" PALERMO LIBERTY TRA LUCI E OMBRE " DI FRANCESCO EREDDIA

L´Ottocento si chiudeva a Palermo con un fitto groviglio di tanti problemi irrisolti, capaci di influire negativamente sul suo sviluppo futuro. L´ultimo decennio di quel secolo, infatti, era stato caratterizzato da eventi che davano la misura dei conflitti sociali e politici da cui la città era dilaniata.
Il 1° febbraio 1893 Emanuele Notarbartolo di S. Giovanni, ex direttore del Banco di Sicilia, era stato trovato ucciso sui binari della ferrovia, fra le stazioni di Trabia e Altavilla. Eletto sindaco nel 1874, il Notarbartolo aveva tentato di moralizzare l´ambiente politico contro le infiltrazioni mafiose negli appalti delle opere pubbliche. Questo era avvenuto, ad esempio, nel caso della costruzione del Teatro Massimo il cui progetto, elaborato dal "principe" del liberty palermitano, l´architetto Ernesto Basile, era stato sottratto in tempo a una cordata di speculatori.
Suo antagonista era don Raffaele Palizzolo, membro del consiglio comunale e di quello provinciale di Palermo, legato ai briganti Valvo e Di Pasquale. Facendosi protettore di una vasta clientela di popolani e di piccoli trafficanti, aveva realizzato una rapida e prodigiosa scalata alla ricchezza. Controllava, in qualità di presidente, più di cinquanta associazioni economiche e politico-culturali nella provincia di Palermo, cumulando il tutto con il controllo delle opere Pie e di alcuni importanti assessorati.
Dopo oltre sei anni dall´omicidio del Notarbartolo, il Palizzolo, grazie all´impegno instancabile dei familiari della vittima e ad infuocate campagne di stampa e battaglie parlamentari, venne sottoposto a processo. Processo celebrato per legittima suspicione a Bologna. Nonostante il sostegno di tanti prestigiosi testi a discarico (il demologo Pitrè definì Palizzolo «persona proba e onesta» e Ignazio Florio, membro della rinomata dinastia imprenditoriale palermitana, dichiarò che la mafia era solo «un´invenzione creata per calunniare la Sicilia»), don Raffaele Palizzolo fu condannato nel 1902 a trent´anni di reclusione.
Ma la sentenza di Bologna venne annullata per un vizio di forma dalla Cassazione, e il nuovo processo vide assolto l´imputato. Venne noleggiata una nave per riportare a Palermo il Palizzolo, che fu accolto sulle banchine del porto da una folla plaudente e, non pago di ciò, organizzò un viaggio trionfale fra le comunità siciliane degli Stati Uniti d´America per ricevere altri plausi e attestazioni di solidarietà.
«A parte la reità o meno del personaggio – conclude lo storico Francesco Renda -, sul che pesava il giudizio contraddittorio di due processi, la mafia ne uscì oltremodo rinvigorita nel prestigio e nella considerazione».
Mentre a Catania, in quegli stessi anni, le forze popolari e socialiste riuscivano a creare un´alleanza tra movimento operaio e piccola borghesia urbana, incidendo sullo sviluppo economico della città in senso democratico, a Palermo invece il blocco dei partiti popolari rimase subalterno ai tradizionali gruppi di potere aggregati attorno alla dinastia dei Florio, che riassumeva gli interessi capitalistici della città.
L´ala operaista del movimento popolare palermitano, ad esempio, accusava il Circolo socialista di essere «una corte aristocratica, un´alcova di chiacchiere e di pettegolezzi» monopolizzata da socialisti «innamorati solo delle belle parole».
***
Questo era l´humus socio-economico e politico in cui nasceva a Palermo e si diffondeva – in un clima decadente di belle époque caratterizzato dai convegni mondani e dall´eleganza di donna Franca Florio – il Liberty.
Sotto il profilo urbanistico, tra il 1887 e il 1894 con una legge speciale erano state stralciate alcune parti del piano regolatore elaborato dall´ingegnere Giarrusso e approvato nel 1886. Le amministrazioni crispine della città, formando un nuovo blocco di potere urbano, avviarono il sacco edilizio di Palermo contro cui si era battuto Emanuele Notarbartolo.
Vennero operati in quegli anni i famigerati "sventramenti" della città antica, consistenti nella demolizione indiscriminata dei vecchi rioni fatiscenti senza affrontare in modo organico e concreto la loro riqualificazione.
