SICILIA - " DALL´OCCUPAZIONE ALLEATA A PORTELLA DELLA GINESTRA: SEPARATISTI, MAFIOSI E BANDITI " DI FRANCESCO EREDDIA
Quando nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1943 le truppe alleate anglo-americane sbarcano in Sicilia – uno sbarco preparato accuratamente dai servizi segreti americani, che avevano assicurato ai comandi militari l´appoggio della mafia siciliana d´America –, esse stabiliscono subito collegamenti con i più rappresentativi "uomini d´onore" siciliani. Si trattava dei ceti nobiliari, dei notabili locali, dei grandi agrari, ma anche dei mafiosi.
Così, fra i tanti, don Calogero Vizzini, patriarca mafioso di Villalba, viene nominato dagli alleati sindaco del suo paese, e il conte Lucio Tasca Bordonaro, grande latifondista, sindaco di Palermo. D´altra parte, il colonnello americano Charles Poletti, incaricato di preparare lo sbarco in Sicilia, aveva preso i primi contatti segreti proprio con don Lucio Tasca. Latifondisti e mafiosi agli occhi degli alleati apparivano, paradossalmente, sinceri e tenaci ´antifascisti´, in quanto i primi erano stati in polemica col regime che voleva eliminare il latifondo, e i secondi erano stati combattuti fieramente dal "prefetto di ferro" Mori (anche se tutto si era risolto in un "gattopardesco" nulla di fatto).
Già negli anni Venti e Trenta un economista palermitano, Giuseppe Frisella Vella, prestigioso esponente separatista, aveva auspicato un ruolo economico autonomo per la Sicilia nel Mediterraneo. Grazie all´intervento del capitalismo americano, l´isola doveva diventare il centro di una federazione di Stati del bacino mediterraneo, contrastando così l´egemonia dell´industria dell´Italia del nord.
In questa direzione separatista e antiunitaria si muoveva ora un saggio del già citato conte Lucio Tasca, "Elogio del latifondo", pubblicato già nel 1941 e riproposto nel 1944. Dal latifondo e dall´autosufficienza granaria della Sicilia doveva partire la riscossa contro l´industrialismo del Nord, di cui il fascismo era visto come l´inevitabile degenerazione e malattia, riscossa che mirava alla rottura dello Stato unitario.
Nasce così il MIS (Movimento Indipendentista Siciliano), in cui si concentra quasi tutta la nobiltà reazionaria dell´isola, che teme il riorganizzarsi delle forze di sinistra nella nuova compagine nazionale di unità antifascista e quindi un attacco mortale al latifondo per rispondere alla secolare fame di terra dei contadini siciliani.
La mafia, d´altronde, ha tutto l´interesse a difendere l´intangibilità del latifondo in cui essa affonda le proprie radici e ripone i propri interessi economici. Alle riunioni del MIS, il cui ideologo diviene Andrea Finocchiaro Aprile, monarchico e di destra, partecipano i mafiosi don Calogero Vizzini, Michele Navarra, Genco Russo, Paolino Bontade e altri capimafia di rilievo.
Gli eventi precipitano. La Sicilia è scossa da violente rivolte popolari contro lo Stato accentratore, accusato di essere da sempre indifferente alle croniche miserie isolane, aggravate dalla guerra fascista. Il governo provvisorio centrale emana allora nel 1944 dei decreti disposti dal ministro dell´agricoltura, il comunista Gullo, decreti vòlti a frantumare il latifondo e procedere alla distribuzione delle terre ai contadini siciliani.
Gli agrari e i mafiosi reagiscono duramente: a Villalba don Calogero Vizzini e i suoi uomini sparano contro il comunista Li Causi durante un suo comizio. Nei gennaio del 1945 dilaga il movimento del «Non si parte!», un fenomeno spontaneo di renitenza alla leva ben presto degenerato in attacchi contro i carabinieri e le forze dell´ordine. All´interno di esso si segnalano i disordini di Ragusa, Comiso e Vittoria che restano per alcuni giorni in mano ai rivoltosi: il MIS si inserisce a fomentare i conflitti e ad aggravare una situazione già di per sé preludio di una guerra civile, di una vera e propria guerra di secessione siciliana.
Già qualche mese prima era nato l´EVIS (Esercito Volontario Indipendentista Siciliano), che doveva organizzare in montagna operazioni di guerriglia contro l´esercito regolare.
Appaiono i primi manifesti del bandito Salvatore Giuliano raffigurato mentre rompe le catene che legano la Sicilia all´Italia e aggancia l´isola agli Stati Uniti. Sotto l´immagine c´è la frase alquanto sgrammaticata «A morte i sbirri succhiatori del popolo del popolo siciliano e perché sono i principali radici fascisti, viva il separatismo della libertà, Giuliano».
