LA RUBRICA DI KAIROS - " STRESS LAVORATIVO E SINDROME DI BURNOUT " DELLA DOTT/SSA MELODY BELVEDERE
Stress lavorativo e sindrome di Burnout
Le Professioni d´aiuto: il rovescio della medaglia
Nel corso degli ultimi decenni, la prevalenza di malesseri legati allo stress da lavoro è aumentata drasticamente. Questo fenomeno è andato aumentando di pari passo con lo svilupparsi di posizioni lavorative in cui i professionisti si ritrovano sempre più a stare in stretto rapporto con le persone, e con l´aumentare della tendenza verso il lavoro di équipe, nel quale è richiesta l´abilità di lavorare in collaborazione con dei colleghi.
I professionisti che possono andare incontro alla sindrome provengono da una vasta gamma di attività lavorative quali: medici, infermieri, terapisti della riabilitazione, psicologi, insegnanti, assistenti sociali, forze dell’ordine, religiosi ecc. Essi hanno in comune il vivere situazioni connotate da una “notevole carica emozionale”, che implicano numerosi contatti con le persone in difficoltà ed esigono un coinvolgimento sia emotivo sia fisico.
Lo stress sperimentato li logora emotivamente e può condurre alla sindrome di Burnout.
Il termine Burnout tradotto letteralmente dall’inglese, acquista il significato di "bruciato (burn) fuori (out )" e sta a indicare il bruciarsi dell’operatore e il suo cedimento psicofisico alle difficoltà dell’attività professionale; è una sindrome complessa che s’instaura come risposta ad una condizione di stress lavorativo prolungato.
La persona colpita manifesta sintomi quali senso di stanchezza ed esaurimento, apatia, nervosismo, insonnia, cefalee, depressione, bassa stima di sé, senso di colpa, sensazione di fallimento, rabbia e risentimento, indifferenza, difficoltà nelle relazioni con gli utenti. Questo difendersi ogni giorno dall´ "annegare nel quotidiano" lascia alla lunga il segno: chi lavora diventa più irritabile poco disponibile e viene perciò a instaurarsi una condizione lavorativa negativa. L’insorgere del malessere, si riflette quindi in un tasso di incidenti maggiore, minore produzione, assenze per malattia ecc.
Gli effetti negativi del burnout, però, non coinvolgono solo il singolo lavoratore ma anche l’utenza, a cui viene offerto un servizio inadeguato e un trattamento meno umano.
La domanda quindi sorge spontaneamente: esiste un modo per diventare “immuni” dal Burnout?
In realtà, accanto alla percezione soggettiva del proprio lavoro, vi sono delle condizioni oggettive che sembrano combattere l´insorgenza della sindrome, per esempio una preparazione di carattere emotivo-relazionale che possa rendere più gestibile la carica emozionale propria di ogni lavoro e l´abilità di gestire lo stress grazie a strategie appropriate. Ed ancora, in ambito organizzativo diventa fondamentale il ruolo manageriale, che deve sia valorizzazione le risorse umane, sia dotarsi di sensibilità gestionale.
Appare chiaro quindi che sia che si parli di azienda così come di un lavoro autonomo, la formazione professionale degli operatori (che le aziende dovrebbero fornire periodicamente) non deve consistere solo in abilità di settore, ma deve essere integrata con strumenti di coping e di gestione delle emozioni e delle relazioni che permettano di vivere serenamente il proprio lavoro.
Dott/ssa Melody Belvedere
Le Professioni d´aiuto: il rovescio della medaglia
Nel corso degli ultimi decenni, la prevalenza di malesseri legati allo stress da lavoro è aumentata drasticamente. Questo fenomeno è andato aumentando di pari passo con lo svilupparsi di posizioni lavorative in cui i professionisti si ritrovano sempre più a stare in stretto rapporto con le persone, e con l´aumentare della tendenza verso il lavoro di équipe, nel quale è richiesta l´abilità di lavorare in collaborazione con dei colleghi.
I professionisti che possono andare incontro alla sindrome provengono da una vasta gamma di attività lavorative quali: medici, infermieri, terapisti della riabilitazione, psicologi, insegnanti, assistenti sociali, forze dell’ordine, religiosi ecc. Essi hanno in comune il vivere situazioni connotate da una “notevole carica emozionale”, che implicano numerosi contatti con le persone in difficoltà ed esigono un coinvolgimento sia emotivo sia fisico.
Lo stress sperimentato li logora emotivamente e può condurre alla sindrome di Burnout.
Il termine Burnout tradotto letteralmente dall’inglese, acquista il significato di "bruciato (burn) fuori (out )" e sta a indicare il bruciarsi dell’operatore e il suo cedimento psicofisico alle difficoltà dell’attività professionale; è una sindrome complessa che s’instaura come risposta ad una condizione di stress lavorativo prolungato.
La persona colpita manifesta sintomi quali senso di stanchezza ed esaurimento, apatia, nervosismo, insonnia, cefalee, depressione, bassa stima di sé, senso di colpa, sensazione di fallimento, rabbia e risentimento, indifferenza, difficoltà nelle relazioni con gli utenti. Questo difendersi ogni giorno dall´ "annegare nel quotidiano" lascia alla lunga il segno: chi lavora diventa più irritabile poco disponibile e viene perciò a instaurarsi una condizione lavorativa negativa. L’insorgere del malessere, si riflette quindi in un tasso di incidenti maggiore, minore produzione, assenze per malattia ecc.
Gli effetti negativi del burnout, però, non coinvolgono solo il singolo lavoratore ma anche l’utenza, a cui viene offerto un servizio inadeguato e un trattamento meno umano.
La domanda quindi sorge spontaneamente: esiste un modo per diventare “immuni” dal Burnout?
In realtà, accanto alla percezione soggettiva del proprio lavoro, vi sono delle condizioni oggettive che sembrano combattere l´insorgenza della sindrome, per esempio una preparazione di carattere emotivo-relazionale che possa rendere più gestibile la carica emozionale propria di ogni lavoro e l´abilità di gestire lo stress grazie a strategie appropriate. Ed ancora, in ambito organizzativo diventa fondamentale il ruolo manageriale, che deve sia valorizzazione le risorse umane, sia dotarsi di sensibilità gestionale.
Appare chiaro quindi che sia che si parli di azienda così come di un lavoro autonomo, la formazione professionale degli operatori (che le aziende dovrebbero fornire periodicamente) non deve consistere solo in abilità di settore, ma deve essere integrata con strumenti di coping e di gestione delle emozioni e delle relazioni che permettano di vivere serenamente il proprio lavoro.
Dott/ssa Melody Belvedere