Mentre l´alta borghesia palermitana, perseguendo il suo sogno di grandeur, erigeva il Teatro Politeama (1892) in stile classico-pompeiano e il Teatro Massimo (1897) di gusto anch´esso classicheggiante, l´architetto Ernesto Basile, seguace del Modernismo europeo o «Art Nouveau», proponeva alla sua qualificata clientela le sue scelte liberty. Già nel 1894 col chiosco Ribaudo e poi nel 1897 col chiosco Vicari in piazza Verdi, Basile aveva inaugurato la stagione liberty.
Il nuovo protagonista apponeva la sua firma in numerose opere di edilizia pubblica e privata, creando nel contempo una vera e propria scuola di allievi attivi sia nello stesso periodo che in quello successivo.
Ne sono testimonianza il villino Florio nella contrada dell´Olivuzza, l´ampliamento dell´Albergo Villa Igiea che diventò meta di soggiorni invernali dell´aristocrazia e di teste coronate europee, la villa dello stesso Basile in via Siracusa, il Villino Fassini in via Duca della Verdura, il villino Ugo in via Sammartino. Molte di queste costruzioni sono oggi scomparse.
In collaborazione con la ditta Golia-Ducrot, che produceva mobili di pregiata fattura, Basile provvederà anche all´arredamento di queste ville e dei palazzi, teatri, ritrovi e chioschi in cui è presente la sua mano. Il salone di Villa Igiea rappresenta il suo momento più creativo: il liberty vi esplode in tutta la sua pienezza, immergendo l´uomo nel vitalismo naturalistico tipico di quest´arte. Così è anche per le decorazioni delle pareti, interamente dipinte da Ettore De Maria Bergler e dalla sua équipe: vi si svolgono temi femminili e floreali, diversi per ciascuna parete e per il fregio del soffitto, in una esplosione di fiori, di colori e di forme.
Così, grazie all´opera densa di Ernesto Basile, che progetta edifici e mobili e arredi incoraggiando in quella direzione le arti applicate (ferro battuto, vetrate, argenteria, tappeti), Palermo diventa, come ebbe a definirla Sciascia, «piccola capitale dell´Art Nouveau», inserita in un´intensa attività di scambi con le grandi capitali europee e con gli altri centri italiani.
FRANCESCO EREDDIA
Il 1° febbraio 1893 Emanuele Notarbartolo di S. Giovanni, ex direttore del Banco di Sicilia, era stato trovato ucciso sui binari della ferrovia, fra le stazioni di Trabia e Altavilla. Eletto sindaco nel 1874, il Notarbartolo aveva tentato di moralizzare l´ambiente politico contro le infiltrazioni mafiose negli appalti delle opere pubbliche. Questo era avvenuto, ad esempio, nel caso della costruzione del Teatro Massimo il cui progetto, elaborato dal "principe" del liberty palermitano, l´architetto Ernesto Basile, era stato sottratto in tempo a una cordata di speculatori.
Suo antagonista era don Raffaele Palizzolo, membro del consiglio comunale e di quello provinciale di Palermo, legato ai briganti Valvo e Di Pasquale. Facendosi protettore di una vasta clientela di popolani e di piccoli trafficanti, aveva realizzato una rapida e prodigiosa scalata alla ricchezza. Controllava, in qualità di presidente, più di cinquanta associazioni economiche e politico-culturali nella provincia di Palermo, cumulando il tutto con il controllo delle opere Pie e di alcuni importanti assessorati.
Dopo oltre sei anni dall´omicidio del Notarbartolo, il Palizzolo, grazie all´impegno instancabile dei familiari della vittima e ad infuocate campagne di stampa e battaglie parlamentari, venne sottoposto a processo. Processo celebrato per legittima suspicione a Bologna. Nonostante il sostegno di tanti prestigiosi testi a discarico (il demologo Pitrè definì Palizzolo «persona proba e onesta» e Ignazio Florio, membro della rinomata dinastia imprenditoriale palermitana, dichiarò che la mafia era solo «un´invenzione creata per calunniare la Sicilia»), don Raffaele Palizzolo fu condannato nel 1902 a trent´anni di reclusione.