Nel marzo del ´45 in casa del barone Giuseppe Tasca, figlio di don Lucio, si riuniscono numerosi esponenti del separatismo, fra i quali il duca don Guglielmo Paternò di Geraci e i baroni Stefano La Motta e Giuseppe Cammarata. Si decide di utilizzare i banditi nelle azioni di guerriglia: gli Avila, che agivano fra Niscemi e Caltagirone, e Salvatore Giuliano, "re" di Montelepre. In quella riunione il ricorso ai banditi viene giustificato con la considerazione che anche Garibaldi nel 1860 si era servito dei ´picciotti´, cioè dei briganti e dei banditi, per liberare la Sicilia.
***
Fu così che, mentre si cominciava a procedere alla distribuzione e assegnazione delle terre incolte, frantumando di fatto i grandi latifondi in virtù dei decreti Gullo, si scatenava una violenza inaudita ai danni delle Camere del Lavoro e di tanti sindacalisti e politici di sinistra. Decine e decine di attivisti, infatti, vennero uccisi a partire dal giugno 1945 dalla violenza terroristica agrario-mafiosa.
Alle elezioni regionali del 20 aprile 1947 le liste del Blocco del popolo, che avevano come simbolo il volto di Giuseppe Garibaldi e lo slogan «Torna Garibaldi», ottennero un grande successo conquistando un terzo dei seggi all´Assemblea di Sala d´Ercole. Di contro, la Democrazia Cristiana ebbe un crollo verticale.
E´ il primo maggio 1947: in Sicilia, come nel resto d´Italia, si torna a celebrare la festa dei lavoratori, spostata al 21 aprile Natale di Roma durante il regime.
Circa duemila lavoratori della zona di Piana degli Albanesi, in prevalenza contadini, si sono riuniti nella vallata di Portella della Ginestra per manifestare contro il latifondismo, a favore dell´occupazione delle terre incolte, e festeggiare la vittoria del Blocco del Popolo nelle recenti elezioni per l´Assemblea Regionale Siciliana. All´improvviso, dalle colline circostanti, partono raffiche di mitra che vengono scambiate all´inizio per scoppi di mortaretti.
Lasciano a terra, secondo le fonti ufficiali, 11 morti (9 adulti e 2 bambini) e 27 feriti, di cui alcuni morirono poi a causa delle ferite riportate.
La Cgil proclamò lo sciopero generale, accusando i latifondisti siciliani di voler "soffocare nel sangue le organizzazioni dei lavoratori".
Quattro mesi dopo si seppe che a sparare materialmente erano stati gli uomini del bandito Salvatore Giuliano, colonnello dell´EVIS, l´Esercito Volontario Indipendentista Siciliano, definito dagli alleati un corpo paramilitare guidato e finanziato dalla Repubblica di Salò. Il rapporto dei carabinieri sulla strage faceva chiaramente riferimento ad "elementi reazionari in combutta con i mafiosi".
FRANCESCO EREDDIA
Così, fra i tanti, don Calogero Vizzini, patriarca mafioso di Villalba, viene nominato dagli alleati sindaco del suo paese, e il conte Lucio Tasca Bordonaro, grande latifondista, sindaco di Palermo. D´altra parte, il colonnello americano Charles Poletti, incaricato di preparare lo sbarco in Sicilia, aveva preso i primi contatti segreti proprio con don Lucio Tasca. Latifondisti e mafiosi agli occhi degli alleati apparivano, paradossalmente, sinceri e tenaci ´antifascisti´, in quanto i primi erano stati in polemica col regime che voleva eliminare il latifondo, e i secondi erano stati combattuti fieramente dal "prefetto di ferro" Mori (anche se tutto si era risolto in un "gattopardesco" nulla di fatto).
Già negli anni Venti e Trenta un economista palermitano, Giuseppe Frisella Vella, prestigioso esponente separatista, aveva auspicato un ruolo economico autonomo per la Sicilia nel Mediterraneo. Grazie all´intervento del capitalismo americano, l´isola doveva diventare il centro di una federazione di Stati del bacino mediterraneo, contrastando così l´egemonia dell´industria dell´Italia del nord.
In questa direzione separatista e antiunitaria si muoveva ora un saggio del già citato conte Lucio Tasca, "Elogio del latifondo", pubblicato già nel 1941 e riproposto nel 1944. Dal latifondo e dall´autosufficienza granaria della Sicilia doveva partire la riscossa contro l´industrialismo del Nord, di cui il fascismo era visto come l´inevitabile degenerazione e malattia, riscossa che mirava alla rottura dello Stato unitario.
Nasce così il MIS (Movimento Indipendentista Siciliano), in cui si concentra quasi tutta la nobiltà reazionaria dell´isola, che teme il riorganizzarsi delle forze di sinistra nella nuova compagine nazionale di unità antifascista e quindi un attacco mortale al latifondo per rispondere alla secolare fame di terra dei contadini siciliani.
