegnamento dell´alfabeto scolastico. Mi preme sottolineare che non è una gara a quale intelligenza sia migliore o più importante; l´una non esclude l´altra ed entrambe sono fondamentali nel rapporto con se stessi e con il mondo che ci circonda.
Tuttavia si da´ per scontato che i bambini, possedendo in modo innato le emozioni, in maniera altrettanto innata sappiano anche identificarle e gestirle. E invece non è così scontato. Per un bambino non è così ovvio saper riconoscere quello che prova, dargli un nome e sapere che presto passerà. La difficoltà che prova quando gli si presenta una sensazione a lui sconosciuta, può tramutarsi in paura o la può sfogare ad esempio con reazioni di rabbia. Inoltre, se un bambino non sarà in grado di riconoscere le proprie emozioni, tanto meno saprà capire lo stato d´animo degli altri ed agire in corretta relazione con loro (parliamo quindi di una scarsa compentenza sociale).
Le basi per sviluppare l´intelligenza emotiva si pongono nella prima infanzia con l´esempio dei genitori, ma poi si affinano meglio durante l´adolescenza e più in generale nel corso della vita. Se un bambino o un ragazzo, è ansioso, triste, arrabbiato, confuso, o non si comporta bene, è inutile e controproducente sgridarlo o compatirlo. Più utile è invece parlare con lui, ascoltare ciò che prova e dargli dei ´rinforzi affettivi´ per riconoscere ed elaborare questi stati d´animo. In questo modo imparerà che le emozioni fanno parte della vita di ogni persona (in questo modo eviterà di sentirsi un "extraterrestre") e che si possono imparare a conoscere e a controllare.
Oltre alla famiglia, anche la scuola ricopre un ruolo molto importante nello sviluppo dell´intelligenza emotiva. È stato dimostrato che i bambini ei ragazzi che in famiglia e a scuola hanno avuto la possibilità di curare la propria intelligenza emotiva, hanno avuto migliori risultati scolastici e sono stati meno soggetti a forme di disagio, dall´abuso di sostanze ai disturbi alimentari, dalla devianza vera e propria con comportamenti antisociali, alla depressione e all´ansia. Non a caso in diverse scuole, soprattutto negli Stati Uniti e in nord Europa, vengono realizzati progetti e percorsi formativi sul mondo delle emozioni rivolti a insegnanti, genitori e bambini.
Sarebbe bello se anche in Italia, riuscissimo ad avviare dei seri programmi di "alfabetizzazione emotiva".
Mi preme sottolineare che nel corso dell´intera vita possiamo migliorare, affinare, potenziare la nostra intelligenza emotiva. Certo, può costare fatica, perché bisogna mettersi in discussione, perché bisogna partire da se stessi e imparare a lavorare con le proprie emozioni, perché bisogna sentirle, viverle appieno, lasciarsi emozionare, ma è un lavoro che ciascuno di noi può fare. È un po´quello che canta Vasco Rossi nella sua canzone Manifesto futurista della nuova umanità, "ho fatto un patto sai, con le mie emozioni, le lascio vivere e loro non mi fanno fuori!"