Ma la sentenza di Bologna venne annullata per un vizio di forma dalla Cassazione, e il nuovo processo vide assolto l´imputato. Venne noleggiata una nave per riportare a Palermo il Palizzolo, che fu accolto sulle banchine del porto da una folla plaudente e, non pago di ciò, organizzò un viaggio trionfale fra le comunità siciliane degli Stati Uniti d´America per ricevere altri plausi e attestazioni di solidarietà.
«A parte la reità o meno del personaggio – conclude lo storico Francesco Renda -, sul che pesava il giudizio contraddittorio di due processi, la mafia ne uscì oltremodo rinvigorita nel prestigio e nella considerazione».
Mentre a Catania, in quegli stessi anni, le forze popolari e socialiste riuscivano a creare un´alleanza tra movimento operaio e piccola borghesia urbana, incidendo sullo sviluppo economico della città in senso democratico, a Palermo invece il blocco dei partiti popolari rimase subalterno ai tradizionali gruppi di potere aggregati attorno alla dinastia dei Florio, che riassumeva gli interessi capitalistici della città.
L´ala operaista del movimento popolare palermitano, ad esempio, accusava il Circolo socialista di essere «una corte aristocratica, un´alcova di chiacchiere e di pettegolezzi» monopolizzata da socialisti «innamorati solo delle belle parole».
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Questo era l´humus socio-economico e politico in cui nasceva a Palermo e si diffondeva – in un clima decadente di belle époque caratterizzato dai convegni mondani e dall´eleganza di donna Franca Florio – il Liberty.
Sotto il profilo urbanistico, tra il 1887 e il 1894 con una legge speciale erano state stralciate alcune parti del piano regolatore elaborato dall´ingegnere Giarrusso e approvato nel 1886. Le amministrazioni crispine della città, formando un nuovo blocco di potere urbano, avviarono il sacco edilizio di Palermo contro cui si era battuto Emanuele Notarbartolo.
Vennero operati in quegli anni i famigerati "sventramenti" della città antica, consistenti nella demolizione indiscriminata dei vecchi rioni fatiscenti senza affrontare in modo organico e concreto la loro riqualificazione.
Mentre l´alta borghesia palermitana, perseguendo il suo sogno di grandeur, erigeva il Teatro Politeama (1892) in stile classico-pompeiano e il Teatro Massimo (1897) di gusto anch´esso classicheggiante, l´architetto Ernesto Basile, seguace del Modernismo europeo o «Art Nouveau», proponeva alla sua qualificata clientela le sue scelte liberty. Già nel 1894 col chiosco Ribaudo e poi nel 1897 col chiosco Vicari in piazza Verdi, Basile aveva inaugurato la stagione liberty.
Il nuovo protagonista apponeva la sua firma in numerose opere di edilizia pubblica e privata, creando nel contempo una vera e propria scuola di allievi attivi sia nello stesso periodo che in quello successivo.
Ne sono testimonianza il villino Florio nella contrada dell´Olivuzza, l´ampliamento dell´Albergo Villa Igiea che diventò meta di soggiorni invernali dell´aristocrazia e di teste coronate europee, la villa dello stesso Basile in via Siracusa, il Villino Fassini in via Duca della Verdura, il villino Ugo in via Sammartino. Molte di queste costruzioni sono oggi scomparse.
In collaborazione con la ditta Golia-Ducrot, che produceva mobili di pregiata fattura, Basile provvederà anche all´arredamento di queste ville e dei palazzi, teatri, ritrovi e chioschi in cui è presente la sua mano. Il salone di Villa Igiea rappresenta il suo momento più creativo: il liberty vi esplode in tutta la sua pienezza, immergendo l´uomo nel vitalismo naturalistico tipico di quest´arte. Così è anche per le decorazioni delle pareti, interamente dipinte da Ettore De Maria Bergler e dalla sua équipe: vi si svolgono temi femminili e floreali, diversi per ciascuna parete e per il fregio del soffitto, in una esplosione di fiori, di colori e di forme.
Così, grazie all´opera densa di Ernesto Basile, che progetta edifici e mobili e arredi incoraggiando in quella direzione le arti applicate (ferro battuto, vetrate, argenteria, tappeti), Palermo diventa, come ebbe a definirla Sciascia, «piccola capitale dell´Art Nouveau», inserita in un´intensa attività di scambi con le grandi capitali europee e con gli altri centri italiani.
FRANCESCO EREDDIA