La mafia, d´altronde, ha tutto l´interesse a difendere l´intangibilità del latifondo in cui essa affonda le proprie radici e ripone i propri interessi economici. Alle riunioni del MIS, il cui ideologo diviene Andrea Finocchiaro Aprile, monarchico e di destra, partecipano i mafiosi don Calogero Vizzini, Michele Navarra, Genco Russo, Paolino Bontade e altri capimafia di rilievo.
Gli eventi precipitano. La Sicilia è scossa da violente rivolte popolari contro lo Stato accentratore, accusato di essere da sempre indifferente alle croniche miserie isolane, aggravate dalla guerra fascista. Il governo provvisorio centrale emana allora nel 1944 dei decreti disposti dal ministro dell´agricoltura, il comunista Gullo, decreti vòlti a frantumare il latifondo e procedere alla distribuzione delle terre ai contadini siciliani.
Gli agrari e i mafiosi reagiscono duramente: a Villalba don Calogero Vizzini e i suoi uomini sparano contro il comunista Li Causi durante un suo comizio. Nei gennaio del 1945 dilaga il movimento del «Non si parte!», un fenomeno spontaneo di renitenza alla leva ben presto degenerato in attacchi contro i carabinieri e le forze dell´ordine. All´interno di esso si segnalano i disordini di Ragusa, Comiso e Vittoria che restano per alcuni giorni in mano ai rivoltosi: il MIS si inserisce a fomentare i conflitti e ad aggravare una situazione già di per sé preludio di una guerra civile, di una vera e propria guerra di secessione siciliana.
Già qualche mese prima era nato l´EVIS (Esercito Volontario Indipendentista Siciliano), che doveva organizzare in montagna operazioni di guerriglia contro l´esercito regolare.
Appaiono i primi manifesti del bandito Salvatore Giuliano raffigurato mentre rompe le catene che legano la Sicilia all´Italia e aggancia l´isola agli Stati Uniti. Sotto l´immagine c´è la frase alquanto sgrammaticata «A morte i sbirri succhiatori del popolo del popolo siciliano e perché sono i principali radici fascisti, viva il separatismo della libertà, Giuliano».
Nel marzo del ´45 in casa del barone Giuseppe Tasca, figlio di don Lucio, si riuniscono numerosi esponenti del separatismo, fra i quali il duca don Guglielmo Paternò di Geraci e i baroni Stefano La Motta e Giuseppe Cammarata. Si decide di utilizzare i banditi nelle azioni di guerriglia: gli Avila, che agivano fra Niscemi e Caltagirone, e Salvatore Giuliano, "re" di Montelepre. In quella riunione il ricorso ai banditi viene giustificato con la considerazione che anche Garibaldi nel 1860 si era servito dei ´picciotti´, cioè dei briganti e dei banditi, per liberare la Sicilia.
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Fu così che, mentre si cominciava a procedere alla distribuzione e assegnazione delle terre incolte, frantumando di fatto i grandi latifondi in virtù dei decreti Gullo, si scatenava una violenza inaudita ai danni delle Camere del Lavoro e di tanti sindacalisti e politici di sinistra. Decine e decine di attivisti, infatti, vennero uccisi a partire dal giugno 1945 dalla violenza terroristica agrario-mafiosa.
Alle elezioni regionali del 20 aprile 1947 le liste del Blocco del popolo, che avevano come simbolo il volto di Giuseppe Garibaldi e lo slogan «Torna Garibaldi», ottennero un grande successo conquistando un terzo dei seggi all´Assemblea di Sala d´Ercole. Di contro, la Democrazia Cristiana ebbe un crollo verticale.
E´ il primo maggio 1947: in Sicilia, come nel resto d´Italia, si torna a celebrare la festa dei lavoratori, spostata al 21 aprile Natale di Roma durante il regime.
Circa duemila lavoratori della zona di Piana degli Albanesi, in prevalenza contadini, si sono riuniti nella vallata di Portella della Ginestra per manifestare contro il latifondismo, a favore dell´occupazione delle terre incolte, e festeggiare la vittoria del Blocco del Popolo nelle recenti elezioni per l´Assemblea Regionale Siciliana. All´improvviso, dalle colline circostanti, partono raffiche di mitra che vengono scambiate all´inizio per scoppi di mortaretti.
Lasciano a terra, secondo le fonti ufficiali, 11 morti (9 adulti e 2 bambini) e 27 feriti, di cui alcuni morirono poi a causa delle ferite riportate.
La Cgil proclamò lo sciopero generale, accusando i latifondisti siciliani di voler "soffocare nel sangue le organizzazioni dei lavoratori".
Quattro mesi dopo si seppe che a sparare materialmente erano stati gli uomini del bandito Salvatore Giuliano, colonnello dell´EVIS, l´Esercito Volontario Indipendentista Siciliano, definito dagli alleati un corpo paramilitare guidato e finanziato dalla Repubblica di Salò. Il rapporto dei carabinieri sulla strage faceva chiaramente riferimento ad "elementi reazionari in combutta con i mafiosi".
FRANCESCO EREDDIA